domenica 30 novembre 2008

Vedove e paccheri, ecco l'Italia magica e profonda di Gaetano Cappelli

Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 30 novembre 2008
La vedova, il Santo e il segreto del Pacchero estremo. Sembra una citazione del film di Lina Wertmüller del ’78 entrato nel Guinness dei primati per il titolo lunghissimo: Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova... si sospettano moventi politici. E invece si tratta dell’ultimo romanzo di Gaetano Cappelli, da pochi giorni nelle librerie (Marsilio, pp. 244, € 17). Protagonista – ammesso che di protagonista possa parlarsi in un romanzo corale come questo – è, anche qui, una vedova: Vera Gallo. «Sopra i cinquanta. Non altissima ma florida, carnale, bionda». Decisamente affascinante, come lo è nel film appena ricordato Titina, la vedova interpretata da Sofia Loren. Contesa da due bellissimi: Giancarlo Giannini, nei panni di un faccendiere, e Marcello Mastroianni, in quelli di un avvocato socialista. Entrambi l’avranno, ma il tutto finirà nella tragedia. Bang bang. Ovvero morti ammazzati. Niente di più lontano dalla filosofia cappelliana. Che l’ha detto chiaramente: «Non vorrei mai vedere un morto ammazzato». Figuriamoci scriverne. E infatti i suoi romanzi appartengono a pieno titolo alla commedia brillante all’italiana e i suoi personaggi richiamano in servizio – nel nostro immaginario – attori e soprattutto attrici che a quella straordinaria stagione di celluloide offrirono i visi. E non soltanto i visi. Leggendo d’un fiato l’opera buffa dello scrittore potentino è come se scorressero davanti a noi le immagini di un film con Gloria Guida o Edwige Fenech in una disintossicante terapia post-ideologica. Ma non divaghiamo, che è mestiere in cui Cappelli è insuperabile: ci strapazza con la caratteristica capacità affabulatoria, arricchisce la trama con colpi di scena a ripetizione e piacevolissime digressioni: come quando elenca in maniera minuziosa quanto esilarante le più sofisticate tecniche di seduzione dei “cercatori di vedove”.
Morti ammazzati, dicevamo, non ce ne sono. Anche se tutto ha inizio con la morte del ricchissimo marito di Vera, l’avvocato Felice Amodei, «una specie di feudatario meridionale scampato per caso all’epoca moderna e alla riforma fondiaria». La vedova lascia così Irsina, paesino di settemila anime in provincia di Matera, e si fa milanese. E qui Cappelli ci presenta personaggi irresistibili come l’analista Aaron Kaminsky, guaritore dei vip, e soprattutto Dario Villalta, gallerista di tendenza, “parente letterario” di quel Riccardo Fusco del precedente Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo (Marsilio, 2007). Dario è «alto, elegante, giovane con i suoi quarant’anni ben portati, bruno di capelli e carnagione» e ha due grandi passioni nella vita: le vedove e il Rinascimento. «Come per le opere d’arte, Dario le preferiva “vissute”; anzi, se non avevano superato la soglia fatidica dei cinquanta, lui neppure le vedeva». E se dalla natia Potenza il trasferimento a Milano aveva rappresentato la preziosa opportunità di lavorare in un’importante galleria, il rimpianto per la provincia non gli dà pace. Perché la città non è il luogo adatto per chi ha la vocazione del widowlover, dell’amante delle vedove. Troppe distrazioni, la vedova può persino mettersi a lavorare, elabora il lutto più in fretta. Quand’è quasi rassegnato, ecco che gli si presenta Vera.
E il Santo? E il segreto del Pacchero estremo? Altro n0n possiamo dire, se non che le sorti della vedova, caduta rapidamente in rovina, e di Dario si salderanno in un disegno “criminoso”: recuperare e vendere una scultura raffigurante San Vittore – una rarissima opera di Andrea Mantenga, maestro del Rinascimento? –che Vera ha lasciato nella villa in campagna, sequestrata e in attesa di asta giudiziaria.
Riguardo al Pacchero estremo non possiamo certo rivelarne la ricetta (di Mariasofia Marasca, chef misconosciuta che donerà un’inaspettata svolta alla storia) ma accennarne al potere: far innamorare chi mangia quello che potrebbe confondersi per un comune piatto di pasta. Non aggiungeremo altro, il libro va (de)gustato insieme con il ritratto ironico – senza farsi moralista – di certi ambienti radical chic avidi di sesso e denaro.
Per chi volesse servirsi la prima “paccariata” non rimane che recarsi il 12 dicembre a Napoli nelle sale del ristorante Palazzo Petrucci dove, alla presenza di Cappelli, lo chef Lino Scarallo darà la propria interpretazione del Pacchero estremo proprio seguendo le suggestioni che, di questa misteriosa ricetta, si danno nel libro.
Gli impazienti potranno chiedere delucidazioni direttamente all’autore già il 3 dicembre a Bari, alla presentazione organizzata dalla Feltrinelli alla presenza di uno dei personaggi: la studiosa Clara Gelao, che nel romanzo figura con il proprio nome e cognome. A lei si deve l’attribuzione ad Andrea Mantegna della statua di Sant’ Eufemia conservata nella chiesa di Irsina. «Leggendo a suo tempo la notizia – ha spiegato il più dandy dei nostri scrittori – mi sono detto: se c’è una scultura del Mantegna potrebbe essercene un’altra. Ecco allora il Santo del titolo».
Per i più sedentari, infine, c’è la possibilità di discuterne comodamente online, su Facebook, dove è già attivo un gruppo di “fans di Gaetano Cappelli, il Philip Roth italiano”. L’iniziativa è di Oreste Mottola, giornalista di Altavilla Salentina conquistato da Parenti lontani: «Straordinaria descrizione della nostra crescita di ragazzi degli anni Settanta in un paese del Sud». Un unico appunto: Cappelli è – semmai – il John Fante italiano. Non è certo un caso se quest’estate proprio Parenti lontani, tornato in libreria sia in edizione tascabile che in “cartonato” (Marsilio) a distanza di otto anni dalla sua prima apparizione, è stato insignito del premio John Fante 2008. Arturo Bandini, da lassù, sorride, anzi: ghigna.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Questo è un libro che si prefigge di far girare la testa e ritrovarla chissà dove chissà quando pieno com’è di invenzioni inverosimili che hanno molto divertito l’autore che infatti non ci ha capito niente nemmeno lui e non a caso nelle interviste dice una frase e poi ride lui sa perché noi no non avendo né la sua ironia né la sua intelligenza.

Forse ride pensando alle macchiette che ha descritto spacciandole per personaggi grazie a un santo per amico che in un noto giornale spacciandosi a sua volta per critico intercede presso i lettori anche se ora è in ribasso e qualcuno nello stesso giornale gi ha fatto le scarpe, al Cappelli: quando è troppo è troppo?

Se il lettore non capisce chi è il problema è suo. Del resto il lettore non può essere all’altezza dello scrittore specie se si chiama Cappelli altrimenti uno i romanzi se li scriverebbe da solo, Uno scrittore come il nostro sciorina ironia e intelligenza proprio mostrando quanto fresconi siano i personaggi che compongono i suoi libri: se li fabbrica e se li commenta da solo

Cappelli affronta come un puparo i drammetti amarognoli di chi è abbastanza privilegiato da avere solo problemi superflui - anche perché la realtà dei poveracci dei disoccupati e morti ammazzati dalle mafie indigene lo annoia: è una roba dice da comunisti e luj è ossessionato dai comunisti (ancora?!)

Il potentino con questo romanzetto sperava che se qualcuno mettendo un motoscafo in copertina era andato alla grande lui poteva fare altrettanto ma gli sta dicendo male, anche se nel sito dell’editore le stroncature a suo carico vengono ovviamente omesse. Quando è troppo è troppo?