giovedì 20 novembre 2008

Musulmani e libertari on the road (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di giovedì 20 novembre 2008
Cosa c’è nella mente di un ventiseienne americano bianco che a quindici anni si è converte all’islam dopo aver letto la biografia di Malcolm X e a diciassette va a studiare addirittura a Islamabad? «Di sicuro la sensazione di non sentirsi a proprio agio in nessun posto...». È anche per questo che il giovane Michael decide di imbarcarsi, usando «ogni mezzo necessario », in un avventuroso viaggio sulle tracce del fondatore della Islam Nation, per risalire alle radici della sua nuova identità. Compagni di viaggio di quest’avventura senza precedenti, ecco che al fianco di Muhammad fanno la loro comparsa femministe islamiche, maestri sufi e bizzarri membri di con fraternite musulmane. Figure memorabili che, grazie al talento narrativo di Michael Muhammad Knight, diventano i protagonisti di un’avvincente racconto di formazione dedicato all’America che non t’aspetti: musulmana e punk.
Tutto sembra ribaltare gli stereotipi ai quali siamo stati fin qui tristemente abituati nel nuovo romanzo di Knight, dal titolo Il diavolo dagli occhi blu (Newton Compton, pp. 397, euro 9,90). Leggendo quello che in qualche modo è il seguito del successo del primo romanzo, Islampunk (Newton Compton, pp. 317, euro 9,90), è normale che i preconcetti cominciano a traballare. Secondo gli stereotipi dominanti, infatti, punk e islam suonanerebbero certamente come due concetti inconciliabili, specie all’orecchio dell’europeo medio che dell’uno e dell’altro ha vaghe notizie ricavate dalla televisione e pertanto spesso enfatizzate negativamente. Ma «punk e islam – aveva rilevato anche Hakim Bay, teorizzatore delle Taz (zone temporaneamente autonome) – erano destinati a incontrarsi e a produrre strani frutti. L’eccellente romanzo di Knight (riferendosi a Islampunk) rappresenta il primo squillo di tromba, assordante e semplicemente unico». E nei libri di Knight non è tanto l’islam a essere riletto in un’ottica punk, quanto il punk a essere individuato in piena sintonia col risveglio musulmano nel mondo postmoderno. O per meglio dire, in America: infatti, è soprattutto nell’undergound dell’Estremo Occidente che si cerca di elaborare una sintesi solo apparentemente paradossale. L’autore, Michael Muhammad Knight, è un americano d’origine irlandese proveniente da una famiglia squinternata che nel corso della prima adolescenza si converte all’islam, va in Pakistan con il sogno di fare il sufi, infine torna in America. E raggiunta la maggiore età scrive un romanzo di successo ambientato in una singolare comunità di punk musulmani. Adesso ne Il diavolo dagli occhi blu racconta del suo viaggio da una parte all’altra degli Stati Uniti per ripercorrere la storia degli americani fedeli al Profeta Muhammad e ad Allah, dalle prime forme inventate dai neri americani a quelle dei giovani immigrati di seconda generazione. All’inizio sembra di stare in un On the road cinquant’anni dopo, in cui le suggestioni per l’Oriente buddhista e taoista si sostituiscono a quelle per le confraternite musulmane e la poesia mistica persiana. E con lo scorrere delle pagine sorge una certa curiosità verso un ambiente anticonformista, e infine nasce vera e propria simpatia per questo ameri cano trentenne cresciuto a Malcolm X e Public Enemy e convertitosi all’islam in una moschea di New York. E che due anni dopo la conversione va a studiare in una madrassa nel cuore del Pakistan, per ameripoi fare ritorno negli Usa dove si iscrive al college ma, anziché vivere nel dormitorio con altri studenti, affitta un appartamento tra musulmani… tutti punk. Dall’islam wahabita passa poi alla passione per lo sciismo e al vagabondare per due mesi in giro per gli States con gli autobus di linea. Una sorta di pellegrinaggio in un islam americano che non solo esiste – conta diversi milioni di fedeli – ma è più diffuso di quanto si piossa pensare. Basti pensare allla notizia di qualche tempo fa dell’adolescente che con i soldi dei genitori ha creato le T-Shirt: «I’m Muslim» (“sono musulmano”) che ha diffuso per tutti gli States.
Ecco, nel nuovo romanzo di Khnight i brani dei rapper sono citati almeno tanto quanto i mullah e le ragazze hijabi (velate) con cui il protagonista ha rapporti ravvicinati ma non completi. E dove fa capolino un islam per nulla chiuso o fondamentalista, quello in cui le donne pregano di fianco agli uomini e guidano la preghiera. Un islam non maschilista. Un islam in cui l’imam Hossein e il suo martirio a Karbala hanno, per l’autore, una curiosa somiglianza con Gesù Cristo. Uno spaccato di vita reale fatto di ribelli sulla scia del pugile Mohammed Alì e di Malcolm X, riot-girl con il burqa, preghiere e concerti.
Del resto, già da qualche anno, gli ambienti fondamentalisti l’hanno “giurata” all’autore del libro. Sin dal 2004 quando è stato pubblicato il suo primo romanzo, Islampunk. Ciò non ha comunque frenato il boom del taqwacore, diventato un vero e proprio movimento underground formato da centinaia di giovani punk islamici e decine di band musicali. E quando nel 2006 il libro è uscito in italiano, sempre per i tipi di Newton Compton con il titolo Islampunk, era qui evidente il richiamo al famoso brano degli anni Ottanta dei CCCP. Già la band emiliana guidata da Giovanni Lindo Ferretti aveva infatti intrapreso un percorso trascendente la dimensione militante da anni Settanta. E uno dei loro primi manifesti, «Punk Islam» appunto, delineava tratti molto in auge nella scena post-punk italiana degli anni ’80: atmosfera oscura, debitrice della scena industrial tedesca, e canto recitato dal tono profetico sempre in primo piano. Evocavano Istanbul, ponte ideale tra Europa e Asia e altri luoghi di frontiera e di confronto come Kreuzberg, territorio di confine ai tempi del muro che separava l’Europa in due blocchi ideologici, e ancora Istanbul, capitale di diversi imperi, ideale crocevia di culture e religioni diverse e a volte antitetiche.
Tornando a Knight bisogna dire che non è solo uno scrittore, ma un vero e proprio agitatore culturale. Il diavolo dagli occhi blu è ambientato a Buffalo, cittadina vicino a New York, mentre Islampunk veniva narrato dal punto di vista di uno studente di origine pakistana che non vuole andare nel campus universitario e decide di affittare una camera in una villetta di alcuni matti punk musulmani. Lì, un altro abitante è Jehangir Tabari, sufipunk sciupafemmine, grande organizzatore di festini e concerti. «Vorrei che l’Islam americano restasse così per sempre, libero come l’acqua », dice Tabari in uno degli spassosi dialoghi nella cucina della casa con il suo amico vagabondo di nome Ayyub lo Straordinario. Divertenti i dialoghi al limite del surreale per capire cosa può essere tollerato (makrooh) e cosa invece è decisamente proibito (haram).
Ma è indubbiamente una donna, Rabeya la protagonista indimenticabile dell’universo islampunk descritto da Knight. I suoi ragionamenti rappresentano il succo della loro ribellione: «Non sopporto chi dice che l’Islam è in un tal modo e qualsiasi deviazione dalla norma ti porterà tra le fiamme dell’inferno. A mio parere, la religione deve essere nostra...». Rabeya non accetta una lettura letterale del Corano, per esempio le pagine in cui si consiglia di picchiare le donne disobbedienti. nella loro comitiva, inoltre, il venerdì pomeriggio, tutti si tolgono gli scarponi e pregano. Poi, di notte, la stessa sala accoglie festa al ritmo di punk. È come se ci fossero due mon di completamente diversi: la “A” anarchica sulla bandiera dell’Arabia Saudita, il ritratto dell’ayatollah Khomeini con occhi e bocca tappati a richiamare i collage dei Sex Pistols sulla regina inglese. E poi ancora richiami alla tradizione libertaria del sufismo: «Non abbiamo studiosi, non abbiamo testi sacri. Ma un islam incasinato, da prendere come viene».
Muzammil invece è un punk gay musulmano amico del gruppo musicale Queer Jihad. È stato chiesto a Knight se esistono davvero situazioni simili a quelle della casa di Buffalo o ai personaggi protagonisti del romanzo Il diavolo dagli occhi blu. «Siamo sparsi per tutto il Nord America», ha risposto lo scrittore a un intervistatore statunitense, «ma è come se quella casa ce la portassimo dietro. Per un periodo, a Boston vivevo dentro un’automobile e il gruppo musicale dei Kominas voleva lasciarmi morire là dentro. Erano bei tempi e ci inventavamo situazioni incredibili. Era sempre un’avventura dovunque ci incontravamo, a New York o a Chicago. C’è tutto un mondo islamico underground negli Usa, ma la maggior parte della gente non lo conosce affatto, nemmeno gli stessi musulmani ». Ci sono stati i punk cristiani, punk induisti, quelli buddisti e adesso punk islamici. Ma il punk non era anarchico?
«La differenza – ha ribadito Knight – è che i taqwacore non tentano di fare i missionari. S’identificano con l’islam in maniera postmoderna. Molti sono laici ma hanno delle connessioni con la comunità musulmana. Altri sono autentici devoti. Il taqwacore non vuol fare propaganda islamica, ma creare uno spazio libero per il dialogo e il confronto onesto tra giovani musulmani. Per esempio una ragazza taqwacore può anche rifiutare la religione con cui è cresciuta. Ma non sarà mai considerata una vera americana, anche se è nata e ha vissuto in questa nazione. Quindi quella ragazza rifiuta tutte e due le culture. Il punk diventa una sfida al conservatorismo musulmano, l’lslam una sfida al razzismo degli Usa». E se gli si chiede chi crea più problemi tra la comunità ortodossa musulmana oppure i neoconservatori risponde: «Quelli, gli uni e gli altri, sono come le lumache, ogni cambiamento gli fa paura... Cerchiamo di non farci schiacciare da qualche esaltato integralista, da una parte o dall’altra». Knight comunque non pensa che i suoi libri siano solo d’intrattenimento. Ritiene infatti che questo suo ultimo romanzo possa fare riflettere sulle questioni religiose scardinando tutti i luoghi comuni :«Inizialmente, lo avevo scritto proprio per riflettere sulla mia conversione religiosa all’islam. Poi, di colpo, un sacco di gente giovane si è identificata e ne ha colto altri significati. Ero partito con l’idea di scrivere una storia mia, ma il libro è diventato un caso di attivismo politico. Penso che sia una faccenda interessante, vuol dire che non è più nelle mie mani, ora non sono più io a dover spiegarne il significato, lo sta facendo chi l’ha letto».
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Attento indagatore delle culture e delle dinamiche giovanili, collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

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