Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di sabato 5 settembre 2009
Gualtiero Jacopetti, uno dei vecchi leoni del cinema italiano, il regista che insieme a Sergio Leone e Federico Fellini vanta il primato assoluto degli incassi e del successo di pubblico per i suoi film, ha compiuto ieri novant’anni. Nel rinnovargli i nostri auguri registriamo purtroppo l’occasione perduta dalla Mostra del cinema di Venezia in corso in questi giorni con il rifiuto di dedicargli un omaggio nella giornata di ieri trasmettendo anche L’importanza di essere scomodo. Gualtiero Jacopetti, il film-documentario che Andrea Bettinetti ha realizzato raccontando la biografia e l’opera del giornalista e cineasta toscano. Un rifiuto davvero inspiegabile se lo si confronta con la scelta della stessa mostra di trasmettere invece due documentari dedicati alla memoria di due registi scomparsi come Salvatore Samperi e Giuseppe De Santis, quest’ultimo considerato a suo tempo quasi un cineasta ufficiale del Pci. Ma tant’è, su Jacopetti continuano probabilmente ad aleggiare la sua vocazione di non allineato e la sua collocazione politica e culturale in una destra civile e moderna che in Italia escludono automaticamente dalle celebrazioni dell’establishment. E questo nonostante che proprio in questi giorni la Medusa abbia distribuito nel mercato del dvd due suoi capolavori quali Africa addio e Mondo cane. Da parte nostra, delusi dal mancato compleanno in Laguna di Gualtiero, intellettuale che inseriamo senz’altro tra i nostri veri maestri, lanciamo un appello in extremis agli organizzatori del Festival del film di Roma affinché il docu-film di Bettinetti e il relativo omaggio a Jacopetti – che oltretutto vive nella capitale – possano aver luogo nella mostra cinematografica romana di ottobre. Gian Luigi Rondi potrebbe ancora fare qualcosa per recuperare sulla gaffe veneziana. Perché una cosa è certa: nell’anno in cui si ricordano i cinquant’anni de La dolce vita, non si può non fare cenno al fatto che all’epoca molti scrissero che il personaggio principale di quel capolavoro, la figura interpretata da Marcello Mastroianni, un “giornalista di destra” si spiegava nel film, si ispirava direttamente a Gualtiero Jacopetti. Un vero protagonista della Roma di quegli anni, la città di Fellini e Flaiano, di Arbasino e Pannunzio, di Mastroianni e Anita Ekberg. Anche se Jacopetti, comunque, non apparteneva solo alle cronache della dolce vita e, al di là, della sua vita “scandalosa”, è stato un vero precursore sia nel giornalismo che nel cinema. Ha scritto, ad esempio, il critico televisivo Aldo Grasso: «Il suo Africa addio, film sul quale vige ancora l’interdetto della critica con l’accusa di parzialità e cinismo, resta l’inconscio visivo di ogni testimonianza vera che provenga da quei territori squassati dal genocidio, da bande armate, dalla guerriglia continua. Molte delle tecniche, allora aborrite con grande scandalo, oggi sono diventate norma e nessuno più le mette in discussione ». Sul fronte giornalistico, invece, lo scrittore e giornalista Sergio Saviane lo definì «il padre spirituale dell’Espresso», ricordando come Jacopetti sia stato, dalla primavera del ’54 all’ottobre del ’55. il creatore e direttore del settimanale Cronache, esperienza davvero innovativa per la stampa periodica italiana da cui sarebbe derivato per filiazione diretta L’Espresso di Arrigo Benedetti, ereditandone praticamente tutto: formula, taglio e redazione. Il travaso diretto coinvolse infatti molte future grandi firme del nostro giornalismo: Cesare Brandi, Gian Carlo Fusco, Fabrizio Dentice, Carlo Gregoretti, Cesare Zappulli e Bruno Zevi. Lo stesso Eugenio Scalfari, nel suo libro di memorie La sera andavamo a via Veneto, ha descritto la verità sulla nascita del suo Espresso: «La redazione era quella ereditata da Cronache, un settimanale ben fatto e politicamente impegnato, che era stato diretto fino a pochi mesi prima da Gualtiero Jacopetti». Eppure per tanti anni, per più di qualche decennio, di Jacopetti se ne è parlato poco, la critica ideologizzata preferì censurare, nonostante il fatto che i suoi film – l’indimenticabile Africa addio, ma anche Mondo cane, La donna del mondo, Addio Zio Tom, Mondo candido – raccogliessero negli anni Sessanta e Settanta un grandissimo successo di pubblico. Censure e demonizzazioni non sono comunque mai riuscite a scoraggiare un grande viaggiatore come Jacopetti, che è stato definito anche come «l’uomo più avventuroso d’Italia». Nato a Barga, un paesino vicino Lucca, il 4 settembre del 1919, per giustificare la sua vita raminga, ha sempre spiegato che lui una casa ce l’ha sempre avuta: «È dove hanno vissuto i miei genitori, dove sono nato anch’io. Appartengo alla Toscana, a quegli alberi, a quel mare, ai castagni sui monti e agli armadi pieni di quelle vecchie, carissime cose». Giornalista prima che cineasta, scoprì da subito la sua vocazione. Quando, nel ’35, scoppiò la guerra d’Etiopia, frequentava il liceo a Viareggio: «Il mio primo giornale – ha ricordato – fu la lavagna della mia classe. Era mio compito arrivare a scuola prima degli altri con notizie raccolte da giornali e dalla radio, e scrivere per la classe la cronaca della guerra. L’Africa io me la sognavo durante la notte, era per me il paradiso e la sola evasione. E cominciai a sognarla, senza averla veduta, su quella lavagna». A soli 17 anni comincia a collaborare con La Nazione. Poi, lo scoppio della seconda guerra mondiale e la partenza da volontario: «L’Africa mi attirava, era stato il sogno ricorrente della mia adolescenza, non potevo lasciarmela sfuggire». Poi, Jacopetti finisce in Grecia, quindi in Russia: «Giunsi in tempo per la grande ritirata sul Don, e feci qualcosa come 5mila chilometri a piedi, tornai portando con me la bandiera del reggimento». Infine, il 25 aprile del ’45, l’arrivo a Milano, giusto in tempo per assistere allo scempio di piazzale Loreto. Nel dopoguerra, mobilitandosi nell’attivismo studentesco nel ’48 per scongiurare la vittoria elettorale dei comunisti, conosce Indro Montanelli e Leo Longanesi: «Due tipi curiosi: uno era secco e allampanato, con la faccia lunga, l’altro, Longanesi, era piccolo e mingherlino». ne nacque un’amicizia. E seguirono serate e nottate di discussioni politiche. Tra una birra e l’ennesimo caffé, Gualtiero ha l’occasione di iniziare a scrivere, grazie a Montanelli, per il Corriere della Sera. Lì conosce Luigi Barzini jr, che lo porta con sé nella redazione di una nuova iniziativa editoriale, Settimana InCom, della quale diventerà famosa la versione cinematografica, una sorta di tg dell’epoca pre-televisiva: «L’Italia era allora un immenso dormitorio – spiegherà – con la censura democristiana e una borghesia ipocrita pronta a scandalizzarsi per un nonnulla. Così io mi divertivo mettendo in risalto la cattiveria e la mancanza di cultura». Quasi una sorta di anticipazione delle intuizioni dell’Antonio Ricci di “Striscia la notizia” ante litteram. Ha scritto in proposito il critico cinematografico Piera Detassis: «L’intuizione di Jacopetti fu quella di evitare il documentario piatto e fedele, utilizzando invece in modo spregiudicato il montaggio, sia visivo che sonoro, e marcando i toni sarcastici e ironici del commento fuori campo». Un taglio che si ritroverà anche nei suoi film più importanti, tra cui soprattutto quell’Africa addio del 1966 che gli diede la notorietà, anche politica: un canto dedicato alla fine dell’Africa incontaminata e alla decadenza della presenza europea sul Continente Nero, reso indimenticabile dalla suggestiva colonna sonora di Riz Ortolani. Se in Italia venne attaccato violentemente dalla critica radical chic in Francia il film fu addirittura proibito dal governo del generale De gaulle. Soltanto i giovani del Fuan e della Giovane Italia difesero a spada tratta quello che era diventato un vero e proprio film cult d’ambiente. In un clima di dilagante politicizzazione a senso unico, Jacopetti deciderà di aderire, nel novembre 1975, alla Costituente di destra voluta da Giorgio Almirante. E in quello stesso 1975 arrivava sugli schermi Mondo candido, che resterà il suo ultimo film da regista, realizzato insieme a Franco Prosperi e Claudio Quarantotto. La pellicola trasportava negli anni Settanta le vicende del Candido di Voltaire, accentuando il pessimismo dell’apologo voltairiano di fronte agli scenari politici di quel decennio. Poi, per anni, Jacopetti collaborò gratuitamente con reportage da tutto il mondo con il Giornale diretto dal suo amico Indro Montanelli. Curioso e viaggiatore ancora oggi, si divide tra Roma, la sua Toscana e Londra, città in cui vive sua figlia. Una splendido novantenne che, per usare la frase di Nanni Moretti, non ha mai gridato cose orrende o violentissime. E proprio per questo non è mai imbruttito, «costituzionalmente – come ha spiegato una volta – allergico alla potenza dei potenti».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
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