martedì 8 dicembre 2009

Contro lo strapotere del nord quel derby "inventato" dal fascismo e raccontato dal cinema (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di martedì 8 dicembre 2009
Un 1-0 stretto quanto immeritato o una vittoria convincente che ristabilisce le gerarchie. «Abbiamo dominato, avete rubato»: sono queste le immancabili impressioni di ogni tifoso di Roma e Lazio, dopo il fatidico derby capitolino. Affermazioni che, anche a parti invertite, si ripetono ritualmente: sta nella mancata resa di fronte all’avversario l’essenza del tifo. Nella fattispecie la partita di domenica sera, segnata anche da qualche episodio extrasportivo, ha visto uscire vincenti i giallorossi – rete di Cassetti al 77’ – che a quota 24 punti in classifica rilanciano le loro ambizioni europee, mentre la Lazio viene risucchiata dalla parte bassa della classifica.
Ma indipendentemente dalla contingenze legate all’attualità, dai momenti di salute o da quelli di difficoltà, e a prescindere dalla qualità del gioco espresso in campo, Roma-Lazio rimane da sempre una partita particolare. Cinque scudetti in due, tre per la sponda giallorossa del Tevere, due per quella biancoceleste, non fanno i sette del Torino, o del Bologna, e rappresentano, ad esempio, meno di un terzo di quelli di Milan o Inter, e ancora meno rispetto ai successi della Juventus. Per necessità di cose l’importanza della supremazia tra Roma e Lazio si concentra quindi sulla rivalità territoriale e, per l’appunto, sul valore del derby, scontro epico da vincere a ogni costo, pena gli sfottò dei “cugini” per tutto il resto della stagione. Una querelle tutta romana, alimentata sin dalle diatribe relative all’anzianità dei due club, con i laziali sempre pronti a rivendicare la loro nascita nel 1900, ben ventisette anni prima di quella della Roma, piuttosto che dalle polemiche di matrice “etnica” che vorrebbero, da fonti romaniste, il laziale «burino», ossia «proveniente da fuori le mura della città».
Discussioni semiserie che fuori Roma farebbero solo ridere e che però, nel cuore della Capitale, coinvolgono quasi tutti i cittadini, sempre pronti, per strada come al bar, a schierarsi dall’una o dall’altra parte. Questo rappresenta l’essenza del derby romano: una realtà davvero impercettibile in altre città, dove i derbies si strutturavano su cleveages sociali, quello di Milano tra bauscia (Inter) e casciavit (Milan), oppure come a Torino tra padroni Fiat (Juventus) e operai (Toro). Roma-Lazio è sempre andata oltre e proprio per questo è una sfida che si è attirata le attenzioni del cinema italiano. Non è un caso, del resto, che certi episodi legati al derby capitolino siano diventate scene cult di film degli ultimi quarant’anni. In tal senso è stata significativa una ricerca di due studiosi del settore, oltre che giornalisti, Antonio Smargiasse e Guido Liguori, culminata nel 2000 nella pubblicazione di Ciak si gioca. Il calcio nel cinema italiano (Baldini Castoldi).
Pur fornendo uno sguardo a 360 gradi sull’importanza del calcio nel cinema italiano contemporaneo, è stato inevitabile per i due autori focalizzare l’attenzione sulla stracittadina capitolina. «Anvedi sti sfollati, profughi laziali» per quanto poco cortese, è una citazione divenuta cult di Alberto Sordi tratta da Il marito (Loy e Puccini, 1958). Citatissima la Roma in diversi altri film con l’attore romano: chi non ricorda ne Il tassinaro (1983) un Giulio Andreotti interprete di se stesso che disserta sulla squadra del cuore? Andando a scavare nel passato si rintracciano anche spunti degni di riflessione, nonostante la chiave ironica: «Solo dodici pregiudicati su quasi mille tifosi romanisti è una percentuale irrisoria», afferma Vittorio Gassman ne L’audace colpo dei soliti Ignoti (Loy, 1959), non senza sottolineare come invece «tra i laziali i pregiudicati sono molti di più». Una storia in cui il leit motiv di fondo è sempre quella della Roma vera squadra dei romani e della Lazio, e del tifoso laziale, visto come oggetto di scherno. Un’idea che si protrae lungo gli anni ’80, anche attraversando i film di Tomas Milian: celebre l’epopea di Pippo Franco, tifoso bipartisan, ne Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (Pingitore, 1983), in cui non mancano immagini di repertorio delle vecchie curve in cui sono riconoscibili gli striscioni del Commando Ultrà Curva Sud e degli Eagles’Supporters.
Raramente, tuttavia, la condizione imposta dal cinema, e in un certo senso dalla realtà, è stata rovesciata. «È evidente che la critica cinematografica – afferma Fabrizio Ghilardi, studioso di storia sociale del calcio – trovi facile giocare sul paradosso che la Roma rappresenti la città di Roma e la Lazio il paese e la regione. Diciamo che il mondo del cinema mantiene la politica sportiva portata avanti dal fascismo, che aveva bisogno di contrapporre allo strapotere del Nord (dove il calcio era arrivato prima) una forte squadra del Centro-Sud. Il mito di Roma, peraltro, si prestava anche nella scelta dei colori a rappresentare la scelta nazionalpopolare voluta dal regime. La Lazio rimaneva una scelta d’elite e aristocratica, nel momento in cui a Roma arrivavano i flussi di emigrati, i quali molto più spesso finivano per costituire lo zoccolo duro del tifo romanista che tifando Roma si sentiva sempre più integrato nella capitale».
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Giornalista attento alle culture e alle dinamiche giovanili, lavora per E-Polis e collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

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