Articolo di Errico Passaro
Dal Secolo d'Italia di martedì 10 marzo 2009
Evviva! Finalmente raccolti in un unico volume i primi due cicli completi di Bouncer (Magic Press, pp. 300, euro 23) di Alejandro Jodorowsky, poligrafo di genio, e Francois Boucq, uno dei grandi del fumetto franco-belga. Con tutto il rispetto per Boucq, è Jodorowsky a catalizzare la nostra attenzione, come artista di genio capace di parlare con immutata freschezza ed inventiva a tre distinte generazioni.
“Jodo” nasce in Cile 80 anni fa da genitori ebrei sfuggiti ai pogrom russi. Nel 1953 si trasferisce a Parigi, dove accosta i Surrealisti e scrive pantomime per il mimo Marcel Marceau, per poi darsi alla pittura e allo scenografia. Nel 1962 fonda il movimento teatrale “Panico”, con Fernando Arrabal e Roland Topor. Tre anni dopo è in Messico con Marceau, e vi resta per un decennio, dando vita al “teatro di avanguardia del Messico”, basato su un amalgama di umorismo, atletismo ed erotismo. Sempre in quel periodo adatta per il cinema “Il paese incantato” di Arrabal e gira i suoi due film più celebri, “La montagna sacra” ed “El topo” (saranno sette in totale le pellicole da lui filmate). In quegli anni comincia a frequentare il fumetto da sceneggiatore ed illustratore, iniziando una carriera che lo porterà a scrivere, fra gli altri, per artisti del calibro di Moebius (“Le avventure di John Difool”), Gimenez (“La Casta dei Metabaroni”), Jangetov (“I Tecnopadri”), Bess (“Il lama bianco”, “Juan Solo”), Moro (“Annibal 5”) e Manara (“I Borgia”). In coppia con Moebius, scrive una versione per la celluloide di “Dune” di Frank Herbert, purtroppo mai portata sul grande schermo, in cui si prevedeva una partecipazione di Dalì come attore e di Giger come scenografo: la pellicola sarà affidata a David Linch, che utilizzerà solo una minima parte dei lavori preparatori originali. Nel 1996 vince il Premio Alph’Art quale migliore scrittore per la serie “Juan Solo”. Si fa conoscere anche per le sue letture dei Tarocchi Marsigliesi e per i suoi seminari di filosofia, in cui introduce il concetto di “psicomagia”. Per tenere fede alla sua fama, continua a dar scandalo con gesti eccentrici, come celebrare il matrimonio fra la rockstar Marylin Manson e Dita Von Teese, regina del burlesque, o tenere provocatorie rubriche del cuore intitolate “Psicoposta”.
Con “Bouncer” Jodorowsky torna dalle parti del western mistico de “El topo”. Lì, come ricorderanno i lettori appassionati del genere, avevamo un pistolero nero che sfidava i quattro Grandi Maestri per diventare il più grande. Uccideva il primo con uno stratagemma. Batteva il successivo al secondo tentativo, uccidendo anche la madre chiromante. Al terzo faceva credere di essere stato colpito a morte, per poi giustiziarlo. Il quarto, anziano e stanco, si toglieva la vita prima ancora di duellare con lui e, così, El topo veniva sconfitto, perché non era riuscito a vincerlo.
Qui l’asse narrativo non fa perno sul duello, ma sul motivo altrettanto tradizionale della vendetta. In questo caso, il rito della vendetta si celebra contro i notabili che hanno distrutto i territori della tribù degli uomini-serpente per far arrivare la ferrovia e lucrare lauti guadagni. La vendetta si attua attraverso le azioni e reazioni scatenate dal protagonista, il “bouncer” appunto, ovvero il buttafuori di un saloon: uno strano tutore dell’ordine mutilato di un braccio (tema ricorrente, quella della deformità: il Primo Maestro del “El Topo” ha due aiutanti, uno privo di braccia ed uno privo di gambe; la caverna dove El Topo è portato dopo essere stato ferito è custodita da mutilati).
Nel corso della storia emergono tre temi principali: il tema sociale, il tema culturale e il tema spirituale.
Il tema sociale è legato al concetto di “minoranza” e alle frizioni che si danno in un contesto pubblico in divenire. Per usare le parole di Luca Raffaelli nell’”Almanacco dei Libri”, supplemento culturale di “Repubblica”, Jodorowsky descrive un “…west senza dio e senza stato, in cui la stragrande maggioranza dell’umanità mostra il peggio di sé (sembra di essere sempre in stato di guerra)”. Chi oggi parla di “Far West Italia”, di fronte alle difficoltà di ambientamento delle ultime ondate di immigrati e alla rivolta popolare organizzata in ronde e giustizieri sparsi, dimentica che una grande Nazione come gli Stati Uniti Uniti d’America è nata proprio dall’incontro/scontro di etnie. “Bouncer” si sofferma, in particolare, sulla resistenza opposta dai nativi americani all’invasione dello straniero e sul ruolo ambiguo svolto dalla componente cinese in questa colonizzazione coatta. Questa società si basa su ruoli ed identità definite, con i poteri e le connesse responsabilità, anche quella di far valere la legge con la forza.
Il tema culturale si sviluppa intorno ad alcune contrapposizioni. Una prima dicotomia è fra “antico regime” e “nuova frontiera”, con gli individui spinti a lottare fra di loro e contro i propri stessi limiti per allargare il loro spazio vitale (fisico e mentale). Una seconda dicotomia è fra “civiltà” e “barbarie”: i “bianchi” si presumono portatori di uno stile di vita superiore, ma, come accade anche in altri sottogeneri letterari, si scopre che, in realtà, il codice d’onore dei barbari è assai più evoluto e a misura d’uomo delle sofisticherie della cosiddetta civiltà (in questo senso, vale la pena ricordare che un concetto analogo è stato sviluppato da Robert Howard, peraltro intriso di cultura della frontiera, con i racconti dedicati a Conan; ma si potrebbe dire altrettanto di tutti i romanzi di fantasia eroica, che recuperano il Medioevo a lungo considerato un’epoca buia). Esempi di queste regole etiche? Bouncer, che non vuol essere boia contro la propria volontà, e il padre di lui, Alce Bianco, che si lascia uccidere dalla pistolera Antoine Grant pronunciando queste parole “Il sacro dovere di una figlia è vendicare colui che le ha donato la vita…voglio morire con l’onore di aver saldato ogni debito…”. Una terza dicotomia è, infime, quella fra tradizione, rappresentata dalla cultura orale dei nativi americani, e modernità, rappresentata dalla tecnologia importata dai “visi pallidi”.
Il tema principale è, però, quello spirituale. Le storie di Jodorowsky sono imparentate strettamente con il misticismo di Gurdjeff e, ancor di più, con la sapienza visionaria del Carlos Castaneda di “A scuola dallo stregone” e “Una realtà separata” (Astrolabio), con i suoi viaggi spirituali nella “realtà non ordinaria”, con la sua tensione a trasformare l’uomo comune in “uomo di conoscenza” ben studiata da Elemire Zolla nel suo “I letterati e lo sciamano” (Marsilio). La sua psicomagia incrocia il surrealismo di Breton, basato sulla forza di suggestione, con la medicina tradizionale della guaritrice messicana Paquita, da lui incontrata negli anni ’60. Così, scopriamo che il “bouncer” da bambino ha “scoperto la cultura di mio padre…i riti…i canti…le preghiere” . Veniamo anche a sapere che il ragazzino Seth, preso sotto l’ala protettiva del “bouncer”, si sottopone alla prove iniziatiche da questi somministrate, nel segno del pensiero che “un maestro è per sempre. Anche morto, continua a vivere in noi”. C’è spazio anche per la spiritualità cattolica, quando l’autore fa recitare ad un pioniere la preghiera “Grazie Signore, per il grano generoso che fai crescere su quest’arida terra…grazie, Signore, per il sale, simbolo di purezza dell’anima”, che, incidentalmente, richiama anche il forte senso della terra di quella gente, oggi purtroppo perduto. C’è persino un rinvio alle filosofie orientali, attraverso i motti di Yin Li, tenutaria di una fumeria di oppio, che dispensa perle di saggezza come “Ascolta cadere la pioggia…ascolta soffiare il vento. Sono il tempo che passa, il suo potere…è far dimenticare il passato”.
“Jodo” nasce in Cile 80 anni fa da genitori ebrei sfuggiti ai pogrom russi. Nel 1953 si trasferisce a Parigi, dove accosta i Surrealisti e scrive pantomime per il mimo Marcel Marceau, per poi darsi alla pittura e allo scenografia. Nel 1962 fonda il movimento teatrale “Panico”, con Fernando Arrabal e Roland Topor. Tre anni dopo è in Messico con Marceau, e vi resta per un decennio, dando vita al “teatro di avanguardia del Messico”, basato su un amalgama di umorismo, atletismo ed erotismo. Sempre in quel periodo adatta per il cinema “Il paese incantato” di Arrabal e gira i suoi due film più celebri, “La montagna sacra” ed “El topo” (saranno sette in totale le pellicole da lui filmate). In quegli anni comincia a frequentare il fumetto da sceneggiatore ed illustratore, iniziando una carriera che lo porterà a scrivere, fra gli altri, per artisti del calibro di Moebius (“Le avventure di John Difool”), Gimenez (“La Casta dei Metabaroni”), Jangetov (“I Tecnopadri”), Bess (“Il lama bianco”, “Juan Solo”), Moro (“Annibal 5”) e Manara (“I Borgia”). In coppia con Moebius, scrive una versione per la celluloide di “Dune” di Frank Herbert, purtroppo mai portata sul grande schermo, in cui si prevedeva una partecipazione di Dalì come attore e di Giger come scenografo: la pellicola sarà affidata a David Linch, che utilizzerà solo una minima parte dei lavori preparatori originali. Nel 1996 vince il Premio Alph’Art quale migliore scrittore per la serie “Juan Solo”. Si fa conoscere anche per le sue letture dei Tarocchi Marsigliesi e per i suoi seminari di filosofia, in cui introduce il concetto di “psicomagia”. Per tenere fede alla sua fama, continua a dar scandalo con gesti eccentrici, come celebrare il matrimonio fra la rockstar Marylin Manson e Dita Von Teese, regina del burlesque, o tenere provocatorie rubriche del cuore intitolate “Psicoposta”.
Con “Bouncer” Jodorowsky torna dalle parti del western mistico de “El topo”. Lì, come ricorderanno i lettori appassionati del genere, avevamo un pistolero nero che sfidava i quattro Grandi Maestri per diventare il più grande. Uccideva il primo con uno stratagemma. Batteva il successivo al secondo tentativo, uccidendo anche la madre chiromante. Al terzo faceva credere di essere stato colpito a morte, per poi giustiziarlo. Il quarto, anziano e stanco, si toglieva la vita prima ancora di duellare con lui e, così, El topo veniva sconfitto, perché non era riuscito a vincerlo.
Qui l’asse narrativo non fa perno sul duello, ma sul motivo altrettanto tradizionale della vendetta. In questo caso, il rito della vendetta si celebra contro i notabili che hanno distrutto i territori della tribù degli uomini-serpente per far arrivare la ferrovia e lucrare lauti guadagni. La vendetta si attua attraverso le azioni e reazioni scatenate dal protagonista, il “bouncer” appunto, ovvero il buttafuori di un saloon: uno strano tutore dell’ordine mutilato di un braccio (tema ricorrente, quella della deformità: il Primo Maestro del “El Topo” ha due aiutanti, uno privo di braccia ed uno privo di gambe; la caverna dove El Topo è portato dopo essere stato ferito è custodita da mutilati).
Nel corso della storia emergono tre temi principali: il tema sociale, il tema culturale e il tema spirituale.
Il tema sociale è legato al concetto di “minoranza” e alle frizioni che si danno in un contesto pubblico in divenire. Per usare le parole di Luca Raffaelli nell’”Almanacco dei Libri”, supplemento culturale di “Repubblica”, Jodorowsky descrive un “…west senza dio e senza stato, in cui la stragrande maggioranza dell’umanità mostra il peggio di sé (sembra di essere sempre in stato di guerra)”. Chi oggi parla di “Far West Italia”, di fronte alle difficoltà di ambientamento delle ultime ondate di immigrati e alla rivolta popolare organizzata in ronde e giustizieri sparsi, dimentica che una grande Nazione come gli Stati Uniti Uniti d’America è nata proprio dall’incontro/scontro di etnie. “Bouncer” si sofferma, in particolare, sulla resistenza opposta dai nativi americani all’invasione dello straniero e sul ruolo ambiguo svolto dalla componente cinese in questa colonizzazione coatta. Questa società si basa su ruoli ed identità definite, con i poteri e le connesse responsabilità, anche quella di far valere la legge con la forza.
Il tema culturale si sviluppa intorno ad alcune contrapposizioni. Una prima dicotomia è fra “antico regime” e “nuova frontiera”, con gli individui spinti a lottare fra di loro e contro i propri stessi limiti per allargare il loro spazio vitale (fisico e mentale). Una seconda dicotomia è fra “civiltà” e “barbarie”: i “bianchi” si presumono portatori di uno stile di vita superiore, ma, come accade anche in altri sottogeneri letterari, si scopre che, in realtà, il codice d’onore dei barbari è assai più evoluto e a misura d’uomo delle sofisticherie della cosiddetta civiltà (in questo senso, vale la pena ricordare che un concetto analogo è stato sviluppato da Robert Howard, peraltro intriso di cultura della frontiera, con i racconti dedicati a Conan; ma si potrebbe dire altrettanto di tutti i romanzi di fantasia eroica, che recuperano il Medioevo a lungo considerato un’epoca buia). Esempi di queste regole etiche? Bouncer, che non vuol essere boia contro la propria volontà, e il padre di lui, Alce Bianco, che si lascia uccidere dalla pistolera Antoine Grant pronunciando queste parole “Il sacro dovere di una figlia è vendicare colui che le ha donato la vita…voglio morire con l’onore di aver saldato ogni debito…”. Una terza dicotomia è, infime, quella fra tradizione, rappresentata dalla cultura orale dei nativi americani, e modernità, rappresentata dalla tecnologia importata dai “visi pallidi”.
Il tema principale è, però, quello spirituale. Le storie di Jodorowsky sono imparentate strettamente con il misticismo di Gurdjeff e, ancor di più, con la sapienza visionaria del Carlos Castaneda di “A scuola dallo stregone” e “Una realtà separata” (Astrolabio), con i suoi viaggi spirituali nella “realtà non ordinaria”, con la sua tensione a trasformare l’uomo comune in “uomo di conoscenza” ben studiata da Elemire Zolla nel suo “I letterati e lo sciamano” (Marsilio). La sua psicomagia incrocia il surrealismo di Breton, basato sulla forza di suggestione, con la medicina tradizionale della guaritrice messicana Paquita, da lui incontrata negli anni ’60. Così, scopriamo che il “bouncer” da bambino ha “scoperto la cultura di mio padre…i riti…i canti…le preghiere” . Veniamo anche a sapere che il ragazzino Seth, preso sotto l’ala protettiva del “bouncer”, si sottopone alla prove iniziatiche da questi somministrate, nel segno del pensiero che “un maestro è per sempre. Anche morto, continua a vivere in noi”. C’è spazio anche per la spiritualità cattolica, quando l’autore fa recitare ad un pioniere la preghiera “Grazie Signore, per il grano generoso che fai crescere su quest’arida terra…grazie, Signore, per il sale, simbolo di purezza dell’anima”, che, incidentalmente, richiama anche il forte senso della terra di quella gente, oggi purtroppo perduto. C’è persino un rinvio alle filosofie orientali, attraverso i motti di Yin Li, tenutaria di una fumeria di oppio, che dispensa perle di saggezza come “Ascolta cadere la pioggia…ascolta soffiare il vento. Sono il tempo che passa, il suo potere…è far dimenticare il passato”.
Errico Passaro. Ufficiale dell'Aeronautica Militare, dottore in giurisprudenza, è giornalista pubblicista. Ha pubblicato su testate e collane professionali un saggio in volume, oltre 100 racconti e cinque romanzi: "Il delirio", Solfanelli; "Nel solstizio del tempo", Keltia; "Gli anni dell'aquila", Settimo Sigillo; "Le maschere del potere", Nord; "Inferni", Secolo d'Italia. Dal 12 maggio è in libreria il romanzo fantasy (scritto con Gabriele Marconi) "Il Regno Nascosto" (Dario Flaccovio Editore).
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