martedì 15 dicembre 2009

Gianni Pennacchi, il sessantottino venuto da Littoria (di Luciano Lanna)

Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di martedì 15 dicembre 2009
«Confesso che davanti a esortazioni del tipo "finiamola col sessantottismo", "è tempo di archiviare la cultura del '68", resto silenzioso e perplesso: mi sale il dubbio che in realtà si voglia parlar d'altro senza averne il coraggio. A proposito, credete ancora e davvero che Sarkozy sia di destra?». Cominciava così, poco più di un anno fa, un lungo articolo di Gianni Pennacchi su Charta minuta, in cui il simpatico e generoso giornalista raccontava il "suo" Sessantotto, rivendicandone le ragioni e l'attualità. Ecco, dopo che ieri mattina la telefonata di un comune amico ci diceva - non volevamo crederci - che Gianni era morto a seguito di un incidente a casa il nostro pensiero è subito andato a quell'articolo e ai diversi incontri pubblici che abbiamo tenuto insieme nel corso del quarantennale della contestazione. Gianni se ne è andato in perfetta salute, da vero sessantottino non è mai invecchiato. L'ultimo gesto che ha compiuto è stato un atto di festa, montare un albero di Natale per la sua famiglia. Una caduta dalla scala gli è stata fatale: nonostante l'immediato dolore si è messo a letto e alle prime ore di ieri mattina ci ha lasciato. Aveva solo 64 anni. Per l'ultimo saluto questa mattina la camera ardente sarà aperta a Roma dalle 9 alle 10 al Verano, mentre i funerali si svolgono alle 11 nella chiesa di Piazza Sempione. Lo piangono la moglie Anna e le figlie Barbara e Larissa, oltre ai fratelli, Antonio, autore del romanzo Il fasciocomunista, e Laura, esponente del Pd e già sottosegretario al Tesoro. Giornalista parlamentare di lungo corso, autentico segugio da Transatlantico, Gianni aveva cominciato alla Fiera letteraria. Reduce, in realtà, da una militanza giovanile in Servire il Popolo, si era dato al giornalismo come sua naturale vocazione e negli anni '70 era stato prima una colonna di Stampa sera e poi, sotto la direzione di Carlo Rossella, un inviato di punta de La Stampa. Negli anni '90, fu chiamato da Ricardo Franco Levi al primo Indipendente, giornale nel quale successivamente incontrò Vittorio Feltri che lo volle con sè al Giornale. Ma Gianni è sempre rimasto un non-allineato.
Chi scrive lo fece collaborare anche all'Italia settimanale e più di recente gli chiese anche qualche contributo per il nostro Secolo. Avevamo approfondito la nostra amicizia in un convegno su Bettino Craxi a due anni dalla morte che nella mia Artena era stato organizzato da esponenti di An. Lui venne, incuriosito dall'incontro, ne scrisse sul suo giornale e la sera arrivando per la cena nell'abitazione della mia famiglia esordì simpaticamente: «Finisco sempre per mangiare a casa dei "fasci", dai "compagni" non succede quasi mai...». Ne scaturì una bella conversazione con mio padre, discorrendo di buddismo tibetano, di Latina, che era la sua città di nascita, e quindi del Sessantotto. Perché, in fondo, Gianni è sempre rimasto fedele agli ideale della sua giovinezza. «Il mio '68 - scriveva nell'articolo per Charta - è più variegato e confuso di quanto riferiscano le poche fonti storiche. Nel mio, all'università di Roma, c'entrano pure i fratelli Di Luia, Enzo Dantini e Franco Papitto. Loro Parlavano di Codreanu, di Yukio Mishima, di Drieu La Rochelle, di Ezra Pound, di Julius Evola e di una mitica Europa che sembrava quella di Carlo Magno». Un '68, aggiungeva Pennacchi, che in quei giorni chiamanavo "sciarpa bianca", vissuto «con gli occhi di uno studente pendolare tra Latina e Roma, al terzo anno di giurisprudenza, in ordine con gli esami, che assistito dal professore cattolico e di destra Sergio Cotta aveva messo mano a una tesi di laurea sull'esperienza di governo anarchico nella Barcellona repubblicana. Un giovane che nella sua città frequentava la sezione della Fgs, i giovani socialisti, e leggeva Pisacane, Bakunin e Kropotkin. E che sul finire del '67, dopo un'esercitazione di diritto, andò a Lettere occupata per assistere a un'assemblea. Sconvolgente. C'era tutto quello che doveva esserci, libertà e vita, ragazze e voglia di cambiamento, ancora ragazze, fantasia, spazi aperti e orizzonti sconfinati come nelle canzoni di Lucio Battisti...».
Recentemente, Gianni era salito alla ribalta per il film Mio fratello è figlio unico, tratto dal Fasciocomunista del fratello Antonio, in cui si narrano le vicende dei due, intrecciate con l'opposta militanza negli anni '60. E se Antonio - "Accio" nel libro - dall'allora attivista missino è oggi vicino al Pd, Gianni - il "Manrico" della versione romanzata, interpretato nel film da Riccardo Scamarcio - dall'anarchico che era stato si ritrovava a simpatizzare con l'esperienza craxiana e a lavorare nel Giornale che fu di Montanelli. Del resto, il suo primo strappo risaliva al '68, quando, deluso dal "tradimento di Valle Giulia" e dalla strumentalizzazione del Pci, dimostrò subito di fare a modo suo: «Avevo ricevuto il mio primo certificato elettorale, ma quella domenica scelsi il mare».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia. Alcuni suoi articoli sono raccolti su questo blog.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Giusto per chiarire il nostro punto di vista sul '68, vi invito a leggere questo articolo postato su artenaonline.it
http://artenaonline.it/2009/09/sogno-causato-dal-volo-di-un-ape/
un saluto

http.//giovannifonghiniunavocefuoridalcoro.blogspot.com/ ha detto...

Amici miei del web (cari camerati si sarebbe detto) io sono del '59 ,mio padre nel gennaio del '44 era ad Anzio nella RSI, la mia prima tessera dell'ASAN/Giovane Italia me lo donò mio padre nel '70 due mesi prima di morire (questo per descrivere il mio background personale, familiare e politico). Crescendo la mia vena di irriducibile "missino di sinistra" è creciuta sempre più: quindi il libro IL FASCIOCOMUNISTA lo amo come pochi e stimo enormemente Antonio Pennacchi (non sapevo che Gianni fosse suo fratello e da "camerata" ne piango la morte.
Quel '68 descritto con i nostri giovani che partecipavano attivamente alla rivolta lo ritengo uno dei momenti salienti di una destra intelligente e non accodata alla DC e agli altri benpensanti del tempo. Poi, come bene descrive nei suoi libri Adalberto Baldoni, altro mio autore preferito, ci fu la sciagurata sortita di Almirante e dei suoi "pugilatori". Quel momento segnò la più tragica sconfitta della destra Giovane ed Eretica. Purtroppo la storia non si fa con i se (dimenticavo, una piccola nota di colore:per questo Natale negli Oscar ho regalato alla mia carissima amica Sandra il Fasciocomunista; questo l'aiuterà a capire meglio che le persone e le idee non si sdoganano, ad essere sdoganate sono solo le merci).
Giovanni Fonghini
http://giovannifonghiniunavocefuoridalcoro.blogspot.com/