Dal Secolo d'Italia di martedì 15 febbraio 2009
«Come si ricostruisce lo stadio Filadelfia a Torino?». Domanda da un milione di dollari, si diceva un tempo. Ma non solo: cruccio permanente della tifoseria del Torino Calcio, squadra dai colori granata costituita nel 1906 e con oltre cento anni di storia, in cui si sono alternati straordinari successi – il ciclo del Grande Torino su tutti – a tragedie sportive e umane come la sciagura di Superga, dove perì la compagine capitanata da Valentino Mazzola, o l’incidente che ha tolto la vita a un altro calciatore simbolo, Gigi Meroni, «farfalla granata». Affettuosamente chiamata Toro, è la squadra di calcio che in assoluto ha prodotto più di qualsiasi altra un immaginario fatto di libri, canzoni e film, che in qualche modo evidenzia la particolarità dell’«essere granata», con uno sguardo sempre rivolto al glorioso passato e a un presente che non riesce a decollare. Del resto la sconfitta contro il Sassuolo in casa è storia di questi giorni. Con un cambio in panchina che ha portato Beretta a sostituire Colantuono, la squadra che partiva tra le favorite del campionato di serie B si trova per la prima volta, dall’inizio della stagione fuori dalla zona play off. Una situazione che sabato scorso ha generato una contestazione dei tifosi verso la squadra e il presidente Urbano Cairo. L’imprenditore alessandrino nel 2005 rilevò il Toro dal fallimento, o meglio lo salvò dal baratro riacquisendo la denominazione storica e conducendolo all’anno del Centenario, nel 2006, sotto auspici che lasciavano presagire che il peggio fosse ormai passato. Rinvigorire i vecchi fasti non era impresa facile, ma pensare a un Toro europeo era possibile. Invece i tifosi hanno dovuto digerire un’altra retrocessione in serie B.
Ma al di là delle contingenze legate alla stretta attualità, che purtroppo per i torinisti da circa un ventennio non sono felici, come si diceva inizialmente il problema principale rimane quello dello scempio legato al Filadelfia. Si tratta dello stadio che fu del Grande Torino. Fino al ’97 ospitava gli allenamenti dei granata e le partite delle squadre del settore giovanile: da lì venivano fuori i “ragazzi del Filadelfia”, schiere di giovani calciatori educati professionalmente secondo i valori dei loro più blasonati predecessori, pronti a diventare nuovi interpreti di quel «cuore Toro» e del cosiddetto «tremendismo granata», la capacità di lottare sul campo, senza mollare ai, che aveva caratterizzato la squadra torinese. Dopo di che l’oblio: la demolizione tra eterne promesse di ricostruzione mai mantenute, l’indifferenza della classe politica e il disinteresse apparente dell’imprenditoria, con la minaccia di un centro commerciale da costruire sopra quello che ormai viene considerato da alcuni un vecchio e desueto terreno di gioco. A riportare all’attenzione dei media la questione, sempre i tifosi del Toro. Con ogni mezzo possibile: «Rivogliamo lo Stadio Filadelfia» è il nome di un numeroso gruppo di tifosi su Facebook che recentemente ha anche sensibilizzato, in merito al problema, Cristiano Militello, l’inviato di Striscia la notizia rimasto particolarmente colpito dal Fila dopo una visita effettuata in questi giorni. Un ex stadio, che sarebbe lasciato in stato di abbandono totale se di tanto in tanto i tifosi – sempre, solo loro – non andassero a tagliare l’erba, a pulirlo e a renderlo vivibile e praticabile anche solo per una giornata: lo scorso 8 dicembre, ad esempio, si è svolta una partita tra supporters. Ultras o semplici tifosi che vanno avanti tra mille difficoltà, trascinati dalla carica e dalla forza simbolica di questo luogo di ricordi e possibile sede deputata ad ospitare la memoria storica granata, se si pensa che il Museo della Leggenda Granata si trova fuori città, a Grugliasco. In molti ricordano la struggente interpretazione di Giorgio Albertazzi, nei panni di un ex calciatore granata, nel film Ora e per sempre (di Vincenzo Verdecchi, 2005), che mentre contempla il silenzio del Filadelfia ormai vuoto e abbandonato, torna col pensiero a quando quello stadio era la “Fossa dei leoni” del Grande Toro e rivolto al suo cane dice: «Ognuno, amico mio, ha un luogo da ricordare. Questo è il mio».
«Come si fa a ricostruire il Filadelfia ?» è la domanda che – rigorosamente in dialetto piemontese – si è posto anche Fracchia, leggendario ultras della Curva Maratona e volto noto della tifoseria torinista, nell’ambito della rubrica Parametro zero (all’interno della trasmissione Granata Doc), ambientata proprio negli scantinati del Filadelfia e ideata dal genio creativo di Marco Peroni, scrittore e musicista, nonché curatore della rubrica Fuoriarea su www.toronews.net. Fracchia tenta, con improbabili mezzi di fortuna – degni di Alan Ford e del gruppo Tnt –, nell’impresa di ridare vita al “Fila”. Fine dei lavori: «Prima püsibil». Tra ironia e disincanto i due parlano, sotto al vecchio stadio, di com’era prima quel posto, di com’erano prima il Toro e il calcio. Nostalgia rivolta a un futuro che sembra non esserci. Almeno i cugini juventini, accomunati negli insuccessi calcistici, il nuovo stadio lo stanno costruendo e quel progetto va spedito. Un esempio che la dirigenza granata dovrebbe seguire.
Ma al di là delle contingenze legate alla stretta attualità, che purtroppo per i torinisti da circa un ventennio non sono felici, come si diceva inizialmente il problema principale rimane quello dello scempio legato al Filadelfia. Si tratta dello stadio che fu del Grande Torino. Fino al ’97 ospitava gli allenamenti dei granata e le partite delle squadre del settore giovanile: da lì venivano fuori i “ragazzi del Filadelfia”, schiere di giovani calciatori educati professionalmente secondo i valori dei loro più blasonati predecessori, pronti a diventare nuovi interpreti di quel «cuore Toro» e del cosiddetto «tremendismo granata», la capacità di lottare sul campo, senza mollare ai, che aveva caratterizzato la squadra torinese. Dopo di che l’oblio: la demolizione tra eterne promesse di ricostruzione mai mantenute, l’indifferenza della classe politica e il disinteresse apparente dell’imprenditoria, con la minaccia di un centro commerciale da costruire sopra quello che ormai viene considerato da alcuni un vecchio e desueto terreno di gioco. A riportare all’attenzione dei media la questione, sempre i tifosi del Toro. Con ogni mezzo possibile: «Rivogliamo lo Stadio Filadelfia» è il nome di un numeroso gruppo di tifosi su Facebook che recentemente ha anche sensibilizzato, in merito al problema, Cristiano Militello, l’inviato di Striscia la notizia rimasto particolarmente colpito dal Fila dopo una visita effettuata in questi giorni. Un ex stadio, che sarebbe lasciato in stato di abbandono totale se di tanto in tanto i tifosi – sempre, solo loro – non andassero a tagliare l’erba, a pulirlo e a renderlo vivibile e praticabile anche solo per una giornata: lo scorso 8 dicembre, ad esempio, si è svolta una partita tra supporters. Ultras o semplici tifosi che vanno avanti tra mille difficoltà, trascinati dalla carica e dalla forza simbolica di questo luogo di ricordi e possibile sede deputata ad ospitare la memoria storica granata, se si pensa che il Museo della Leggenda Granata si trova fuori città, a Grugliasco. In molti ricordano la struggente interpretazione di Giorgio Albertazzi, nei panni di un ex calciatore granata, nel film Ora e per sempre (di Vincenzo Verdecchi, 2005), che mentre contempla il silenzio del Filadelfia ormai vuoto e abbandonato, torna col pensiero a quando quello stadio era la “Fossa dei leoni” del Grande Toro e rivolto al suo cane dice: «Ognuno, amico mio, ha un luogo da ricordare. Questo è il mio».
«Come si fa a ricostruire il Filadelfia ?» è la domanda che – rigorosamente in dialetto piemontese – si è posto anche Fracchia, leggendario ultras della Curva Maratona e volto noto della tifoseria torinista, nell’ambito della rubrica Parametro zero (all’interno della trasmissione Granata Doc), ambientata proprio negli scantinati del Filadelfia e ideata dal genio creativo di Marco Peroni, scrittore e musicista, nonché curatore della rubrica Fuoriarea su www.toronews.net. Fracchia tenta, con improbabili mezzi di fortuna – degni di Alan Ford e del gruppo Tnt –, nell’impresa di ridare vita al “Fila”. Fine dei lavori: «Prima püsibil». Tra ironia e disincanto i due parlano, sotto al vecchio stadio, di com’era prima quel posto, di com’erano prima il Toro e il calcio. Nostalgia rivolta a un futuro che sembra non esserci. Almeno i cugini juventini, accomunati negli insuccessi calcistici, il nuovo stadio lo stanno costruendo e quel progetto va spedito. Un esempio che la dirigenza granata dovrebbe seguire.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Giornalista attento alle culture e alle dinamiche giovanili, lavora per E-Polis e collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.
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