Articolo di Filippo Rossi
Dal Secolo d'Italia di venerdì 27 giugno 2008
In questi giorni in cui si risentono urla scomposte di una guerra politica che, a dispetto delle speranze dei più, non sembra proprio dare tregua a un’Italia infiacchita da polemiche che vanno avanti da tanti, troppi anni, Charta minuta, il mensile della Fondazione Farefuturo diretto da Adolfo Urso, ha deciso di insistere sulla strada del dialogo. Lo ha fatto, però, in un modo atipico: non dall’alto delle stanze del potere, non dal Palazzo pasoliniano, ma dal basso, da una scelta di tipi italiani che, in diverse forme, riescono a tracciare un percorso (psicologico prima che culturale, culturale prima che politico) che possa liberare il paese da un intreccio di veti incrociati, di odi diffusi, di diffidenze generalizzate.
«Biografie della nuova Italia», si intitola così il numero di Charta pieno di speranza per una definitiva svolta antropologica. Da Eleonora Abbagnato a Giovanni Allevi, da Fabio Cannavaro a Valentina Ferrari, da Mauro Corona a Fiorello, da Francesco Giavazzi a Sergio Marchionne, da Gabriele Muccino ad Antonio Ricci: a una prima lettura, la logica della scelta seguita è tutta irrazionale: ventotto biografie di italiani scelti a caso e buttati là alla rinfusa, si direbbe. E forse in qualche modo è anche vero.
Le ventotto “vite pensate” da Charta rappresentano, allora, proprio il tentativo di descrivere quella sorta di redenzione collettiva attraverso la quale l’Italia sta scoprendo che se ci si ascolta senza pregiudizi ideologici e si guarda ai fatti, spesso si arriva alle stesse conclusioni. Sono vite vere, pacatamente esemplari, prime protagoniste della rivoluzione della realtà e della concretezza: ed è sotto questa spinta sociale che la politica deve cominciare velocemente (e finalmente) a parlare il linguaggio del “buon senso”, senza distorsioni dovute alla difesa di rendite di posizione. Senza paura di essere bipartisan, giusto per usare terminologia tutta politichese.
Ancora con Alberoni: «Oggi tutti chiedono sicurezza, vogliono i termovalorizzatori, trovano giusto che il capo del governo si incontri col capo dell’opposizione, condannano i minorenni che stuprano o uccidono le adolescenti e accettano che un ministro proponga che i funzionari che non lavorano possano venir licenziati...». Un’Italia concreta. Quel che serve a una politica che sappia governare questa nuova fase sono le facce vere di un’Italia che in realtà è sempre esistita, un’Italia poco visibile, capace di percorre i sentieri del pensiero umano senza ritrosie e scontrosità psicologiche. Senza vecchi rancori e nuove acrimonie. Un’Italia leggera come i passi di Eleonora Abbagnato, ballerina di danza classica che conquista il mondo con il duro lavoro senza dimenticare l’essenziale della sua sfida: l’arte della fantasia. Passione e disciplina che la hanno portata a scalare, in punta di piedi, l’Opéra di Paris, Olimpo della danza, e a permettersi di farsi vanto di quel aggettivo italienne che in Francia, sua patria adottiva, suona spesso come un dispregiativo.
Un’Italia rigorosa come la determinazione di Giovanni Allevi, giovane pianista che sa trasgredire (e tradire) per rimanere fedele alla sua idea di arte perché, come lui stesso dice, «non bisogna mai avere paura di rompere le regole se è il nostro cuore a chiederlo», perché «trovare il coraggio di esporsi, di osare di mettersi in gioco è un dovere dell’artista».
Italia come marchio globale, tradizionalmente casual, creato dal binomio Dolce e Gabbana: Sicilia e Mediterraneo che diventano alta moda meneghina, matrimonio di antico e moderno, di conservatorismo e progresso. Governo ideale, fine del piagnisteo del Sud che ha bisogno dei soldi del Nord e rivincita del Nord aperto al Sud. Un’Italia intraprendente e lungimirante come Nerio Alessandri, patron di Technogym, che ha inventato un sogno mondiale nel garage sotto casa trasformando il culto del corpo in wellness philosophy, o coraggiosa come Anna Carrino, pentita di camorra, «donna riverita e ubbidita, circondata da amore, odio e pericolo che in una notte decide di tradire per cambiare le cose, per non tradire se stessa e dare una speranza ai giovani». Un’Italia con il coraggio di Roberto Saviano, giovane guerriero della penna che non riesce a non scrivere quello che pensa, e quello che sa della verità, che sfida i boss della camorra chiamandoli per nome perché la mafia è una questione che riguarda tutti e in questo la “sua responsabilità” è la parola.
Ma l’Italia raccontata da Charta, è anche quella di Dragan Cigan, immigrato bosniaco che viene a morire in Italia per salvare due bambini rapiti dal mare: bisogna dirlo, più italiano lui di tanti altri. Un sogno di un’altra vita al di là dell’Adriatico perseguito senza facile scorciatoie e sacrificato per una scelta di generosità.
E poi un’Italia che sa ridere di se stessa e che vuole prendersi in giro per non prendersi troppo sul serio: patriottica senza essere patriottarda proprio come vuole la comicità indulgente di Fiorello. Una complicità esilarante, impertinente e mai volgare che arriva al cuore della gente perché priva di pretese pedagogiche. Un’Italia che ha il coraggio di sbagliare e vuole costruire il futuro su fondamenta fatte di sogni collettivi. Un’Italia, insomma, che sa guardare avanti come una show girl (Ambra Angiolini) che reinventa il suo personaggio o come un attore di teatro (Marco Paolini) che si mette al servizio della storia. Che non dimentica le sue radici, ma che sa vivere nella modernità.
Un’Italia come è nella realtà, ma come non siamo abituati a raccontarcela: onesta, coraggiosa, vitale. Che riscatta se stessa con l’audacia necessaria di chi sa accettare le sfide della storia. E che sa fare la storia perché sa inventare nuove tradizioni, sa mettersi in gioco con il giusto coraggio di osare. Che sa vivere nel mondo senza dimenticare se stessa, che poi, sostanzialmente, è il gusto vitale di raccontare sempre nuove storie: Gabriele Muccino e il suo american dream tutto italiano; Laura Pausini e il suo tricolore oltreconfine; Francesco Giavazzi e la sua visione umana dell’economia; Afef e la sua italianità mediterranea e musulmana
Sono ventotto, le biografie scelte da Charta minuta, ma potevano essere molte di più. Non vanno prese alla lettera e, soprattutto, non vanno considerate in nessun modo una forma di “appropriazioni politica”. Sono “solo” l’esempio eclatante di quel che serve a questo paese: l’invadenza di una generazione “per sempre giovane” (anche quando è vecchia) che non considera la cultura, le scelte, le decisioni politiche come proprietà privata di qualcuno: va fatto quel che serve fare, semplicemente la cosa giusta.
Serve la capacità di giocare a tutto campo senza affaticamenti e rallentamenti, a perdifiato; serve la voglia indiscreta di parlare con tutti, nessuno escluso, perché ognuno può portare qualcosa di buono; ed è necessaria, anche, la sfrontatezza di chi sa cambiare idea senza ergersi a fedele difensore di alcunché.
No, non è tempo di rigida fedeltà, è tempo di scelte briose. Ecco perché, nella scelta dei nomi, è evidente come non sia stato usato alcun bilancino politico, culturale, o, tantomeno, ideologico: i nomi sembrano venuti fuori spontaneamente, con fluidità inaspettata, per rispondere a una di quelle domande che sembrano semplici ma semplici non sono: quali potrebbero essere gli italiani che possono rappresentare la nuova fase che cerca di vivere il nostro paese? Attenzione però: per “nuova fase” non si intende semplicemente la “vittoria del centro destra” o il “governo Berlusconi”. Perché in quel “nuova” c’è molto di più, di meglio: c’è un progetto esistenziale – «non servono più eccitanti o ideologie – cantava Franco Battiato – ci vuole un’altra vita» – c’è una rivoluzione culturale tutta italiana che (sembra) stia conquistando sia destra che sinistra. Attenzione alla politica a non tornare indietro, questo il messaggio della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, perché una modificazione antropologica è in atto come l’ha registrata prontamente, tra gli altri, Francesco Alberoni: «Per molti anni – ha spiegato il sociologo sul Corriere della Sera – siamo vissuti in un mondo di affermazioni ideologiche non provate con cui destra e sinistra descrivevano il mondo a piacimento. Se per uno il terremoto era grave per l’altro era lieve, se per uno l’economia andava a rotoli per l’altro prosperava. E così per la criminalità, la scuola, l’alta velocità...». Ecco, finalmente tutto questo è finito.
L’Italia comincia a riacquistare il senso della realtà: la gente torna a vedere la realtà perché vuole ricominciare a parlare, a esporre le proprie opinioni senza il timore di venir insultata e coinvolta in una rissa politica. Un diritto in Italia troppe volte violato. Si vuole liberare delle scorie ideologiche di un tempo che fu. E ricominciare a declinare la politica al tempo che deve essere: il futuro. O, almeno, come insegna il creatore delle Winx, Iginio Straffi, declinarla credendo nella magia del contemporaneo.
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
«Biografie della nuova Italia», si intitola così il numero di Charta pieno di speranza per una definitiva svolta antropologica. Da Eleonora Abbagnato a Giovanni Allevi, da Fabio Cannavaro a Valentina Ferrari, da Mauro Corona a Fiorello, da Francesco Giavazzi a Sergio Marchionne, da Gabriele Muccino ad Antonio Ricci: a una prima lettura, la logica della scelta seguita è tutta irrazionale: ventotto biografie di italiani scelti a caso e buttati là alla rinfusa, si direbbe. E forse in qualche modo è anche vero.
Le ventotto “vite pensate” da Charta rappresentano, allora, proprio il tentativo di descrivere quella sorta di redenzione collettiva attraverso la quale l’Italia sta scoprendo che se ci si ascolta senza pregiudizi ideologici e si guarda ai fatti, spesso si arriva alle stesse conclusioni. Sono vite vere, pacatamente esemplari, prime protagoniste della rivoluzione della realtà e della concretezza: ed è sotto questa spinta sociale che la politica deve cominciare velocemente (e finalmente) a parlare il linguaggio del “buon senso”, senza distorsioni dovute alla difesa di rendite di posizione. Senza paura di essere bipartisan, giusto per usare terminologia tutta politichese.
Ancora con Alberoni: «Oggi tutti chiedono sicurezza, vogliono i termovalorizzatori, trovano giusto che il capo del governo si incontri col capo dell’opposizione, condannano i minorenni che stuprano o uccidono le adolescenti e accettano che un ministro proponga che i funzionari che non lavorano possano venir licenziati...». Un’Italia concreta. Quel che serve a una politica che sappia governare questa nuova fase sono le facce vere di un’Italia che in realtà è sempre esistita, un’Italia poco visibile, capace di percorre i sentieri del pensiero umano senza ritrosie e scontrosità psicologiche. Senza vecchi rancori e nuove acrimonie. Un’Italia leggera come i passi di Eleonora Abbagnato, ballerina di danza classica che conquista il mondo con il duro lavoro senza dimenticare l’essenziale della sua sfida: l’arte della fantasia. Passione e disciplina che la hanno portata a scalare, in punta di piedi, l’Opéra di Paris, Olimpo della danza, e a permettersi di farsi vanto di quel aggettivo italienne che in Francia, sua patria adottiva, suona spesso come un dispregiativo.
Un’Italia rigorosa come la determinazione di Giovanni Allevi, giovane pianista che sa trasgredire (e tradire) per rimanere fedele alla sua idea di arte perché, come lui stesso dice, «non bisogna mai avere paura di rompere le regole se è il nostro cuore a chiederlo», perché «trovare il coraggio di esporsi, di osare di mettersi in gioco è un dovere dell’artista».
Italia come marchio globale, tradizionalmente casual, creato dal binomio Dolce e Gabbana: Sicilia e Mediterraneo che diventano alta moda meneghina, matrimonio di antico e moderno, di conservatorismo e progresso. Governo ideale, fine del piagnisteo del Sud che ha bisogno dei soldi del Nord e rivincita del Nord aperto al Sud. Un’Italia intraprendente e lungimirante come Nerio Alessandri, patron di Technogym, che ha inventato un sogno mondiale nel garage sotto casa trasformando il culto del corpo in wellness philosophy, o coraggiosa come Anna Carrino, pentita di camorra, «donna riverita e ubbidita, circondata da amore, odio e pericolo che in una notte decide di tradire per cambiare le cose, per non tradire se stessa e dare una speranza ai giovani». Un’Italia con il coraggio di Roberto Saviano, giovane guerriero della penna che non riesce a non scrivere quello che pensa, e quello che sa della verità, che sfida i boss della camorra chiamandoli per nome perché la mafia è una questione che riguarda tutti e in questo la “sua responsabilità” è la parola.
Ma l’Italia raccontata da Charta, è anche quella di Dragan Cigan, immigrato bosniaco che viene a morire in Italia per salvare due bambini rapiti dal mare: bisogna dirlo, più italiano lui di tanti altri. Un sogno di un’altra vita al di là dell’Adriatico perseguito senza facile scorciatoie e sacrificato per una scelta di generosità.
E poi un’Italia che sa ridere di se stessa e che vuole prendersi in giro per non prendersi troppo sul serio: patriottica senza essere patriottarda proprio come vuole la comicità indulgente di Fiorello. Una complicità esilarante, impertinente e mai volgare che arriva al cuore della gente perché priva di pretese pedagogiche. Un’Italia che ha il coraggio di sbagliare e vuole costruire il futuro su fondamenta fatte di sogni collettivi. Un’Italia, insomma, che sa guardare avanti come una show girl (Ambra Angiolini) che reinventa il suo personaggio o come un attore di teatro (Marco Paolini) che si mette al servizio della storia. Che non dimentica le sue radici, ma che sa vivere nella modernità.
Un’Italia come è nella realtà, ma come non siamo abituati a raccontarcela: onesta, coraggiosa, vitale. Che riscatta se stessa con l’audacia necessaria di chi sa accettare le sfide della storia. E che sa fare la storia perché sa inventare nuove tradizioni, sa mettersi in gioco con il giusto coraggio di osare. Che sa vivere nel mondo senza dimenticare se stessa, che poi, sostanzialmente, è il gusto vitale di raccontare sempre nuove storie: Gabriele Muccino e il suo american dream tutto italiano; Laura Pausini e il suo tricolore oltreconfine; Francesco Giavazzi e la sua visione umana dell’economia; Afef e la sua italianità mediterranea e musulmana
Sono ventotto, le biografie scelte da Charta minuta, ma potevano essere molte di più. Non vanno prese alla lettera e, soprattutto, non vanno considerate in nessun modo una forma di “appropriazioni politica”. Sono “solo” l’esempio eclatante di quel che serve a questo paese: l’invadenza di una generazione “per sempre giovane” (anche quando è vecchia) che non considera la cultura, le scelte, le decisioni politiche come proprietà privata di qualcuno: va fatto quel che serve fare, semplicemente la cosa giusta.
Serve la capacità di giocare a tutto campo senza affaticamenti e rallentamenti, a perdifiato; serve la voglia indiscreta di parlare con tutti, nessuno escluso, perché ognuno può portare qualcosa di buono; ed è necessaria, anche, la sfrontatezza di chi sa cambiare idea senza ergersi a fedele difensore di alcunché.
No, non è tempo di rigida fedeltà, è tempo di scelte briose. Ecco perché, nella scelta dei nomi, è evidente come non sia stato usato alcun bilancino politico, culturale, o, tantomeno, ideologico: i nomi sembrano venuti fuori spontaneamente, con fluidità inaspettata, per rispondere a una di quelle domande che sembrano semplici ma semplici non sono: quali potrebbero essere gli italiani che possono rappresentare la nuova fase che cerca di vivere il nostro paese? Attenzione però: per “nuova fase” non si intende semplicemente la “vittoria del centro destra” o il “governo Berlusconi”. Perché in quel “nuova” c’è molto di più, di meglio: c’è un progetto esistenziale – «non servono più eccitanti o ideologie – cantava Franco Battiato – ci vuole un’altra vita» – c’è una rivoluzione culturale tutta italiana che (sembra) stia conquistando sia destra che sinistra. Attenzione alla politica a non tornare indietro, questo il messaggio della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, perché una modificazione antropologica è in atto come l’ha registrata prontamente, tra gli altri, Francesco Alberoni: «Per molti anni – ha spiegato il sociologo sul Corriere della Sera – siamo vissuti in un mondo di affermazioni ideologiche non provate con cui destra e sinistra descrivevano il mondo a piacimento. Se per uno il terremoto era grave per l’altro era lieve, se per uno l’economia andava a rotoli per l’altro prosperava. E così per la criminalità, la scuola, l’alta velocità...». Ecco, finalmente tutto questo è finito.
L’Italia comincia a riacquistare il senso della realtà: la gente torna a vedere la realtà perché vuole ricominciare a parlare, a esporre le proprie opinioni senza il timore di venir insultata e coinvolta in una rissa politica. Un diritto in Italia troppe volte violato. Si vuole liberare delle scorie ideologiche di un tempo che fu. E ricominciare a declinare la politica al tempo che deve essere: il futuro. O, almeno, come insegna il creatore delle Winx, Iginio Straffi, declinarla credendo nella magia del contemporaneo.
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
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