Articolo di Annalisa Terranova
Sul 25 aprile continuo a pensarla all’antica, anche in tempi di euforico nuovismo. E’ una data che non può unire, ma solo dividere in nome di sempre rinnovate ipocrisie. Delle ultime che ci sono state regalate dal cosiddetto ambiente di destra, ne citerò solo due: l’elogio dei partigiani “patrioti” fatto dalla fondazione finiana Farefuturo (idea il cui copyright va attribuito a Filippo Rossi) e il no, fatto in forma di solenne abiura, alla proposta di legge che equipara le pensioni di ex repubblichini e partigiani, un no di cui si è reso protagonista simbolicamente Gianni Alemanno firmando un appello su sollecitazione di un consigliere comunale talmente disposto a “condividere” valori da ritenere scomodi persino i morti di Acca Larenzia.
Sul primo punto: la cosiddetta pacificazione deve venire prima della condivisione della memoria (anche il Msi, partito sotto molti aspetti cialtronesco, l’aveva capito e perseguiva con un minimo di coerenza questo obiettivo). La pacificazione avviene se i vincitori fanno passi simbolici di rispetto e riconoscimento verso gli sconfitti. Il contrario (in questo caso l’aureola posta in blocco al movimento partigiano) è solo frutto di un miope provincialismo culturale, peraltro fuori tempo massimo (dal discorso di Violante sui vinti di Salò sono passati tredici anni!) visto che ormai quasi tutta la sinistra è disposta a riconoscere che la resistenza degenerò in una brutale guerra civile.
Sul secondo punto: avallare l’idea che gli ex repubblichini debbano meritare rispetto solo quando si trovano sotto due metri di terra mentre in vita debbano continuare a essere dileggiati mi sembra eticamente ripugnante. O li si rispetta anche da vivi, o niente. Non si può distribuire il rispetto in dosi omeopatiche a seconda della convenienza politica. Vorrei ricordare che Giano Accame, da tutti compianto forse anche con una buona dose di retorica poco sincera, sul punto in questione osservava che le generazioni non possono continuare a guardarsi in cagnesco per le scelte diverse dei padri e dei nonni. Il 25 aprile, inteso come è stato sempre inteso, perpetua appunto questo rischio e se gli eredi degli sconfitti continuano a comportarsi come eterni perdenti che hanno qualcosa da farsi perdonare non si va da nessuna parte, o meglio si va sempre più in basso. In entrambi gli episodi che ho citato tutt’al più si ravvisa con tristezza un’ansia da prestazione della destra da pochissimo tempo accolta nel salotto buono del politicamente corretto, un luogo in cui la coerenza dei postfascisti si misura dal modo di flirtare con la sinistra in chiave antiberlusconiana.
In conclusione mi affido a una bella pagina di Massimo Fini, scritta nel 1983 ma, mi pare, ancora tristemente attuale, nonostante i segnali di novità giunti da Berlusconi (cambiare il nome della festa). Scriveva dunque Fini: “La retorica della Resistenza (non la Resistenza, anche se è stato un movimento più limitato di quanto si è voluto farci credere) e la demonizzazione del fascismo (non il giudizio negativo sul fascismo) sono due fenomeni che vanno di pari passo e che sono serviti ad alcune operazioni tutt’altro che innocenti di cui portiamo le conseguenze ancor oggi. La prima di queste operazioni è che, grazie alla retorica della Resistenza e alla demonizzazione del fascismo, l’Italia ha fatto finta d’aver vinto una guerra che aveva perso. Evitandoci così un esame di coscienza che, fatto a tempo debito, sarebbe stato utilissimo. La seconda è che dal 25 aprile in poi tutti gli italiani sono diventati d’improvviso antifascisti e il fascismo è sembrato qualcosa che non aveva niente a che vedere col popolo italiano e con la storia del nostro paese. La terza operazione è più precisamente politica. Mito della Resistenza e demonizzazione del fascismo sono serviti agli interessi dei due maggiori partiti italiani, quelli del Pci e quelli della Dc. Così retorica della Resistenza e demonizzazione del fascismo hanno grandemente contribuito a incancrenire la politica italiana in polemiche catacombali e superate, a fermarla a problemi vecchi ostacolando la comprensione di quelli nuovi”. (cit. da Massimo Fini, “Il Conformista, tascabili Marsilio).
Sul primo punto: la cosiddetta pacificazione deve venire prima della condivisione della memoria (anche il Msi, partito sotto molti aspetti cialtronesco, l’aveva capito e perseguiva con un minimo di coerenza questo obiettivo). La pacificazione avviene se i vincitori fanno passi simbolici di rispetto e riconoscimento verso gli sconfitti. Il contrario (in questo caso l’aureola posta in blocco al movimento partigiano) è solo frutto di un miope provincialismo culturale, peraltro fuori tempo massimo (dal discorso di Violante sui vinti di Salò sono passati tredici anni!) visto che ormai quasi tutta la sinistra è disposta a riconoscere che la resistenza degenerò in una brutale guerra civile.
Sul secondo punto: avallare l’idea che gli ex repubblichini debbano meritare rispetto solo quando si trovano sotto due metri di terra mentre in vita debbano continuare a essere dileggiati mi sembra eticamente ripugnante. O li si rispetta anche da vivi, o niente. Non si può distribuire il rispetto in dosi omeopatiche a seconda della convenienza politica. Vorrei ricordare che Giano Accame, da tutti compianto forse anche con una buona dose di retorica poco sincera, sul punto in questione osservava che le generazioni non possono continuare a guardarsi in cagnesco per le scelte diverse dei padri e dei nonni. Il 25 aprile, inteso come è stato sempre inteso, perpetua appunto questo rischio e se gli eredi degli sconfitti continuano a comportarsi come eterni perdenti che hanno qualcosa da farsi perdonare non si va da nessuna parte, o meglio si va sempre più in basso. In entrambi gli episodi che ho citato tutt’al più si ravvisa con tristezza un’ansia da prestazione della destra da pochissimo tempo accolta nel salotto buono del politicamente corretto, un luogo in cui la coerenza dei postfascisti si misura dal modo di flirtare con la sinistra in chiave antiberlusconiana.
In conclusione mi affido a una bella pagina di Massimo Fini, scritta nel 1983 ma, mi pare, ancora tristemente attuale, nonostante i segnali di novità giunti da Berlusconi (cambiare il nome della festa). Scriveva dunque Fini: “La retorica della Resistenza (non la Resistenza, anche se è stato un movimento più limitato di quanto si è voluto farci credere) e la demonizzazione del fascismo (non il giudizio negativo sul fascismo) sono due fenomeni che vanno di pari passo e che sono serviti ad alcune operazioni tutt’altro che innocenti di cui portiamo le conseguenze ancor oggi. La prima di queste operazioni è che, grazie alla retorica della Resistenza e alla demonizzazione del fascismo, l’Italia ha fatto finta d’aver vinto una guerra che aveva perso. Evitandoci così un esame di coscienza che, fatto a tempo debito, sarebbe stato utilissimo. La seconda è che dal 25 aprile in poi tutti gli italiani sono diventati d’improvviso antifascisti e il fascismo è sembrato qualcosa che non aveva niente a che vedere col popolo italiano e con la storia del nostro paese. La terza operazione è più precisamente politica. Mito della Resistenza e demonizzazione del fascismo sono serviti agli interessi dei due maggiori partiti italiani, quelli del Pci e quelli della Dc. Così retorica della Resistenza e demonizzazione del fascismo hanno grandemente contribuito a incancrenire la politica italiana in polemiche catacombali e superate, a fermarla a problemi vecchi ostacolando la comprensione di quelli nuovi”. (cit. da Massimo Fini, “Il Conformista, tascabili Marsilio).
Annalisa Terranova è nata a Roma nel 1962, giornalista e scrittrice. Caposervizio al "Secolo d’Italia", è redattrice al mensile "Area" e collabora con varie testate. E' stata tra le fondatrici del Centro Studi Futura e attiva nella rivista "Eowyn".
Ha pubblicato (per le edizioni Settimo Sigillo), Planando sopra boschi di braccia tese ('96), saggio sul movimento giovanile del MSI, e Aspetta e spera che già l’ora si avvicina (2002), dedicato agli eventi di Alleanza Nazionale in rapporto alla svolta di Fiuggi. Recentemente ha pubblicato Camicette nere. Donne di lotta e di governo da Salò ad Alleanza Nazionale (Mursia, 2007).
8 commenti:
Bello l'articolo della Terranova, il numero di FareFuturo, invece...
Visto che parliamo di persone e non di ideologie, ci risulta un numero di FF che raccolga le storie di veterani non dico della RSI, ma del REI?
Questo post lo definirei "dignitoso", termine che non va inteso in senso riduttivo. E' vero che la concordia non è necessaria, non può essere indotta, ed è anche vero - come diceva Accame - che per i pronipoti non ha senso prolungare una guerra che riguardava i bisnonni. Ciò premesso,ci sono alcune affermazioni che, enza ergermi ad autorità, non rispecchiano semplicemente la Storia. Fino a vent'anni fa, non si poteva parlare di "guerra civile". c'era un veto a sinistra,perchè equiparava le forze in campo. Posizione manichea che però, da tempo, è superata,perchè la storiografia la utilizza senza riserve.Cito solo Pavone, che parla delle caratteristiche della Resistenza come guerra patriottica, guerra civile, e guerra di classe. E'speculare che le "guerre" si combattono i due, quindi la setssa dimensione appartiene anche a chi combattè per la RSI.Nella guerra patrittica c'erano le opposte reazioni all'8 settembre, nella guerra civile c'erano fascisti e antifascisti, nella lotta di classe c'erano le suggestioni staliniane così come le "bombe sociali" da lasciare sul cammino degli Alleati.
Quindi io non credo sia giusto parlare di resistenza brutalmente degenerata in guerra civile. per me è un'affermazione molto lontana dalla realtà.Se la "pacificazione" non è un obbligo, neanche questo revanscismo accusatorio lo è. La guerra, quella mondiale, era immanente, reale, coinvolgeva e colpiva tutti, anche chi restava a casa e non si schierava.
Se poi ci si riferisce alla polemica sul "sangue dei vinti",si parla di altro.non ho mai approvato i negazionisti che tendono a rimuovere cosa accadde dopo il 25 aprile ma, per quanto sia un oggettiva prosecuzione delle violenze "in tempore" belli, attiene più alla dimensione della "lotta di classe" che a quella della "guerra civile". Conclusione cui si può arrivare dando retta a chi ne ha parlato prima e meglio di Pansa.
Non è vero che gli "individui" si rispettano solo sotto terra.E' che a distanza di 65 anni è impossibile parlare degli "individui", se non nell'ambito della memorialistica, sia scritta che tramandata. O della retorica che vuole eroi a tutti i costi. A me non interessano.
Unaa "valle de los caidos" italiana non ha senso, è una mistificazione storica ,una collettivizzazione forzata del dolore,e mi pare che il post di Annalisa Terranova parta proprio rifiutando questo tipo di embrassement nous. Io, personalmente, continuo a ritenere la RSI una entità mostruosa, e continuo a non odiare, retrospettivamente, chi non ho conosciuto, anche se vi aderiva.
So di molti uomini onesti e animati da amor di patria che vi aderirono, perchè ne conosco la storia personale. Non cambia nulla. Nel 2009 non ci sono più vivi da rispettare, o meno.
Vincenzo Ciampi
Mi sembra che l'articolo dica ciò che c'è da dire sull'argomento, senza fanatismi, senza ideologie, senza torcicollo.
segno che dire la verità sul 25 aprile si può, anche senza essere pazzi estremisti.
che, per spirito di pacificazione, sia il vinto a dover riconoscere il vincitore è abbastanza curioso. Soprattutto se i vincitori continuano ad agire nella logica partigiana di accanirsi sul debole e lo sconfitto, facendo passare per un'operazione di somma moralità il fatto di non dare una manciata di euro in più a quattro novantenni.
"Sul 25 aprile continuo a pensarla all’antica,....." e anche:(mi sono permesso di prendere la seguente citazione dalle tue preferite inserite nel tuo profilo su FaceBook)."Noi non cambiamo mai! Né calzini, né padrone, né opinioni, oppure cambiamo troppo tardi, quando non ne vale più la pena".Louis Ferdinand Céline.
Pare che mentre il mondo continua a girare tutti parlano ma sono pochissimi quelli che in realtà mettono in atto azioni che modificano lo status quo, i quali, paradossalmente vengono poi criticati da coloro che continuano a parlare, o scrivere.
Diamoci una mossa.
HO ringraziato annalisa di persona e la ringrazio anche qui..per la chiarezza delle sue idee. Il coraggio delle sue idee.
Marco Pelagatti
Io non scrivero' polpettoni per commentare questo , come sempre, chiarissimo articolo di Annalisa. Mi limitero' a dire che c'è ancora tanta gente che non si è appiattita. Mi limiterò a dire che Vivaddio il nostro exsegretario è quello che è semore stato. Per chi non lo ha conosciuto da giovane... diro' che era gia' vecchio. Un romano saluto Annalisa. Io devo sempre organizzare una manifestazione con Te per presentare "Camicette Nere" Chissà se ce la farò.
"Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placano, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noi altri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
Ci sono giorni in questa nuda campagna che camminando ho un soprassalto: un tronco secco, un nodo d'erba, una schiena di roccia, mi paiono corpi distesi".
La casa in collina, Cesare Pavese
Pur lontano spazi siderali dall'impostazione politica e culturale dell'Autrice, non posso non apprezzare alcuni passaggi della sua analisi del 25 aprile. Questa "festività" ha avuto molti torti: il primo dei quali, a mio parere, quello di aver allontanato il momento del superamento del fascismo dalle coscienze nazionali. L'antifascismo, come giustamente rilevato, è stato funzionale a molti scopi, alcuni ingenuamente leciti (trasformarci in un popolo vincitore del conflitto) altri meno trasparenti (creare una base comune tra esperienze politiche non armonizzabili) ma è stato, comunque, un elemento di divisione e di mancata modernizzazione del Paese(cosa che, ad esempio, la Spagna ha saputo evitare col franchismo).
Intendiamoci, io parlo da convinto antifascista ma il mio è un antifascismo sostanziale e non retorico che si basa sui comportamenti rispettosi della dialettica democratica e delle libertà assicurate dalla civiltà occidentale e non sulla mistica della guerra civile, un antifascismo che oggi abbraccia tutti e che non è mirato ad escludere nessuno, neppure coloro che militarono nella RSI e, tanto meno, i loro figli o nipoti. Questo tipo di antifascismo non ha più bisogno di un 25 aprile ma necessita esattamente del suo contrario: ha bisogno non di dimenticare ma di superare.
Mastro Titta
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