giovedì 26 febbraio 2009

Sette canzoni d'amore per San Valentino... anche se in ritardo (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 15 febbraio 2009
Sette canzoni. Un omaggio tardivo al San Valentino 2009. Oppure, ribaltando la prospettiva (come i bravi romanzieri, come i pessimi politici), il più tempestivo degli omaggi al San Valentino 2010. Sette canzoni d’amore. Da ascoltare, o da riascoltare, separatamente. Da scoprire, o da ripensare, una per una. Pietre preziose che risplendono meglio da sole. Troppo belle, e troppo diverse, per assieparle una accanto all’altra. Sette alternative tra le quali scegliere di volta in volta, in base all’umore del momento, ai sogni del presente o del futuro, alle delusioni del passato. Sette canzoni italiane e straniere. Più o meno famose. Disseminate sull’arco di circa trent’anni. Versioni di parte, come la massima parte dei ricordi e come la totalità delle fantasie. Specchi deformanti che ingigantiscono solo alcuni dettagli. E poi dipende da te. Talismani alla portata di tutti. Monetine ben spese da inserire nel salvadanaio della memoria personale o, più probabilmente, nello sterminato juke-box di Internet. Sette scommesse, o sette carte dei tarocchi. Ed ecco la prima. La più accattivante. La più ingannevole. Eric Clapton: Wonderful tonight. Uno di quei giorni, una di quelle sere, in cui la bellezza femminile è puro incanto. In cui ti riempie gli occhi di meraviglia e il cuore di gratitudine. In cui lei, la sua immagine, la sua presenza, sembrano avvolte da una luce interiore costante e invincibile. Il desiderio di dirglielo. Il piacere di dirglielo. «Mi chiede “sono bella?” / rispondo “sì, sei splendida, stasera.»
Bob Dylan: Sara. L’innamoramento iniziale che è ormai alle spalle. Lei è diventata tua moglie. La madre dei tuoi figli. Giureresti che l’ami, e probabilmente anche lei direbbe lo stesso, ma intanto i vostri sguardi si cercano di meno. L’attrazione sopravvive, ma non può più permettersi di essere spensierata. L’ammirazione istintiva sta già mutando in osservazione consapevole. Ricerca di conferme. Riepilogo di sensazioni e di pensieri precedenti. Un’arringa che rivolgi a te stesso per esorcizzare il rischio di un processo. Di una sentenza. La canzone diventa troppo lunga; e il verso migliore, non a caso, si trova quasi all’inizio: «Sara, così facile da guardare, così difficile da definire».
Francesco De Gregori: Buonanotte, fiorellino. Fiorellino con la minuscola, o con la maiuscola? Dipende da come scrivi la parola “amore”, nel chiuso della tua mente, quando pensi a lei. Dipende dalla cura con cui tracci le lettere. E con cui scegli, se lo scegli, il colore con cui ravvivarle. Dipende dal fatto che ci sia un futuro oppure no. Dalla voglia che hai tu di trovarlo. La musica suadente del valzer è dolce, e farebbe pensare al meglio. Le parole oscillano pericolosamente tra gentilezza e brutalità: la gentilezza di «ti ringrazio di avermi stupito, per avermi giurato che è vero»; la brutalità di «per sognarti devo averti vicino, e vicino non è ancora abbastanza». Ma la bilancia, a ben vedere, pende già dalla parte della seconda. E col tempo, infatti, scomparirà anche la cadenza un po’ ruffiana dell’originale, in favore di un’asprezza che toglie ogni dubbio. Le donne deluse diventano spietate. Ma anche noi uomini non scherziamo.
Eugenio Finardi: Patrizia (Fragole e panna). Intesa assoluta. Amore e amicizia. Stima e passione. «Hai il cuore pulito come appena nevicato / ma caldo e forte come un cavallo imbizzarrito / Ti amo perché sei solare, perché ti so toccare / ti amo per come mi ami tu». Un nodo saldissimo che pare destinato a non sciogliersi mai. Un sogno che chiunque vorrebbe fare, nella speranza alquanto folle che non abbia mai fine. Perché poi, una volta perduto, sarà impossibile dimenticarsene. E allora sì che sarà dura. Resterà lì come un’apoteosi ineguagliabile, come il termine di paragone che ridimensiona tutti gli altri. Che annichilisce tutti gli altri. Eppure, mille volte meglio la dannazione del rimpianto per ciò che è venuto e poi se n’è andato, che l’attesa inutile di quello che non verrà mai.
Elliott Murphy: Last Call. L’ultima chiamata alla donna che ti ha lasciato, sperando contro ogni logica, contro ogni evidenza, che non sia realmente, definitivamente, così. L’invito a passare un’ultima notte insieme, come se la lacerazione e la sofferenza di un amore finito si potessero sanare aggiungendo una scena che assomigli, almeno un poco, almeno all’apparenza, a un happy end. Rendersi conto di non aver prestato sufficiente attenzione a ciò che accadeva mentre accadeva, e di non essere stati capaci, perciò, di trasformarlo in un’adeguata riserva di ricordi. «Sdraiati accanto a me, e sii mia, stanotte / Non parlerò del domani / se solo spegni la luce».
Ivano Fossati: Il bacio sulla bocca. L’esatto contrario di Last Call. L’emisfero felice in cui germoglia la primavera, e si va incontro all’estate. L’amore nella sua fase iniziale, con quel delizioso miscuglio di accuratezza e di spontaneità, con le movenze in bilico tra goffaggine e armonia di chi comincia appena adesso ad avvicinarsi, e a conoscersi. La rigenerazione degli adulti che si riscoprono giovani, o giovanissimi. «Bella, non ho mica vent’anni / ne ho molti di meno / e questo vuol dire, capirai, responsabilità / Volami addosso / inciampa piuttosto che tacere / e domanda, piuttosto che aspettare».
Bruce Springsteen: Valentine’s Day. L’uomo sta viaggiando in auto, e il viaggio è ben lontano dall’avere termine. Ci sono ancora molte miglia da percorrere. Sa dove sta andando, non sa se troverà quel che cerca. «Dicono che viaggia più veloce chi viaggia da solo / ma stanotte mi manca la mia ragazza, signore, stanotte mi manca casa mia.» Tra lui e lei ci sono stati dei problemi. C’è stato un allontanamento. Forse è lui stesso ad averlo voluto. Ma poi è accaduto qualcosa che lo ha indotto a ripensarci, a capire che non era questo, ciò che desiderava davvero. Ora vorrebbe ricominciare. Ora che è tutto chiaro dentro la sua mente e il suo cuore. «Stringimi forte, piccola, dimmi che sarai per sempre mia». La canzone è alla fine. Il viaggio nel buio non ancora. Non è l’inizio di un dialogo: è un’invocazione lanciata nel chiuso di un’automobile, nella profondità di una notte solitaria. In un “giorno di San Valentino” che non è dato sapere se si sta avviando verso l’alba, o se è irrimediabilmente alle spalle.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000 su Ideazione.com. Attualmente, tra l’altro, cura la rubrica “Ad alto volume” sull’edizione domenicale del "Secolo d’Italia" e collabora al mensile “La voce del ribelle”, la neonata rivista diretta da Massimo Fini. Ogni lunedì sera, dalle 21 alle 23, conduce la trasmissione web “The Ghost of Tom Joad” su http://www.radioalzozero.net/.

1 commento:

Anonimo ha detto...

A me piace Il bacio sulla bocca perche' segna lo spartiacque tra due vite. La tengo da parte per il mio addio al nubilato. E' una di quelle canzoni che non associ a un volto conosciuto: restituisce l'idea dell'incontro... Quello per la vita!