Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di mercoledì 25 febbraio 2009
Quando, nei primi mesi del 1979, Le Monde si occupava per la prima volta di Alain de Benoist e del suo Grece (Groupement de recherche ed d’études sur la civilisation européenne), il gruppo metapolitico aveva da poco celebrato il suo XII Colloquio e il primo decennio di attività. Da allora, per quasi tutto l’anno, con un acme tra il marzo e il settembre ’79, la stampa francese fece a gara per segnalare, spiegare, commentare idee e strategie di quella che veniva presentata come l’ultima “novità” politico-culturale di una stagione che stava mandando in archivio gli schemi del sinistrese anni Settanta: la Nouvelle Droite, per noi italiani la Nuova Destra.
Qualche mese prima, in una loro inchiesta sulla droite in Francia, André Harris eAlain de Sédouy presentavano l’allora 36enne Alain de Benoist come l’equivalente, a destra, di Jacques Attali, il «giovane pensatore moderno ed eclettico», incarnazione di quella nuova destra che i socialisti francese tentavano di intercettare e rappresentare. «Ora – ha commentato Pierre-André Taguieff nel suo saggio Sulla Nuova Destra (edito in Italia da Vallecchi nel 2004) – la celebrazione del “diritto alla differenza” risultava condivisa dall’uno e dall’altro: indizio che un nuovo tema del discorso politico era in fase di installazione, il “diritto alla differenza” come metodo di rigenerazione dei progetti politici, a destra come a sinistra».
Di fatto, ha scritto il sociologo Giovanni Tassani, «i francesi si accorsero così improvvisamente di quanto fosse stabilmente installata nel cuore del loro sistema politico una destra con caratteristiche assolutamente impreviste»: modernità, anti-totalitarismo, pluralismo, una sensibilità né nazionalista né clericale. Se ne occupò tutta la stampa d’Oltralpe, da Le Nouvel Observateur sino alla gauchista e sartriana Libération. E furono appunto i media a coniare l’espressione Nouvelle Droite. «In realtà – ha raccontato Alain de Benoist – la corrente di pensiero cui venne dato il nome di Nuova Destra era apparsa già all’inizio del 1968, pressappoco nel momento in cui appariva anche la Nuova Sinistra. È però vero che quella campagna del 1979 ha incontestabilmente sancito una nostra spettacolare avanzata. Contrariamente all’obiettivo cui tendevano i suoi promotori, ci ha permesso di passare a un gradino superiore. E ci ha anche obbligato a un considerevole lavoro di spiegazione. Una campagna di stampa è infatti l’ultima cosa che possa permettere all’opinione pubblica di comprendere le tesi di una scuola di pensiero...».
In quel 1979, comunque, a sorprendere i francesi non era tanto il ruolo assunto da de Benoist, giovane e influente opinion maker che diceva la sua dalle colonne del Figaro magazine (che all’epoca vendeva oltre 500mila copie a settimana), né la funzione svolta dal direttore del settimanale, Louis Pauwels, anticipatore, negli anni Sessanta, con la sua rivista Planéte e il best seller – scritto insieme a Jacques Bergier – Il mattino dei maghi di un’offensiva culturale anti-illuminista improntata al “realismo magico”, quanto i grossi nomi che apparivano in qualche modo associati, come patrocinatori o simpatizzanti, alla Nouvelle Droite e che comprendevano intellettuali e accademici di fama internazionale – da Eliade a Dumézil – ma anche funzionari di ministeri e gabinetti politici di leader della destra governativa francese, generalmente ex allievi delle scuole post-universitarie per quadri superioti, a cominciare dall’Ena.
In quel 1979, comunque, a sorprendere i francesi non era tanto il ruolo assunto da de Benoist, giovane e influente opinion maker che diceva la sua dalle colonne del Figaro magazine (che all’epoca vendeva oltre 500mila copie a settimana), né la funzione svolta dal direttore del settimanale, Louis Pauwels, anticipatore, negli anni Sessanta, con la sua rivista Planéte e il best seller – scritto insieme a Jacques Bergier – Il mattino dei maghi di un’offensiva culturale anti-illuminista improntata al “realismo magico”, quanto i grossi nomi che apparivano in qualche modo associati, come patrocinatori o simpatizzanti, alla Nouvelle Droite e che comprendevano intellettuali e accademici di fama internazionale – da Eliade a Dumézil – ma anche funzionari di ministeri e gabinetti politici di leader della destra governativa francese, generalmente ex allievi delle scuole post-universitarie per quadri superioti, a cominciare dall’Ena.
E, in quell’inizio di ’79, la Nuova Destra irrompe anche in Italia. Alla fine del ’78 appare il primo numero di una rivista politico- culturale, Elementi, la cui stessa testata era mutuata dal mensile di Alain de Benoist, in un fenomeno di proliferazione di pubblicazioni, per lo più giovanili, che risentono molto dell’influenza francese: Dimensione ambiente, Eowyn, Dimensione cosmica, Diorama letterario, La Voce della Fogna... «Ma Elementi – ha osservato Tassani si pone in questo quadro come il punto alto se non il compimento di una tendenza in atto e suscettibile di sviluppo». Comunque, addirittura Candido, il settimanale espressione delle tendenze meno modernizzatrici della destra missina, nel gennaio ’79 pensò di nobilitarsi con l’inserimento di una rubrica fissa: “Il movimento delle idee” affidata niente di meno che a de Benoist in persona. Ma sarà soprattutto il quindicinale Linea, diretto da Pino Rauti e voluto all’inizio da Generoso Simeone, a ospitare dal marzo del ’79 scritti, interviste e temi della Nuova Destra. «Il grecismo – spiega ancora Tassani – vi è trasmesso come ideologia implicita e tema unificante di un discorso che dalla teoria e dalla politica passa ad abbracciare i più vasti campi della cultura giovanile: dalla musica al fantasy, al cinema, all’ecologia, alla poesia e letteratura beat. Degne di menzione su Linea le interviste al padre dell’etologia Konrad Lorenz, a Julien Freund, ai leader dei Grünen, i Verdi tedeschi, e, appunto, ad Alain de Benoist e alla Nuova Destra...».
Dieci anni dopo, lo stesso de Benoist, in un lungo colloquio con Gennaro Malgieri apparso sul nostro quotidiano, ritornava sul movimento di idee messe in atto nel ’79: «La Nuova Destra è sorta inopinatamente in Francia nel 1979, quando il nostro movimento esisteva già da dieci o dodici anni. Poi l’onda si è ampliata rapidamente: nello spazio di tre o quattro anni, ho potuto reperire la pubblicazione di migliaia di articoli e di una buona cinquantina di libri. Nella società dello spettacolo tutto ciò che può mostrarsi diventa proprio per questa ragione accettabile, anche se la Nd ha sofferto dell’immagine straordinariamente confusa che se ne è data all’opinione pubblica».
Adesso trent’anni dopo, arrivano un libro – Pensiero ribelle di Alain de Benoist (edito dalla Controcorrente di Pietro Golia, pp. 420, euro 30,00, tel. 081/421349) – e l’ultimo numero di Diorama letterario (il 291) a fornire ulteriori materiali di approfondimento. Il libro – che si presenta come il primo volume di due, e il secondo è annunciato tra due mesi – è una raccolta di interviste concesse da de Benoist a testate di tutto il mondo in un periodo temporale che va dai primi anni Ottanta al 2004. E scorrendolo, si vengono a percepire tanti aspetti davvero interessanti del pensiero debenoistiano. «Ritengo che il generale de Gaulle – affermava, ad esempio, l’intellettuale francese, nel 1984 – sia stato il solo, vero capo di Stato che la Francia abbia conosciuto da mezzo secolo a questa parte...». Oppure: «Non sono americanofobo, anche solo per il fatto che ho orrore delle fobie. Se ho criticato politicamente gli Stati Uniti, sono beninteso sensibile alla tradizione federalista e comunitaria della vita politica americana». Ma è soprattutto nell’analisi (e nella critica) delle varie destre che Pensiero ribelle si rivela un testo davvero utile. E delle tentazioni che attraversano questa parte dello scacchiere ideologico, de Benoist contesta l’economicismo, il nazionalismo, il moralismo e il razzismo. In particolare, andare a cercare consensi in un bacino pre-determinato dell’opinione pubblica di stampo conservatore equivale, secondo de Benoist, a «condannarsi in anticipo ad associarsi con ogni genere di persone inasprite, di perpetui perdenti, di ex di questo o di quello, con le loro nostalgie, le loro idee fisse, le loro insofferenze e i loro facili slogan. In questo modo un movimento politico è sempre più o meno prigioniero del suo pubblico. E con un tale pubblico non si possono enunciare che banalità o frasi fatte su temi importanti come la destrutturazione del legame sociale, la colonizzazione dell’immaginario simbolico, l’ingresso nell’universo postmoderno delle reti, le prospettive aperte dalle biotecnologie».
Lo stesso rifiuto di qualsiasi esclusivismo conservatore compare in una intervista pubblicata sull’ultimo numero di Diorama, la rivista diretta da Marco Tarchi: «La Nd – ricorda de Benoist – è nata da una “rottura” con l’estrema destra di cui alcuni dei suoi animatori avevano fatto parte in gioventù». E di quella vecchia destra, il difetto più costante sarebbe, a suo avviso, la tendenza a «confondere l’estremismo e lo spirito rivoluzionario, la sua inadeguatezza a comprendere la complessità delle cose, il suo gusto per le battaglie perse in partenza, i suoi rancori, le sue ossessioni...». Una sorta di pigrizia mentale che si ripara dietro l’alibi di una presunta retorica identitaria: «Ma l’identità – precisa de Benoist in Pensiero ribelle– non è un’essenza, un deposito intangibile, un semplice lascito del passato che rinvia a miti fondanti. L’identità è una sostanza, un racconto sostanziale, un processo narrativo, dialogico, dove si combinano in permanenza una parte oggettiva e una soggettiva. L’identità non è ciò che non cambia mai, ma ciò che definisce la nostra specifica maniera di affrontare il cambiamento». D’estrema attualità la riflessione sulla multietnicità: «La società multiculturale è in realtà un ossimoro. Viviamo in società sempre più multietniche ma, nel contempo, sempre più monoculturali: l’unica cultura che si impone è la cultura della merce».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
2 commenti:
Bella recensione. Corretta anche storicamente.
Certo, ci sarebbe molto da replicare, anche solo per il fatto che ormai De Benoist è sempre meno collocabile, mentre ho un po' l'impressione che tutti vogliano tirarlo dalla loro parte... Anche dall'attenzione che Lanna pone su alcune questioni rispetto ad altre si capisce come il pensiero debenostiano sia vasto e complesso: io avrei ad esempio privilegiato il De Benoist che negli ultimi 20 anni ha creato una sorta di "summa" per affrontare "da destra e da sinistra" i quesiti di una postmodernità che ora si sta imponendo attraverso una crisi terribile. Ma sono scelte.
Scusate la franchezza, ma dubito che attualmente An sia in grado di affrontare il pensiero debenostiano, soprattutto sul tema del ruolo europeo nella postmodernità. Si parla ancora troppo di Stato Nazionale, mentre Adb è da un'altra parte.
Per chiudere, sono sempre più portato a vedere Adb come un filosofo e un analista che non si presta alla militanza, ma all'elaborazione delle idee. Lo metto senza problemi vicino a gente come Bauman o Zizek.
E mi dispiace che ci siano ancora troppi pregiudizi su di lui, da parte di una sinistra un po' ottusa a cercare fascisti mentali (sebbene ci siano eccezioni, come Zolo o Barcellona). De Benoist, secondo me, dovrebbe essere pubblicato da Feltrinelli, non dalle solite case di destra o ritenute tali (con tutto il rispetto per alcune). Non perché io abbia dei pregiudizi verso alcune di queste case, molto oneste intellettualmente, ma perché sarebbe un'occasione per far uscire questo raffinato pensatore da un circolo vizioso. Adb è pubblicato da destra, quindi è di destra.
Non se ne esce, se non chissà quando.
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