Oggi il Secolo d'Italia ha inaugurato una doppia paginata dedicata all'immaginario calcistico ma non solo, si chiama "Sognando Beckham"e diventerà un appuntamento fisso nell'edizione del martedì. Seguono i tre pezzi pubblicati oggi.
Cassano, un giocatore si vede dal coraggio...
Articolo di Michele De Feudis
Nel nuovo bipolarismo italiano che vede contrapposta la stragrande maggioranza del mondo sportivo pro Antonio Cassano e l'allenatore della Nazionale Marcello Lippi, noi sappiamo da che parte stare. Con Super Man contro Tafazzi, con Peter Pan contro Capitan Uncino, con il ribelle jungheriano di Barivecchia contro il nuovo Celestino V di Viareggio.Liquidare la mobilitazione popolare nel mondo dello sport a favore di Re Antonio come un semplice “tormentone” offende insieme l'intelligenza del ct e quella di migliaia e migliaia di tifosi azzurri che non condividono l'ostracismo - “a prescindere” direbbe Totò – nei confronti del maggior talento espresso negli ultimi anni dal calcio italiano.All'isterica reazione del supremo timoniere berlinese a Parma, dove uno stadio intero invocò davanti all'ennesima prova modesta della squadra, l'innesto del “Pibe de Bari”, si è passati alla surreale contestazione all'Aquila durante una manifestazione di solidarietà nei confronti dei terremotati fino all'ingresso di un Superman volante sul terreno di gioco a Pescara, un super-eroe che, consapevole di incorrere in una sicura diffida, ha gridato davanti alla panchina italiana un eloquente “Convocalo!”. Ma la “Cassanomania” ha spopolato anche a San Siro dove per la gara di rugby tra Italia e gli All Blacks, è stato esposto un telo eloquente rivolto all'allenatore dei giganti azzurri Mallett: “Almeno tu mitt' a Cassan”.
Prescindendo dal gossip, dei pettegolezzi di corridoio, dalle interviste con la voce deformata mandate in onda da “Striscia la Notizia”, dagli articoli scritti anche dal foglio tintinnante di Marco Travaglio (ecco, in questo Lippi ha dei meriti: per una volta “Il Fatto Quotidiano” è riuscito a rivolgere la sua attenzione altrove e non al premier Berlusconi...) la favola di Antonio Cassano è l'icona della vittoria del Ribelle jungheriano nel calcio. Tonino è un guerriero capace di incarnare il riscatto di un giovane del Sud profondo, la dimostrazione che anche dalla palude di illegalità dei borghi infettati di criminalità può nascere un simbolo positivo. Il fantasista barese ha superato il meridiano zero del conformismo, ha rotto tutti gli schemi, ha imposto in un calcio fisico, monotono in grado di determinare la fine di ogni bellezza sportiva, il potere della fantasia. L'irrazionalità del genio che vorrebbe sconfiggere lo Spirito del Tempo, in sintonia solo con i ripetitori di schemi. E' un anelito luddista contro l'oppressione dei filosofi di uno sport dove agli atleti si chiede di muoversi ossessivamente come macchine... Cassano – Der Waldgänger, invece, è un catalizzatore di energie elementari, un fuoco di passioni, una forza alchemica in grado di dare potenza e luminosità al sogno azzurro di bissare la notte magica di Berlino.
La reazione spocchiosa, preconcetta di Lippi alle ricorrenti domande sull'esclusione di Fantantonio rappresenta una innegabile caduta di stile per un allenatore che nella storia del calcio italiano e mondiale c'è già entrato. E con meriti incontrovertibili. Più che una scimmietta, nel dopopartita di Pescara il ct è apparso con le sembianze di Celestino V, il pontefice che il sommo poeta Dante Alighieri elevò a simbolo degli ignavi. Ecco, un uomo di sport in grado di rimettersi in discussione dopo il successo ai mondiali tedeschi, coraggioso al punto da rinunciare al ruolo già acquisito di eroe nazionale per tentare un bis nei mondiali sudafricani, non può trincerarsi dietro un linguaggio ieratico condito con formule astruse Sibilla Cumana. O semicomiche. “Mi ero tolto gli occhiali proprio in quel momento”: così ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano di commentare l'invasione del supereroe con la maglietta pro Tonino...
La querelle Cassano c'è, è rafforzata dopo ogni scialba esibizione della Nazionale. E non la si può cerco mettere da parte davanti al giovanilismo di facciata, racchiuso nei volti dei neofiti Candreva e Biondini: i ragazzi si faranno, ma il Sud Africa è alle porte.
Dopo la scenata lippiana al termine della gara con Cipro, l'editorialista del Corriere della Sera, Mario Sconcerti gli rivolse un appello, rimasto senza risposta: “È tempo di fare un passo indietro, di tornare alla calma. Lippi ha diritto a scegliere chi vuole, ma ha il dovere di farlo dando più spiegazioni possibili”. Offrire la sua versione non sarebbe una debolezza, ma un atto di forza. Ne riaffermerebbe la statura di comandante, offuscata adesso dal cincischiare dietro l'antipatizzante, e un po' alla Tafazzi, “non devo spiegazioni a nessuno”.
Per cogliere la poesia che c'è dietro il sogno azzurro di Cassano, il ct dovrebbe contaminarsi con l'arte cinematografia. Andare su You Tube e vedere il corto “Come a Cassano”, un piccolo gioiello realizzato da due giovani cineasti, il regista Pippo Mezzapesa e la sceneggiatrice Antonella Gaeta. E' l'affresco toccante di un bambino che sognava di diventare un calciatore, una narrazione nella quale è racchiusa la magia che solo il calcio può trasmettere alle giovani generazioni, il potere mitopoietico del sogno legato ad un pallone di cuoio.L'armata azzurra ha bisogno dare un nuovo colpo d'ali. Di una iniezione di imprevedibilità nella manovra. Di riprendere a far innamorare gli italiani della nostra specificità: il genio artistico, declinato su un campo da gioco. L'unico Michelangelo dotato di scarpe con i tacchetti che abbiamo a disposizione è Antonio Cassano.
Anche il calcio fa cultura: Pastorin come Grass propone versi e prosa durante le partite
Anche il calcio fa cultura: Pastorin come Grass propone versi e prosa durante le partite
Articolo-intervista a cura di Giovanni Tarantino
Calcio e letteratura. Un connubio che appassiona sempre di più i calciofili e non solo, a margine di un fenomeno, sempre più in voga in Italia. Libri che per molti rappresentano un rifugio da un mondo – quello del cosiddetto calcio moderno – non più esattamente a dimensione di tifoso. Gli scandali, i problemi legati ai diritti televisivi, l’ultra-utilitarismo distorcente hanno posto le basi per una gradevole riflessione su quelli che dovrebbero essere i valori autentici di quello che rimane uno sport. Tra gli addetti ai lavori più autorevoli in materia lo scrittore e giornalista Darwin Pastorin. Figlio di emigranti italiani in Brasile, tifoso del Palmeiras, di cui in Italia è console onorario, oltre che della Juventus, Pastorin si è formato alla scuola di due grandi maestri, Giovanni Arpino e Vladimiro Caminiti. Autore, tra gli altri de I portieri del sogno. Storie di numeri 1 (Einaudi, 2009, pp.94), lo scrittore non esita ad affermare che: «Calcio è cultura. Non ci spiegheremmo altrimenti la passione di Pasolini, piuttosto che Nick Hornby, o Antonio Tabucchi, per non dire di Alessandro Baricco». Fornendo una chiave di lettura “esistenzialista” Pastorin ha descritto, come il più letterario dei ruoli, quello del portiere, del numero uno. «Quello del portiere è già un ruolo a sé nel calcio – dichiara lo scrittore –: indossa una divisa diversa, sta in porta, tra i pali, vivendo una dimensione esistenziale, filosofica, ancestrale da cui guarda tutto lo svolgimento del gioco, il contesto. Non a caso è il ruolo che ha catturato l’attenzione di scrittori e poeti. Camus giocava in porta, anche Sandro Veronesi ha fatto, seppur in maniera fugace, il portiere. Gianluca Favetto è portiere della nazionale degli scrittori, l’Osvaldo Soriano Football club. E poi abbiamo anche un vero portiere che si è prestato alla poesia, Giuliano Terraneo». Non è tutto: «Perfino un insospettabile Cesare Pavese, citando un ruolo nel calcio, parla del portiere». «Il portiere caduto alla difesa/ultima vana, contro terra cela/la faccia, a non vedere l’amara luce» sono i primi versi della celebre poesia di Umberto Saba, Goal, che per Pastorin rappresenta «il vero capolavoro assoluto. Il poeta triestino anticipa le tecniche della moderna regia televisiva, dando visibilità ai due portieri. Immagina una scena a due inquadrature nelle quali si contrappongono le figure dei due numeri uno: da un lato quello triste che ha appena subito il gol, dall’altro quello della squadra che ha segnato, che esulta vittorioso, che solitamente non veniva mai inquadrato».Tra i ritratti più romantici racchiusi nel libro quello di Caetano da Silva, in arte Veludo (Velluto), che triste e solitario, dopo aver lasciato la porta in lacrime per avere subito sei gol, rimaneva al bar del porto a osservare il volo dei gabbiani. Come Corto Maltese in un disegno di Hugo Pratt. «Forse un giorno scopriremo che anche il celebre marinaio dei fumetti giocava in porta, come un altro sognatore, Che Guevara – prosegue Pastorin – . Anche mio figlio giocava in porta, poi fu sconsigliato da Maradona, che un giorno gli si avvicinò e gli disse: «I portieri sono tristi». Quanto a Guevara, lui nel racconto dell’amico Alberto Granado parò un memorabile rigore, degno di Prima del calcio di rigore, il giallo-psicologico di Peter Handke. Il portiere lo pensi un po’così, eroico. Se Achille è l’attaccante, il portiere è Ettore: un eroe che suscita commozione».Di particolare interesse il profilo dell’unico vero portiere-poeta, Giuliano Terraneo: «Proveniva da Monza e fu chiamato al Torino come vice di Castellini. Lo incontrai e mi raccontò delle sue idee, appoggiava il Partito radicale, faceva teatro a Briosco e inoltre scriveva anche poesie. Riferii a Italo Cucci, mio direttore ai tempi del Guerin Sportivo, ed uscì fuori un pezzo dal titolo "Quando piange il portiere". Successivamente anche Gianni Vattimo lesse le poesie di Terraneo, trovandoci una similitudine con quelle di Maurizio Cucchi». Sempre più spesso ci si chiede oggi come riportare il calcio su una dimensione valoriale autentica: la letteratura sportiva può avere un ruolo funzionale in tal senso. «Ho fatta mia una proposta di Günther Grass: perché non leggere poesie o racconti negli intervalli delle partite? Dei reading non necessariamente sul calcio: si potrebbe tentare questa operazione culturale in maniera tale da non rifugiarsi soltanto nella memoria. Si scrive sul passato perché il presente non ispira letteratura, ma mera cronaca. Le ragioni sono presto dette: un tempo partite come Juventus-Benfica, piuttosto che Inter-Real Madrid erano eventi simbolici. Oggi queste sfide le ritroviamo nei vari tornei estivi, in amichevole e perdono decisamente di fascino. Inoltre va tenuto presente che oggi, a differenza del passato, i giocatori leggono e hanno un’istruzione, molti si laureano. Penso ad esempio a Gigi Buffon, che mi ha regalato una bellissima prefazione che vale da capitolo aggiuntivo. Si tratta di tematiche che stanno a cuore a molti: perché non coinvolgere proprio i giocatori?».Palla ovale, una passione che contagia il parlamento (di Pierluigi Biondi)
Il loro presidente Marcello de Angelis, con il suo fisico tirato e scattante, sarebbe un buon mediano di mischia. Giovanni Lolli, invece, con quell’aria compassata da dandy perennemente abbronzato, starebbe bene lì dietro a fare l’estremo. Achille Totano, corporatura massiccia e nessun ingombro di capelli, si troverebbe certamente a suo agio nel bel mezzo della mischia come tallonatore, appena davanti a Giovanni Fava, seconda linea abituata a spingere duro. Sarebbero, appunto, se soltanto avessero qualche legislatura (e anno) in meno sulle spalle. Non potendolo praticare, hanno deciso di sostenerlo – il gioco della palla ovale – dando vita all’Associazione parlamentari amici del rugby. L’unica partita che li ha visti impegnati, certamente la più importante, l’hanno vinta tra i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, portando a casa come trofeo la legge che autorizza la concessione di garanzia da parte dello Stato, con eventuale onere finanziario, a sostegno della candidatura dell’Italia quale sede per la Coppa del mondo di rugby degli anni 2015 e 2019. Consapevoli dell’esperienza francese, nazione che ha ospitato l’edizione 2007, i parlamentari hanno messo l’accento sui vantaggi economici in termini di Pil che una competizione del genere porterebbe al paese ma, soprattutto, sui benefici socio-educativi che uno sport come il rugby offre come dote naturale. Il coraggio, la generosità, lo spirito di squadra, il rispetto dell’avversario sono alcuni tra i valori che caratterizzano la disciplina e che, probabilmente, farebbero bene anche alla politica nostrana. Buttiamola là: dopo essersele date di santa ragione, i due schieramenti potrebbe dedicare il “terzo tempo” a riforme condivise. E così le metafore del rugby potrebbero aiutare il percorso di un bipolarismo maturo. Sì, l’Italia è pronta ad ospitare i grandi del rugby, avendo un movimento giovanile in crescita continua e un pubblico che risponde con crescente entusiasmo: prova ne è la folla di San Siro per la sfida che ha visto gli azzurri uscire a testa alta, e tra gli applausi, contro i temibili All Blacks neozelandesi. L’unico neo, in tutto ciò, per Marcello de Angelis, è «l’assenza di un management al passo con i tempi e all’altezza del pubblico italiano. Per statura e velocità, in pratica, alla dirigenza della Fir manca una buona terza linea…».
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