Articolo di Francesco Boco
Dal Secolo d'Italia di sabato 6 settembre 2008
Dal Secolo d'Italia di sabato 6 settembre 2008
Gli anniversari, si sa, sono un’ottima occasione per rispolverare, o scoprire ex novo, i grandi autori. In questo scorcio d’estate, dunque, vale la pena soffermarsi su uno dei maestri indiscussi della letteratura horror e di fantascienza, insieme a Edgar Allan Poe: Howard Philips Lovecraft, del quale si è da poco celebrato il l’anniversario della nascita.
Nichilista. Cinico. Freddo. Così, di recente l’Espresso ha definito lo scrittore francese Michel Houellebecq, autore de Le particelle elementari, vicende di uomini in cerca di un nucleo. Ma quelle tre incisive e rapide parole possono ben adattarsi a descrivere l’autore a cui lo stesso romanziere francese dedicò il suo primo libro nel 1991: H. P. Lovecraft – contro il mondo, contro la vita (Bompiani). Il pamphlet è agile e gradevole, in ossequio al costume francese. Si fa portare volentieri in tasca per essere letto durante una passeggiata, pur non trattando di argomenti propriamente “allegri”. È un suggestivo colpo d’occhio sulla vita e l’opera dello scrittore americano.
Lovecraft, che molto più che autore “di genere” è uno dei maggiori scrittori americani del secolo scorso, nasce il 20 agosto 1980 nel Rhode Island, da un’agiata famiglia borghese. Perde presto il padre e si affeziona molto al nonno Whipple Phillips, dal quale eredita la ricca biblioteca e la passione per la lettura. Tra quegli scaffali il giovane Howard conosce la grande letteratura, le scienze e la mitologia e la sua fantasia inizia a viaggiare, tanto che a sette anni è già autore di brevi racconti fantastici e inizierà presto a essere affascinato dall’inanimato e dal maestoso.
Dopo una crisi nervosa, durante la quale stracciò quasi totalmente i suoi scritti giovanili, nel 1913 viene contattato per degli articoli scientifici dalla United amateur press association, collaborazione che poi si concretizzerà dal 1919, anno in cui Lovecraft riprenderà con entusiasmo l’attività narrativa, potendo finalmente trovare uno sbocco espressivo, seppure amatoriale, ai suoi scritti. Ispirato da grandi maestri come Lord Dunsany, William Hope Hodgson e Arthur Machen scrisse racconti dell’orrore “classico” come La tomba, La dichiarazione di Randolph Carter o Il terribile vecchio, a cui ben presto si affiancarono racconti anticipatori dell’universo mitico per cui è diventato celebre: Dagon (1917) e Nyarlathotep (1920). In questi ultimi ad esempio s’iniziano a intravedere le titaniche e folli città dei “grandi antichi”, gli dèi mostruosi che gorgogliano nell’oscurità stellare. Stupefacenti racconti di fantascienza dove si parla di dimensioni in bilico tra la veglia e il sogno, in cui mostruosi intermediari degli “altri Dèi” e creature informi iniziano a fare la loro comparsa. Con i racconti degli anni seguenti, Lovecraft darà vita al “ciclo di Cthuluh” e a quello di Randolph Carter.
Nel 1923 esce il primo numero della rivista di “science-fiction” Weird Tales, il primo magazine professionale dedicato ai racconti del fantastico e che negli anni costituirà per Howard Phillips il principale sbocco pubblicistico. Nel marzo del 1924 si trasferisce a New York con la giovane moglie Sonia Greene. Qui Lovecraft non si sentirà mai a suo agio. Da “socialista reazionario”, profondamente conservatore e puritano, non riuscirà ad adattarsi alla vita della grande metropoli e la sua paura e avversione per gli immigrati lo travolgerà con delle punte di xenofobia ben note ai critici letterari. A New York prosegue intanto il suo ingrato lavoro di correttore di bozze, che spesso però si trasforma in vera e propria riscrittura di racconti per conto terzi. Tanto che l’edizione completa dei racconti per Mondadori include anche quelli scritti in “collaborazione”. Lo stesso anno, ad esempio, scrisse Sotto le piramidi, su commissione del mago Houdini; perdutolo alla stazione di Providence, dovrà riscriverlo in luna di miele. A New York Lovecraft cerca un impiego, ma il disprezzo per il “business” e la vita movimentata della città lo rendono ben presto insofferente e fu ben felice di fare ritorno alla sua amata Providence nel 1926, in seguito a un trasferimento della moglie nel Midwest per opportunità di lavoro.
Mentre il matrimonio finirà di lì a breve, la sua vena creativa, dopo l’avvilente periodo trascorso nella Grande Mela, è assai prolifica e in questo periodo compaiono molti dei suoi racconti migliori e più famosi. Lo straordinario Il caso di Charles Dexter Ward, Il colore venuto dallo spazio fino al romanzo breve Le montagne della follia (1931). Quest’ultimo era un omaggio al grande Edgar Allan Poe. Si ispirava e proseguiva in quale modo le vicende del romanzo Le avventure di Gordon Pym, prolungandone le suggestioni sull’esplorazione dell’Antartide, allora ancora inesplorato.
I mostruosi miti stellari lovecraftiani prendono forma, compaiono Cthuluh, un terribile incrocio tra un polipo, un toro e un essere volante, altre creature fatte di spore o colori mai visti e così via. La fantasia del “solitario di Providence” è di una vastità e di una potenza straordinarie e la sua scrittura fredda, quasi medica, non fanno che accentuare il senso di disagio e inquietudine che i racconti trasmettono al lettore. L’anno scorso Bompiani ha raccolto, a cura di Gianfranco de Turris, i testi del ciclo di Randolph Carter sotto il titolo Il guardiano dei sogni. Questa interessante iniziativa editoriale presenta un lato meno conosciuto dello scrittore di “cosmic horror”: ci troviamo davanti a una serie di racconti del fantastico che solo in parte hanno a che vedere con l’orrore extraterrestre dei Grandi Antichi. È la vicenda di un lungo viaggio avventuroso, in cui magia e mito, oscurità e luce, s’intrecciano con un ritmo incalzante. Le suggestioni egizie amate da Howard si intravedono nella splendente Città del tramonto e la magia dei gatti lo segue per tutto il viaggio. Si respira un’aria esotica e come rileva giustamente il curatore, qui Lovecraft/ Carter è un novello Ulisse, un cercatore, un viandante che va in cerca della città meravigliosa, e finirà per trovare se stesso. È un racconto che conserva, come molti dell’autore, una costruzione mitica, ma l’immaginazione e il sogno hanno un ruolo determinante. E Lovecraft continua a interrogarci beffardo sulla realtà dei nostri sogni.
Ciò che negli anni ha reso grande questo autore è stata la capacità di superare i vecchi canoni del racconto “gotico” per raggiungere nuove capacità espressive e nuove dimensioni dell’orrore. La paura è inestirpabile dall’animo umano, diceva, e su questo sentimento così radicato egli insistette con grande intensità in tutta la sua opera. Come accennato nasce con Lovecraft l’orrore cosmico, l’orrore cioè che richiama dimensioni altre, al di là di quella semplicemente umana e terrestre. La dimensione del sogno e l’irrazionale fanno la loro comparsa nel mondo e finiscono con l’annientare la vita umana. Il mondo dell’uomo sembra davvero nulla al cospetto dei “grandi antichi”, immobili creature senza vita e senza morte, che scrutano dai più lontani abissi stellari la piccola terra.
Inventò anche la leggenda attorno al libro maledetto chiamato Necronomicon, un trattato blasfemo e proibito in cui sarebbero contenute le formule per evocare i “grandi antichi”. Attorno al mito di questo libro misterioso è fiorita tutta una letteratura fantastica di amanti dell’immaginario e dell’irreale.
L’universo lovecraftiano ha influenzato moltissimi autori contemporanei di racconti dell’orrore o del fantastico, da Stephen King a Fritz Lieber fino al giovane Neil Gaiman artefice del postmoderno e sognante American Gods. Il mondo dei videogiochi è a sua volta debitore all’immaginario legato agli orrori stellari, è il caso della serie Alone in the dark, e anche il cinema ha più volte cercato di omaggiare, con risultati davvero da dimenticare, il maestro di Providence. Tra i pochi, merita d’essere ricordato l’anticonformista John Carpenter, che è riuscito a rendere omaggio a Lovecraft col film Il seme della follia (titolo originale In the Mouth of Madness, che gioca evidentemente con il già citato racconto Le montagne della follia).
Recentemente anche il bonelliano Martin Mystère si è richiamato ampiamente alla mitologia di Cthuluh e orrori vari nel numero di giugno/luglio dal titolo “L’orrore oltre la soglia”, dove tra misteriose cripte e incisioni incomprensibili spunta persino un viscido e gigantesco Cthuluh pronto a fare la pelle agli intrepidi che hanno osato risvegliarlo.
Howard Phillips Lovecraft merita davvero di essere ricordato. La sua influenza sulla letteratura e l’immaginario è immensa e, nonostante le condanne di alcuni censori alla Moorcock, le poche parole incise sulla lapide ancora tengono viva la memoria di un uomo che davvero è diventato un simbolo, e che a ragione ha potuto dire di sé: «Io sono Providence».
Francesco Boco. Nato nel 1984, è specializzando in Filosofia con una tesi su Oswald Spengler e Martin Heidegger. Ha tradotto e curato il saggio di Guillaume Faye su Heidegger, Per farla finita col nichilismo. Collabora a quotidiani e riviste, tra cui: Secolo d’Italia, Letteratura-Tradizione, Divenire e siti web come http://www.uomo-libero.com/ .
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