Dal Fondo n. 41 / 23 marzo 2009
Il discorso di Fini, davanti alla platea che ha deciso lo scioglimento di An nel Pdl, non ha deluso. Non i suoi compagni di partito che lo hanno accolto molto freddamente, compresi i fedelissimi, ma chi a sinistra guarda con interesse la fine di inutili contrapposizioni ideologiche per mettere al centro valori nuovi e condivisi.
Quali? Per esempio la laicità e il rispetto sempre e comunque della dignità della persona, sia essa migrante o cosiddetta italiana. Fini lo ha fatto con coraggio sapendo, come è stato, di riscuotere poco consenso. Se voleva applausi e ovazioni doveva tirare fuori frasi sull’identità, sul passato, sulle fiamme che bruciavano e non bruciano più. Invece, ha lasciato tutto questo alle spalle e ha detto: il nostro fare politica si misura sulla capacità di leggere la società italiana: «Non abbiamo bisogno della coperta di Linus, ma dobbiamo chiederci come sarà l’Italia nei prossimi 10-15 anni». Una bella lezione anche per chi a sinistra non riesce a liberarsi di vecchi simboli e vecchi discorsi, incapace però ormai di capire che cosa gli accada sotto il naso.
Ma veniamo ai punti salienti dell’intervento di domenica alla Fiera di Roma. Poche lacrime, molta voglia di spiazzare i colonnelli seduti davanti a lui. La laicità come primo punto. Laicità che per Fini vuol dire «separare la sfera privata rispetto a quella religiosa». Uno stato laico - ha detto - «riconosce il valore della religione ma lo colloca all’interno di scelte che sono di tipo individuale, non di tipo collettivo». Poi l’affondo sull’immigrazione. «L’ordine non può essere quello delle caserme, perché va garantita la dignità della persona quale che sia il colore della pelle». E ancora: «L’immigrazione non si può affrontare solo con l’espulsione dei clandestini, è una sfida che non si vince con i muscoli». Multiculturalismo e apertura all’Islam hanno fatto da corollario ad affermazioni che confermano le prese di posizioni di queste ultime settimane. Una storia che inizia qualche anno fa, da quando l’attuale presidente della Camera, allora vice presidente del Consiglio, fu l’unico esponente di spicco del governo a schierarsi a favore di alcuni dei quesiti referendari per modificare la legge sulla fecondazione assistita. Una legge medievale, barbara, che negando la libertà di scelta sul piano procreativo pone l’Italia al pari dei peggiori paesi fondamentalisti.
Da allora Fini si è distinto per le sue dichiarazioni a favore della laicità, fino ad arrivare all’appoggio pubblico a Beppino Englaro nel momento più difficile della sua battaglia politica, quando cioè il potere politico (quasi all’unisono) voleva intromettersi nella sfera privata sua e della figlia e decidere per loro il bene e il male. Ma in queste ultime settimane le prese di posizione a favore di una società liberale, rispettosa dei diritti, aperta all’altro si sono susseguite in maniera vorticosa. Una su tutte: l’otto marzo invece di usare la solita retorica sulla cosiddetta festa della donna ha parlato del caso dei due romeni accusati ingiustamente dello stupro della Caffarella per dire due cose. La prima: non si usi più la nazionalità quando si deve parlare di qualcuno accusato di reato. Così si discrimina un popolo, lo si mette alla gogna, non si fa informazione. La seconda: ha spostato l’attezione dagli stupri al vero problema, cioè la violenza domestica degli uomini contro donne e spesso anche minori. A sinistra nessuno ha avuto il coraggio di usare gli stessi toni.
La sfida di Fini appare però isolata. Luca Telese su Il giornale ha giustamente parlato di un discorso che ha provocato un big bang nella destra. Un’esplosione di posizioni dove anche gli ex fedelissimi Alemanno e Gasparri appaiono collocati su ben altre posizioni, filo ratzingeriane il primo, filo giustizialiste il secondo. Il ghibellino Fini, spiega Telese, è isolato in mezzo a una marea di guelfi. Ma la sua resta una sfida fondamentale. Il primo luogo nel Pdl dove, andando a ranghi sciolti, spera di incrociare altre forze laiche capaci di riconoscere in lui «il leader repubblicano» in grado di contrastare il monarca assoluto Berlusconi (non a caso Fini ha molto insistito sul discorso della democrazia interna alla nuova formazione politica). Ma ancora di più la sua sfida è importante per la società. La destra, questa destra, è destinata a governarci a lungo. Almeno fino a quando la sinistra non smetterà di esserne la brutta e ridicola copia e non inizierà davvero a fare una politica diversa, capace di parlare a tutti i problemi di cittadini e cittadine. E’ importante che dentro il nuovo Pdl ci sia una figura come Fini capace di mettere i diritti individuali, nella loro declinazione più alta che attiene al rispetto della sfera indiviuale e alla cittadinanza aperta, al centro del fare politica.
Quali? Per esempio la laicità e il rispetto sempre e comunque della dignità della persona, sia essa migrante o cosiddetta italiana. Fini lo ha fatto con coraggio sapendo, come è stato, di riscuotere poco consenso. Se voleva applausi e ovazioni doveva tirare fuori frasi sull’identità, sul passato, sulle fiamme che bruciavano e non bruciano più. Invece, ha lasciato tutto questo alle spalle e ha detto: il nostro fare politica si misura sulla capacità di leggere la società italiana: «Non abbiamo bisogno della coperta di Linus, ma dobbiamo chiederci come sarà l’Italia nei prossimi 10-15 anni». Una bella lezione anche per chi a sinistra non riesce a liberarsi di vecchi simboli e vecchi discorsi, incapace però ormai di capire che cosa gli accada sotto il naso.
Ma veniamo ai punti salienti dell’intervento di domenica alla Fiera di Roma. Poche lacrime, molta voglia di spiazzare i colonnelli seduti davanti a lui. La laicità come primo punto. Laicità che per Fini vuol dire «separare la sfera privata rispetto a quella religiosa». Uno stato laico - ha detto - «riconosce il valore della religione ma lo colloca all’interno di scelte che sono di tipo individuale, non di tipo collettivo». Poi l’affondo sull’immigrazione. «L’ordine non può essere quello delle caserme, perché va garantita la dignità della persona quale che sia il colore della pelle». E ancora: «L’immigrazione non si può affrontare solo con l’espulsione dei clandestini, è una sfida che non si vince con i muscoli». Multiculturalismo e apertura all’Islam hanno fatto da corollario ad affermazioni che confermano le prese di posizioni di queste ultime settimane. Una storia che inizia qualche anno fa, da quando l’attuale presidente della Camera, allora vice presidente del Consiglio, fu l’unico esponente di spicco del governo a schierarsi a favore di alcuni dei quesiti referendari per modificare la legge sulla fecondazione assistita. Una legge medievale, barbara, che negando la libertà di scelta sul piano procreativo pone l’Italia al pari dei peggiori paesi fondamentalisti.
Da allora Fini si è distinto per le sue dichiarazioni a favore della laicità, fino ad arrivare all’appoggio pubblico a Beppino Englaro nel momento più difficile della sua battaglia politica, quando cioè il potere politico (quasi all’unisono) voleva intromettersi nella sfera privata sua e della figlia e decidere per loro il bene e il male. Ma in queste ultime settimane le prese di posizione a favore di una società liberale, rispettosa dei diritti, aperta all’altro si sono susseguite in maniera vorticosa. Una su tutte: l’otto marzo invece di usare la solita retorica sulla cosiddetta festa della donna ha parlato del caso dei due romeni accusati ingiustamente dello stupro della Caffarella per dire due cose. La prima: non si usi più la nazionalità quando si deve parlare di qualcuno accusato di reato. Così si discrimina un popolo, lo si mette alla gogna, non si fa informazione. La seconda: ha spostato l’attezione dagli stupri al vero problema, cioè la violenza domestica degli uomini contro donne e spesso anche minori. A sinistra nessuno ha avuto il coraggio di usare gli stessi toni.
La sfida di Fini appare però isolata. Luca Telese su Il giornale ha giustamente parlato di un discorso che ha provocato un big bang nella destra. Un’esplosione di posizioni dove anche gli ex fedelissimi Alemanno e Gasparri appaiono collocati su ben altre posizioni, filo ratzingeriane il primo, filo giustizialiste il secondo. Il ghibellino Fini, spiega Telese, è isolato in mezzo a una marea di guelfi. Ma la sua resta una sfida fondamentale. Il primo luogo nel Pdl dove, andando a ranghi sciolti, spera di incrociare altre forze laiche capaci di riconoscere in lui «il leader repubblicano» in grado di contrastare il monarca assoluto Berlusconi (non a caso Fini ha molto insistito sul discorso della democrazia interna alla nuova formazione politica). Ma ancora di più la sua sfida è importante per la società. La destra, questa destra, è destinata a governarci a lungo. Almeno fino a quando la sinistra non smetterà di esserne la brutta e ridicola copia e non inizierà davvero a fare una politica diversa, capace di parlare a tutti i problemi di cittadini e cittadine. E’ importante che dentro il nuovo Pdl ci sia una figura come Fini capace di mettere i diritti individuali, nella loro declinazione più alta che attiene al rispetto della sfera indiviuale e alla cittadinanza aperta, al centro del fare politica.
Angela Azzaro (1966). E’ giornalista di Liberazione. Durante la direzione di Piero Sansonetti è stata prima responsabile delle pagine culturali e dell’inserto domenicale Queer, poi caporedattrice.
1 commento:
Il continuo smarcamento di Fini da Berlusconi, presupposto per dare continuità alla destra italiana
Posta un commento