venerdì 20 marzo 2009

Noi, a destra nell'epoca post-egemonica (di Annalisa Terranova)

Articolo di Annalisa Terranova
Dal Secolo d'Italia di venerdì 20 marzo 2009
Più che tempi bui, per la destra, sono tempi “liquidi”. Non si miscelano solo gli iscritti e i simboli, ma anche le biblioteche. E tanto basterebbe a mettere la parola fine al dibattito giornalistico sui nuovi “auctores” di riferimento dell’area pidiellina. Se non ci fosse da chiarire una cosa molto semplice: i titoli polverosi degli antichi manieri edificati nel “ghetto” non sono stati “sdoganati” da anni di strappi e di svolte, sono stati sempre lì, a disposizione di chi voleva attingervi, per dissetarsi con liquidi fuori mercato e fuori target. E perciò, impostare tutta la faccenda con il saliscendi delle freccette (tipo sale Saviano al posto di Pasolini, scende Battiato per lasciare posto a Willy Coyote) è un po’ fuorviante.
Ha ragione Giano Accame, che qualche lettura alle spalle ce l’ha, quando prevede che i grandi amati dalla destra si confonderanno con gli altri. Una cultura liquida, dunque, ma più che diluita finalmente condivisa, cioè sottratta ai bilancini delle etichette, per cui Julius Evola stava alla destra di Eliade e Eliade alla destra di Del Noce che a sua volta era a destra di Plebe e Nietzsche era “oltre” (come Berto Ricci e altri).
Un divertimento da bamboccioni archivisti, frutto delle ambizioni pedagogiche degli anni Settanta, quando anche a sinistra ti fornivano l’elenco delle letture consigliate per la formazione del bravo militante. Ma la catalogazione dalle parti nostre non è mai andata per la maggiore, era sull’altro fronte che si tagliava in due la cultura dividendola in “alta” e “bassa”, si teorizzava l’egemonia e si faceva “rete”. Per fortuna tutto questo fa parte di un altro ciclo, come il piagnisteo di moda a destra per l’emarginazione subìta da parte degli intellettuali “comunisti cattivi”. La catalogazione scattava però come un riflesso condizionato, per cui se al liceo chiedevi: «Scusi prof, ma perché saltiamo Nietzsche?» ti sentivi rispondere: «Perché era un filosofo nazi». Stesso trattamento per Heidegger, relegato nel manuale alle note a piè di pagina.
Ciò non impediva a chi stava con un piede fuori dal gregge di formarsi politicamente in autarchica libertà. Per esempio Gianni Borgna, assessore alla Cultura a Roma per oltre un decennio, ha candidamente confessato che la sua formazione non sarebbe stata la stessa senza la lettura di Ezra Pound e Céline. E Giampiero Mughini già in un libro del 1987, Compagni addio, scriveva a proposito di Robert Brasillach: «È lecito restituire alla storia e all’agonia dell’Europa di questo secolo i volti tragici di questi suoi figli?». Quando uscì il film tratto dal romanzo di Michael Ende La Storia infinita, su un foglio scritto da alcuni giovani del FdG che si chiamava La Contea, uscivano paginate sulla fantasy antiedonista dell’autore tedesco firmate da Annamaria Stramondo. I raduni di Azione Giovani sarebbero arrivati solo nel 1998 perché anche nella storia politica, come nella storia in generale, ogni pietra viene messa su addentellati precedenti e l’importante è avere una visione prospettica d’insieme. Come sintetizzare questo cammino tortuoso? Diciamo che, alla fine, la cultura cosiddetta di destra (ma sarebbe meglio definirla cultura che la sinistra guardava con sospetto) ha contaminato la società italiana per successive espansioni, portata a volte dall’onda della moda a volte scoperta per la vigile curiosità di intellettuali veri. Senza che mai, questo va detto, i partiti (e soprattutto quello che alla destra faceva capo) mettessero in atto una strategia consapevole su materie che, Quanchissà poi perché, si ritengono improduttive per la conquista del consenso.
Fece rumore, ma non per chi da tempo aveva smesso di etichettare autori e libri, il fatto che a metà degli anni Novanta i giovani del Pds (nato dall’ex Pci) sceglievano come libro preferito Il Trattato del ribelle di Ernst Jünger, ridondante della simbolica della selva, del bosco, del rifugio iniziatico dove l’uomo scopre la dimensione della “vita nova”, scava nel profondo per trovare la fonte che zampilla e via discorrendo con altre metafore antiborghesi. E non è l’unica trasgressione che la sinistra si è permessa: ci sono oggi femministe disposte a dire che l’Evola di Metafisica del sesso è molto interessante perché sottrae il principio della femminilità al dato storico e lo “eternizza”. L’inventario della cultura della crisi, che comprende tutta la carrellata degli autori della “rivoluzione conservatrice” fu fatto nei primi anni Ottanta da una ricercatrice non certo di destra, Michela Nacci, la quale comprese che la cifra che teneva insieme Huizinga e D.H. Lawrence, Michels e Guénon, era la corrosiva presa di distanza dall’ottimismo progressista per maturare una nuova consapevolezza rispetto ai tempi moderni.
Questo per far capire che, sotto traccia, gli autori che la destra ha letto, amato e commentato, hanno sempre avuto una grandezza riconosciuta e riconoscibile e che soltanto un piatto conformismo ha impedito e alla destra di valorizzarli a pieno e alla sinistra di inserirli nell’album di famiglia. Certo non sarebbe privo di interesse discutere su chi ha “sdoganato” di più il fascismo: se Renzo De Felice con i suoi studi storici o Corrado Guzzanti con la sua parodia di “Fascisti su Marte” o lo stesso Gianfranco Fini abbandonandolo finalmente come categoria e lasciandolo scorrere nel fiume che porta con sé i sedimenti della me moria. Ma sarebbe abbastanza inutile rispetto all’evoluzione del quadro politico in atto. La verità è che è sempre imbarazzante discutere dei pantheon di riferimento di nuovi soggetti politici che nascono e qualcosa di simile si è vissuto anche quando si è dibattuto sul pantheon del Pd. Ogni filone culturale, se museificato e sistematizzato in una “dottrina”, smette di essere vitale, cessa di essere a disposizione di tutti.
Dopo Fiuggi la destra italiana ha avuto l’ossessione dell’identità, delle radici da non far “gelare”, impegnandosi a declinare nell’attualità un pensiero mai prima verificato nella relazione con l’altro. Oggi l’atteggiamento sarà presumibilmente diverso: si tratterà con atteggiamento inclusivo di verificare sul campo l’insorgere di altre categorie, lasciandosi alle spalle quelle ormai inservibili di “destra” e “sinistra” e magari azzardando l’esperimento di coniugare il localismo di Alain de Benoist, che ammette solo la democrazia partecipata dal basso come soluzione alla tirannia delle maggioranze, con l’analisi di Alexis de Tocqueville, che a tutti noi pone la domanda di conciliare l’eccellenza (questione cara alla destra) con l’orizzonte paritario della democrazia.
La fine del ciclo della destra neofascista ha immesso da tempo filoni importanti nel mare magnum della riflessione collettiva portandosi con sé lo stucchevole gioco delle etichettature a destra e a sinistra così come la nascita del Partito democratico ha obbligato la sinistra a fare i conti con sintesi che prima venivano aggirate per troppo affetto verso gli schemi del passato. È presto per dire se tutto ciò porterà a un’Italia normale ma è certo che ha già portato a una cultura normale, vissuta e condivisa da tutti: non a caso sono prima i lettori ad accorgersi di Roberto Saviano e dopo, solo molto dopo, i partiti rincorrono il fenomeno. Fuori da ogni egemonia, fuori da ogni assurdo complesso di inferiorità.
Annalisa Terranova è nata a Roma nel 1962, giornalista e scrittrice. Caposervizio al "Secolo d’Italia", è redattrice al mensile "Area" e collabora con varie testate. E' stata tra le fondatrici del Centro Studi Futura ed attiva nella rivista "Eowyn". Ha pubblicato (per le edizioni Settimo Sigillo), Planando sopra boschi di braccia tese ('96), saggio sul movimento giovanile del MSI, e Aspetta e spera che già l’ora si avvicina (2002), dedicato agli eventi di Alleanza Nazionale in rapporto alla svolta di Fiuggi. Recentemente ha pubblicato Camicette nere. Donne di lotta e di governo da Salò ad Alleanza Nazionale (Mursia, 2007).

1 commento:

CampaniArrabbiata ha detto...

Gli articoli di Annalisa Terranova sono sempre magnifici.