Dal Secolo d'Italia di giovedì 26 novembre 2009
È senza dubbio il risultato di una battaglia nostra - del Secolo per intenderci - e dell'impegno dell'assessore capitolino alla Cultura, Umberto Croppi. Come a smentire quegli ambienti che amano crogiolarsi nel mito incapacitante di un'egemonia culturale che nonostante tutto non consentirebbe iniziative fuori dai suoi recinti. Stasera infatti alla Casa del Cinema del Festival internazionale del film di Roma viene festeggiato il regista Gualtiero Jacopetti, che il 4 settembre scorso ha compiuto novant'anni. L'iniziativa, "Omaggio a Jacopetti", organizzata appunto in collaborazione con l'assessorato alle politiche culturali e alla comunicazione del Campidoglio, viene oltretutto presentata come un'appendice alla kermesse cinematografica romana. Ci sarà lui, il cineasta toscano che da tempo vive a Roma, e alle 20 verrà trasmesso L'importanza di essere scomodo, un film-documentario inedito firmato da Andrea Bettinetti e che racconta la vita e l'opera dell'autore di Mondo Candido e Africa addio. Quindi il pubblico avrà la possibilità di ascoltare lo stesso Jacopetti intervistato dalla critica cinematografica Piera Detassis, che è anche il direttore artistico del Festival di Roma. E, al termine della serata-maratona, ci sarà la proiezione di Operazione ricchezza, un film jacopettiano girato nel 1983 e rimasto inedito, ma ora restaurato e disponibile in digitale.
«Io uomo scomodo? Potrebbe sembrare - ha detto ieri il regista in conferenza stampa - un atteggiamento da vittima che non mi appartiene. Scomodo forse lo sono stato, ma verso me stesso». È vero, il vittimismo non gli è mai appartenuto. «Per il primo film sono partito con l'amore per l'Africa che sognavo - ha spiegato - come luogo d'avventura. C'era la voglia di vederla. Chi partiva per l'Africa sapeva di affrontare una missione da esploratori. L'Africa di allora si stava trasformando e io avevo voglia di constatare questo cambiamento. Arrivai lì senza una tesi. Il film nasceva da un'esplorazione. E accadevano cose. Ma l'epoca era quella, degli anni Sessanta, discostarsi dalla verità era pericoloso...». Da cui la demonizzazione e la messa al bando del regista: «Sono stato attaccato come razzista e fascista perchè ho osato raccontare la verità. Ma in sostanza in quel film veniva ritratta la realtà senza indulgere a compromessi...».
Umberto Croppi, classe 1956, da testimone cinefilo ha spiegato di aver tanto amato Mondo Candido: «Quando uscì non avevo ancora vent'anni ma lo percepii come un film profetico, basato com'è sulla trasposizione nel tempo del Candide di Voltaire e su cui scorrono le grandi ideologie del Novecento. Nel '74 Jacopetti aveva già capito che la crisi stava per arrivare e si sarebbe trascinata via quelle ideologie. È straordinaria la scena finale in cui il protagonista, ormai vecchio, vede andar via sulla rotta di un fiume i simboli dell'ideologismo novecentesco. Su un altro piano, la sua tecnica della ripresa con telecamera a mano, oggi quasi abituale, come altri espedienti di regia hanno rivoluzionato il modo di vedere e fare i film. Jacopetti sicuramente non era un politically correct. Africa addio, come tutti i suoi documentari rappresentavano atti di coraggio civile». Anche per questo la scelta di festeggiare pubblicamente una lunga vita e una carriera interrotta anni fa appare come l'occasione per riscoprire quel patrimonio, e anche come un atto di riparazione alle polemiche che in alcuni casi sfociarono in calunnie e linciaggio.
Fatto sta che mentre negli anni Sessanta il cinema italiano continuava a cavalcare il neorealismo, Jacopetti con la telecamera in mano trasformava il documentario (e non solo) in un racconto cinematografico provocatorio, affrontando temi importanti e scatenando polemiche incandescenti. Lui comunque ci tiene a precisare una cosa: «Non sono animato da nessuna voglia di rivincita». La lamentazione e le recriminazioni non appartengono infatti al suo stile. Anche perché, polemiche a parte, Gualtiero è stato un precursore nel giornalismo e nel cinema italiano, come hanno attestato recentemente i giudizi di Aldo Grasso o Antonio Ricci. E la sua stessa vita è stata una grande e bella avventura. Va ricordato, oltretutto, che cinquant'anni fa molti scrissero che il personaggio de La dolce vita di Fellini interpretato da Marcello Mastroianni, «un giornalista di destra», si diceva nel film, era stata ispirato tout court dalla figura di Jacopetti. Giornalista prima che regista, dicevamo: aveva iniziato facendo amicizia con Leo Longanesi e Indro Montanelli, lui ancora studente universitario. Poi l'incontro con Luigi Barzini jr. che prima lo porta al Corriere della Sera, poi nella redazione della Settimana InCom. «L'Italia - dirà di quel periodo - era allora un immenso dormitorio con la censura democristiana e una borghesia ipocrita pronta a scandalizzarsi per un nonnulla. E io mi divertivo a mettere in risalto la cattiveria e la mancanza di cultura diffuse...». I suo cinegiornali erano infatti quasi una sorta di anticipazione di Striscia la notizia.
Lo ha spiegato bene proprio Piera Detassis: «L'intuizione di Jacopetti fu quella di evitare il documentario piatto e fedele, utilizzando invece in modo nuovo e spregiudicato il montaggio, sia visivo che sonoro, e marcando i toni sarcastici e ironici del commento fuori campo». Un taglio che si ritroverà anche nei suoi film - oltre a quelli già citati anche Mondo cane, La donna del mondo e Addio zio Tom - ma che sconcerterà conformisti e benpensanti. Tanto che ancora oggi, del suo rapporto col cinema italiano dell'epoca, Jacopetti dice: «Lo trovavo molto provinciale, raccontava storie che difficilmente varcavano le Alpi. Il nostro Sordi non era comprensibile oltre l'Italia. E traspariva la volontà di farsi riconoscere nel conformismo e di adeguarsi, cosa che mi dava fastidio. Nel neorealismo c'era soprattutto questa voglia di riconoscersi politicamente. Avrei potuto adeguarmi, ma io non avevo voglia di farlo...».
Sottolinea oggi la Detassis: «La sua scomodità è per noi motivo di interesse. Non parlo di sdoganamento di Jacopetti ma credo che la polemica intorno al suo lavoro, accusato di essere fascista, ha in realtà condizionato il suo valore. A noi interessa adesso che si rivedano i suoi film e si conosca il suo lavoro anticipatore». Jacopetti ci tiene a distinguersi da colleghi come Michael Moore: «Parte da una tesi e fa di tutto per dimostrarla. Ma per quello il suo non è più un documentario». Quanto al suo inedito Operazione ricchezza, Jacopetti sorride: «Lo girai in Venezuela, dove risalii un fiume che nasce da una cascata che fa un salto di mille metri la più alta del mondo che nasce da un crepaccio nascosto. Rimasi incantato da quello che un fiume poteva generare. Ma non lo ricordo per niente, lo vedrò con un po' di panico in questa serata...».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
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