martedì 15 luglio 2008

Gli anni Settanta di chi stava con Will Coyote (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di sabato 12 luglio 2008
Il primo a squarciare il velo nell’ambito dell’immaginario è stato a suo tempo Daniele Luchetti quando, parlando del suo film Mio fratello è figlio unico, ammetteva la necessità di raccontare le tre grandi chiese italiane del Novecento: i cattolici, i comunisti ma, anche, i fascisti. «La forza popolare del Msi - sottolineava il cineasta - non è stata ancora mai raccontata. Dal 1963 al 1974, nella stagione in cui i giovani diventarono una categoria fondamentale, il mio personaggio ha spiegato agli spettatori che i fascisti non sono stati soltanto dei torbidi picchiatori».
Sulla stessa linea la successiva ammissione, qualche anno dopo, di un’altra cineasta, regista e attrice, Francesca D’Aloja, che in una lunga intervista a Io donna, intitolata “Parioli e maritozzi, la mia Roma anni Settanta”, ammetteva: «Nei Settanta sono nate molte cose, io le respiravo attraverso i miei fratelli, uno di destra e uno di sinistra. La destra mi affascinava di più: il senso eroico della vita, valori classici come l’amicizia e l’onore. Mi colpisce molto che dopo trent’anni sono ancora lì a ricordare i loro morti, da Mantakas in avanti. Poi sono arrivati gli Ottanta e i Novanta e lì mi sono tappata il naso…».
Ecco, adesso arriva in libreria un libro che quello stesso universo ce lo racconta con la forza di una vera e profonda “presa diretta”. E’ il primo romanzo di Vincenzo Cerracchio, si intitola Due soli, ed è stato pubblicato dalla casa editrice “Il filo” (pp. 193, euro 12). Cerracchio, giornalista de Il Messaggero, si diletta in un gradevole racconto, ad ampi margini autobiografico, in cui si narra dell’adolescenza di un giovane degli anni ’70 che si chiama Marco, vissuta tra gli amori, oltre che per le ragazze che incontra per la Lazio, squadra del cuore che non viene mai abbandonata nemmeno in improbabili trasferte perchè, del resto, «si tifa per Joe Condor o per Willy Coyote contro Beep beep un po’ come si fa per la Lazio. Prima o poi la sfiga passerà». Indole ribelle e anticonformista innanzitutto.
Un’adolescenza che si muove tra le ansie dei liceali e l’attesa degli esami di maturità, tra la militanza politica (a destra) e a cui fanno da sfondo canzoni e letture simbolo di quegli anni. Non a caso già dalla prima pagina si leggono due passi dedicati alla gioventù. «Da ragazzo ho giurato a me stesso di restar fedele alla mia giovinezza: un giorno ho cercato di mantenere la parola» di Pierre Drieu La Rochelle e «…senza perdere la tenerezza» di Ernesto “Che” Guevara. Letture forti e impegnate negli anni ’70, e proprio su Guevara, Cerracchio fa esprimere al suo protagonista una tesi davvero suggestiva: «Che Guevara ha avuto sempre il suo fascino su di me, la sua struttura eroico-solitaria, quell’aria da santo laico che avrei voluto approfondire». Sembra uscire fuori direttamente da Una passione per Che Guevara, del francese Jean Cau…
E’ uno spaccato, insomma, di quell’Italia cresciuta giocando con le figurine, e che innocentemente scopriva «con una certa diffidenza i dettagli che distinguevano l’Inter dall’Atalanta o il Milan dal Foggia. Quanti bambini bergamaschi saranno finiti interisti per errore? »-come si chiedeva legittimamente il protagonista da bambino ironizzando sulle similitudini cromatiche tra diverse squadre- o che non trovava nella cartina geografica città come “Atalanta” e “Sampdoria”, e che invece crescendo si ritrova a dovere assistere a tragedie come il rogo di Primavalle, che vengono menzionate nel libro di Cerracchio, e soprattutto, a viverle “da destra”.
D’altronde il profilo designato da Cerracchio prospetta in Marco un tipo di giovane nel quale si potranno identificare in molti: « Non mi ero iscritto, no a niente. Niente partiti, niente movimenti. Entravo a scuola, sfondando i picchetti, quando c’erano gli scioperi di sinistra, partecipavo alle manifestazioni per Trieste e contro Tito. Ma senza lasciarmi inquadrare. Leggevo poco. Mishima, La Rochelle, Celine: romanzi più che saggi. Roba definita di destra ma niente di strettamente ideologico. Scalare Julius Evola, arrivare a metà de Gli uomini e le rovine era già stata un’impresa. Poi avevo rinunciato». E prosegue: «Laziale e di destra. Per il mondo che ti guarda e ti giudica non è proprio il massimo della vita. Per me lo era. Perché uno se le porta dentro le scelte controcorrente».
C’è anche Lucio Battisti in quegli anni in mezzo a ricordi propri e a quelli degli amici dell'epoca: ci sono amori che vanno e vengono, gli esami di maturità, gli scontri di strada, gli slanci sociali, le canzoni, i caroselli. Ci sono i giovani che strimpellano De Gregori e la sua Alice appena uscita sui gradoni di Piazza Santa Maria in Trastevere: « “Alice guarda i gatti e i gatti guardano Alice” stonava Bruno. Molto De Andrè. La guerra di Piero: “Mille papaveri rossi”. Rossi. Battisti no. Battisti era di destra. “Planando sopra boschi di braccia tese…” ce l’eravamo scelta prima noi. Come Tolkien. Battisti parlava d’amore e loro erano tutti presi dalla rivoluzione».
Se dubbi ha lasciato l’appartenenza alla destra di Battisti, non ci sono perplessità sul suo tifo calcistico per la Lazio, altro punto cruciale di Due soli: è infatti presente nel libro la Lazio del ’73, quella di Chinaglia, Wilson, Re Cecconi e dell’allenatore Tommaso Maestrelli, che sfiora lo scudetto appena un anno dopo essere ritornata in serie A e che lo vincerà esattamente un anno dopo, al termine della stagione ’73-’74. Uno dei periodi più belli nella vita di Marco, protagonista-tifoso, in cui i successi degli aquilotti si alternano alle vicissitudini della sua relazione con Betta, la sua fidanzata, e che fornisce punti di riferimento precisi comprensibili solo da chi è tifoso, anche se di altre squadre.
Nell’insieme il libro di Cerracchio fornisce l’idea di un’inversione di tendenza nel panorama della nuova narrativa italiana. Il fatto che da qualche tempo i romanzi sugli anni ’70 diano spazio e voce anche a protagonisti che stavano a destra testimonia una ritrovata maturità e un progressivo allontanamento dagli stereotipi. E’ già accaduto inzialmente con il libro di Giuseppe Culicchia Il Paese delle meraviglie e Il Fasciocomunista di Antonio Pennacchi, che hanno alimentato un fermento che passa attraverso Camerata addio di Pierluigi Felli, I rossi e i neri di Miro Renzaglia, Anni di porfido di Ferdinando Menconi, Io non scordo di Gabriele Marconi, Baci e bastonate di Augusto Grandi, Mamma stanotte non torno di Bibi Bianca, Quello che veramente ami di Riccardo Arena, e che si conclude appunto con questo recentissimo Due soli. Tutto ciò sta portando negli ultimi anni alla ribalta diverse riflessioni non conformiste su quel periodo.
Merito di Cerracchio è quello di aver saputo cogliere lo spirito profondo di chi in quegli anni stava “a destra” e che magari, come Marco, amava leggere Il gabbiano Jonathan Livingston. Viene sottolineato il passaggio da un’epoca di spensieratezza e leggerezza adolescenziale, quando bastava un pallone di cuoio e un mazzo di figurine per toccare il cielo, a quella dell’impegno politico, degli scontri di piazza e, ahinoi, anche delle prime tragedie terroristiche.
Ma sempre restando fedele alla propria giovinezza. Come del resto suggeriva anche Drieu La Rochelle.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Collaboratore del Secolo d’Italia, si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

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