Dal Secolo d'Italia di martedì 15 dicembre 2009
Il calcio più giovane e innovativo del campionato italiano? Porta la firma del più vecchio allenatore della categoria. Giampiero Ventura, classe 1948, un lupo di mare ligure alla guida del Bari neopromosso. Sabato sera ha steso con tre colpi da ko la Vecchia Signora, conquistando così la vetrina del torneo come profeta di un modulo innovativo e originale.
Questa estate tutti i dirigenti sportivi erano innamorati del “modello Guardiola”, il preparatissimo tecnico del Barcellona campione d'Europa. Prima delle idee e delle qualità, per scegliere una nuova guida tecnica sembrava dovesse contare soprattutto l'età. Così sugli scudi sono saliti Ciro Ferrara e Antonio Conte, icone di un passato recente glorioso in azzurro e bianconero. Lo scugnizzo napoletano aveva collezionato in carriera solo due vittorie nelle ultime due gare della stagione con Del Piero e compagni. La dirigenza del club più titolato d'Italia gli ha consegnato, insieme ad un contratto fino al 2011, le chiavi di una squadra desiderosa di ritornare in vetta alla classifica. La batosta del San Nicola, però, dimostra come una scelta “à la page” non sempre sia quella giusta.
Nel mese di giugno, Giampiero Ventura era in vacanza negli Stati Uniti. Doveva dimenticare un esonero doloroso dal Pisa e ritemprarsi per una nuova avventura. Avrebbe dovuto guidare la Triestina, con un progetto nemmeno troppo ambizioso per la serie B. A Bari aveva appena rinnovato il contratto Antonio Conte. Poi il colpo di scena. Alle elezioni comunali vinse ancora la sinistra, il sindaco Michele Emiliano conquistava il secondo mandato. La famiglia Matarrese, proprietaria del club biancorosso, somatizzava il clima politico al punto di cambiare rotta sportiva, riducendo il budget per il rafforzamento della rosa. Conte allora sbatteva la porta e - dopo 23 giorni e con settecentomila euro di buon uscita - tagliava la corda. Il lupo genovese era a spasso negli Usa quando il direttore sportivo pugliese Giorgio Perinetti lo contattò chiedendogli la disponibilità a modificare il programma del suo soggiorno per tornare nel Belpaese... Il film di Woody Allen “Match point” inizia con questo monologo: “Chi disse preferisco avere fortuna che talento percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conta la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro. E per un attimo può andare oltre o tornare in dietro. Con un po' di fortuna va oltre e si vince. Oppure no. E allora si perde”. La metafora tennistica è calzante per Ventura. Una irripetibile combinazioni di fattori – una sconfitta elettorale di Tonino Matarrese alle elezioni comunali, il ridimensionamento dei programmi per la stagione, l'irrazionale rottura di Conte con il club – ha riportato nell'Olimpo del calcio italiano un allenatore che invece di questi tempi poteva essere sulla panchina degli alabardati giuliani, per una grigia stagione di metà classifica tra i cadetti. Alla conferenza stampa di presentazione stupì tutti con una affermazione surreale: “Io alleno per libidine. Il mio obiettivo? Far divertire il pubblico e sentirmi dire dai giocatori al 90' che si sono divertiti con i miei schemi”. E può ben dire di esserci riuscito.
Alla innegabile fortuna di Ventura si è aggiunto il talento. La voglia di sorprendere. La filosofia da ardito. E un motto: “Giovinezza al potere”. Ha scommesso sulla coppia di difensori più verde della serie A, Andrea Ranocchia (classe 1988) e Leonardo Bonucci (1987). “Stupiranno tutti” aveva detto alla vigilia dell'esordio in campionato contro l'Inter scudettata. E avuto ragione. Il reparto più giovane della categoria è stato per alcune settimane il meno battuto d'Europa e ha costretto al digiuno forzato bomber del calibro di Milito, Miccoli, Dinho, Inzaghi...
Il suo credo tattico capovolge la vulgata difensivista italiana, ribalta il trapattonismo. Sovverte il vecchio adagio del “prima non prenderle”. Contro Diego, Amauri e Trezeguet, davanti ai cinquantamila del San Nicola ha schierato il Bari con uno spregiudicato 4-2-4. Nessuna paura e tanta voglia di attaccare. Con quattro punte. Quattro cursori offensivi erano schierati in linea ogni qualvolta la palla entrava in possesso dei biancorossi. L'esecuzione rapidissima degli schemi da parte dei suoi interpreti ha ridicolizzato la difesa bianconera. Cannavaro e Legrottaglie sono diventati di colpo Cariatidi mentre i punteros Meggiorini e Barreto perforavano la porta di Buffon.
Nei prime sei mesi in Puglia è successo davvero di tutto. Un grottesco americano, Tim Barton, ha tenuto in scacco la città promettendo di acquistare il club barese salvo fuggire a gambe levate quando avrebbe dovuto ottemperare agli impegni sottoscritti nel preliminare. La tifoseria disorientata ha reagito sottoscrivendo un numero esiguo di abbonamenti. I bookmakers inglesi indicavano il Bari come la prima candidata alla retrocessione. L'esordio con l'Inter era considerato un incontro perfetto per il “Totogol”. Poi è scoppiato il caso D'Addario e a Ventura è toccata anche l'omonimia con il protagonista dello scandalo per la malasanità pugliese. “Va bene, tutti mi hanno sempre chiamato Giampi. Non posso mica cambiare nome adesso...”, ha sentenziato sorridente alla fine di una conferenza stampa, attorniato da incantevoli hostess.
Ciro Ferrara ha iniziato ad allenare nel 2009 sulla panchina della Juventus. Giampiero Ventura su quella dei dilettanti del Rapallo Ruentes nel 1981 e poi dell'Entella Bacezza l'anno successivo. Il primo non è nemmeno sicuro di arrivare a mangiare il panettone a Natale nel capoluogo sabaudo. Il secondo, invece, continua a coltivare l'utopia del calcio-libidine e sogna di diventare, a sessantun'anni suonati, il “Crujiff italiano”. Contro il giovanilismo, vince la giovinezza. Quella vera, non anagrafica, ma di spirito.
Questa estate tutti i dirigenti sportivi erano innamorati del “modello Guardiola”, il preparatissimo tecnico del Barcellona campione d'Europa. Prima delle idee e delle qualità, per scegliere una nuova guida tecnica sembrava dovesse contare soprattutto l'età. Così sugli scudi sono saliti Ciro Ferrara e Antonio Conte, icone di un passato recente glorioso in azzurro e bianconero. Lo scugnizzo napoletano aveva collezionato in carriera solo due vittorie nelle ultime due gare della stagione con Del Piero e compagni. La dirigenza del club più titolato d'Italia gli ha consegnato, insieme ad un contratto fino al 2011, le chiavi di una squadra desiderosa di ritornare in vetta alla classifica. La batosta del San Nicola, però, dimostra come una scelta “à la page” non sempre sia quella giusta.
Nel mese di giugno, Giampiero Ventura era in vacanza negli Stati Uniti. Doveva dimenticare un esonero doloroso dal Pisa e ritemprarsi per una nuova avventura. Avrebbe dovuto guidare la Triestina, con un progetto nemmeno troppo ambizioso per la serie B. A Bari aveva appena rinnovato il contratto Antonio Conte. Poi il colpo di scena. Alle elezioni comunali vinse ancora la sinistra, il sindaco Michele Emiliano conquistava il secondo mandato. La famiglia Matarrese, proprietaria del club biancorosso, somatizzava il clima politico al punto di cambiare rotta sportiva, riducendo il budget per il rafforzamento della rosa. Conte allora sbatteva la porta e - dopo 23 giorni e con settecentomila euro di buon uscita - tagliava la corda. Il lupo genovese era a spasso negli Usa quando il direttore sportivo pugliese Giorgio Perinetti lo contattò chiedendogli la disponibilità a modificare il programma del suo soggiorno per tornare nel Belpaese... Il film di Woody Allen “Match point” inizia con questo monologo: “Chi disse preferisco avere fortuna che talento percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conta la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro. E per un attimo può andare oltre o tornare in dietro. Con un po' di fortuna va oltre e si vince. Oppure no. E allora si perde”. La metafora tennistica è calzante per Ventura. Una irripetibile combinazioni di fattori – una sconfitta elettorale di Tonino Matarrese alle elezioni comunali, il ridimensionamento dei programmi per la stagione, l'irrazionale rottura di Conte con il club – ha riportato nell'Olimpo del calcio italiano un allenatore che invece di questi tempi poteva essere sulla panchina degli alabardati giuliani, per una grigia stagione di metà classifica tra i cadetti. Alla conferenza stampa di presentazione stupì tutti con una affermazione surreale: “Io alleno per libidine. Il mio obiettivo? Far divertire il pubblico e sentirmi dire dai giocatori al 90' che si sono divertiti con i miei schemi”. E può ben dire di esserci riuscito.
Alla innegabile fortuna di Ventura si è aggiunto il talento. La voglia di sorprendere. La filosofia da ardito. E un motto: “Giovinezza al potere”. Ha scommesso sulla coppia di difensori più verde della serie A, Andrea Ranocchia (classe 1988) e Leonardo Bonucci (1987). “Stupiranno tutti” aveva detto alla vigilia dell'esordio in campionato contro l'Inter scudettata. E avuto ragione. Il reparto più giovane della categoria è stato per alcune settimane il meno battuto d'Europa e ha costretto al digiuno forzato bomber del calibro di Milito, Miccoli, Dinho, Inzaghi...
Il suo credo tattico capovolge la vulgata difensivista italiana, ribalta il trapattonismo. Sovverte il vecchio adagio del “prima non prenderle”. Contro Diego, Amauri e Trezeguet, davanti ai cinquantamila del San Nicola ha schierato il Bari con uno spregiudicato 4-2-4. Nessuna paura e tanta voglia di attaccare. Con quattro punte. Quattro cursori offensivi erano schierati in linea ogni qualvolta la palla entrava in possesso dei biancorossi. L'esecuzione rapidissima degli schemi da parte dei suoi interpreti ha ridicolizzato la difesa bianconera. Cannavaro e Legrottaglie sono diventati di colpo Cariatidi mentre i punteros Meggiorini e Barreto perforavano la porta di Buffon.
Nei prime sei mesi in Puglia è successo davvero di tutto. Un grottesco americano, Tim Barton, ha tenuto in scacco la città promettendo di acquistare il club barese salvo fuggire a gambe levate quando avrebbe dovuto ottemperare agli impegni sottoscritti nel preliminare. La tifoseria disorientata ha reagito sottoscrivendo un numero esiguo di abbonamenti. I bookmakers inglesi indicavano il Bari come la prima candidata alla retrocessione. L'esordio con l'Inter era considerato un incontro perfetto per il “Totogol”. Poi è scoppiato il caso D'Addario e a Ventura è toccata anche l'omonimia con il protagonista dello scandalo per la malasanità pugliese. “Va bene, tutti mi hanno sempre chiamato Giampi. Non posso mica cambiare nome adesso...”, ha sentenziato sorridente alla fine di una conferenza stampa, attorniato da incantevoli hostess.
Ciro Ferrara ha iniziato ad allenare nel 2009 sulla panchina della Juventus. Giampiero Ventura su quella dei dilettanti del Rapallo Ruentes nel 1981 e poi dell'Entella Bacezza l'anno successivo. Il primo non è nemmeno sicuro di arrivare a mangiare il panettone a Natale nel capoluogo sabaudo. Il secondo, invece, continua a coltivare l'utopia del calcio-libidine e sogna di diventare, a sessantun'anni suonati, il “Crujiff italiano”. Contro il giovanilismo, vince la giovinezza. Quella vera, non anagrafica, ma di spirito.
Michele De Feudis è giornalista e scrittore, redattore di Epolis e collaboratore di varie testate tra cui il Secolo d'Italia. Scrive di libri, cinema, politica e calcio per quotidiani nazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III millennio, edito da L'arco e la corte (Bari).
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