sabato 12 dicembre 2009

Pier Francesco Grasselli: «racconto la generazione senza emozioni»

Dal Secolo d'Italia di sabato 12 dicembre 2009
L’appuntamento era per sabato scorso (alle 23!) al White di Roma. Per chi non conosce la capitale, parliamo di uno dei locali più cool del momento, a pochi passi da piazza Barberini. È la location glamourissima che Pier Francesco Grasselli ha scelto per presentare il suo ultimo romanzo. Autobiografico, ché racconta le peripezie di un ragazzo diviso tra la passione per le donne e quella per la scrittura, colleziona rifiuti – su entrambi i fronti – e infine corona il sogno della pubblicazione. Il titolo è dichiaratamente provocatorio: Fanculo amore (Mursia, pp. 267 € 15). «Perché l’amore è anche mandarsi a quel paese, una cosa forte, non un acquarello. Federico Moccia e Fabio Volo hanno rotto con le loro sdolcinerie». Grasselli, trentaduenne nato a Reggio Emilia e trasteverino d’adozione, i giovani li conosce bene e nei suoi romanzi – siamo al quarto, tutti made in Mursia – parla il loro linguaggio. Crudo e senza tanti fronzoli. Ne condivide gli stessi luoghi. Sa che è molto difficile trascinarli in una libreria o in una polverosa sala conferenze. E per conquistare alla causa della letteratura anche chi normalmente si tiene a debita distanza dalla carta stampata, ha deciso di promuovere le sue opere andando a sollecitare i potenziali lettori a domicilio. Ovvero nelle discoteche. Le più gettonate, off course. Ne ha visitate oltre cinquanta in tre anni. Precisamente dal 2006, anno del suo pluristampato romanzo d’esordio, L’ultimo cuba libre (Mursia, pp. 316 € 12.50): caso editoriale alimentato soprattutto dal passaparola del popolo della notte, al punto da aver ispirato una fortunata linea d’abbigliamento ribattezzata Ucl, con tanto di bicchiere da long drink, bottiglia di coca-cola e di rum come logo.
Una cosa è certa: pochi sono riusciti a fotografare con altrettanta nitidezza l’inquietudine esistenziale dei giovani d'oggi. «Non si tratta solo di fiction – ci tiene a sottolineare l’autore – cerco di raccontare i ragazzi per come sono: sempre più dipendenti dalla tecnologia, ossessionati dalle griffe, in fuga dalle relazioni sentimentali, ridotti a vivere storie di sesso vuoto ed egoistico».
La speed generation, l’hanno chiamata. Quella che il tutto e subito l’ha avuto e non riesce più a emozionarsi se non affidandosi alla scorciatoia dello sballo. Finendo spesso fuori strada. Non solo al sabato sera.
Gioventù, se non proprio bruciata, quanto meno annoiata e in cerca di distrazioni spesso fatali. «Hanno sperimentato precocemente esperienze che prima venivano dilazionate nel tempo – ci spiega Grasselli – e ora è come se fossero anestetizzati nei confronti della vita, inebetiti dalla tv e dalla ipervelocità delle comunicazioni». Giovanissimi, ma non solo, ché sono tanti i trentenni con la sindrome da Peter Pan. «Una generazione che non disturba il conducente, non ha rivendicazioni da fare, non va in piazza, non urla – la descrive lo scrittore – perchè ha deciso di rendersi invisibile. Si fa notare solo quando muore. E quando ci scappa il morto, ecco che i soloni si accorgono dei giovani: “C’è il vuoto dei valori”, sentenziano». Che poi, a dirla tutta, cosa c'entrano i presunti valori? «L’essere strafigo, l’aggressività, la competizione, il denaro, il successo, il pensare a se stessi, persino essere furbi è un valore. Ma chi ha costruito i valori di questa società?», si domanda Grasselli. Che ha già pronta la risposta: «Sono stati i “vecchi”, gli stessi che poi frignano sul relativismo».
Se quello raccontato da Cormac McCarthy – e reso splendidamente nella pellicola dei fratelli Coen – “non è un paese per vecchi”, il nostro sembrerebbe, al contrario, non essere per i giovani. Quasi che fossero ospiti appena tollerati, potenziali comparse in un film sceneggiato esclusivamente dagli adulti. I quali, illo tempore, si sono autoassegnati i ruoli da protagonista. «Il nostro – incalza – è un paese di vecchi piegati dal benessere, che vivono con la testa rivolta all’indietro». Il riferimento è alle continue celebrazioni del passato e ai nostalgici del com’eravamo. Agli anniversari che si sono susseguiti negli ultimi tempi – è la volta del ’69 – e a quelli che già incombono: i 150 anni dall’Unità d’Italia. «Ancora ci ammorbano - ironizza - con le visioni della loro gioventù ormai andata. Mario Capanna e Marcello Veneziani hanno molto in comune: sono vecchi. Quando smetteranno di sfogliare i loro album in bianco e nero e alzeranno la testa per guardare i giovani di oggi? Meglio: quando si faranno da parte per lasciargli un po’ di spazio?».
Grasselli ha raccontato quest’universo sommerso e impresentabile per quello che è. Con uno stile sanguigno che guarda a Charles Bukowski, Raymond Carver e John Fante ma ancora di più a Breat Easton Ellis. I suoi “personaggi” non sono eroi, né anelano a diventarlo. Si tratta per lo più di nullafacenti mascherati da studenti, la cui preparazione è buona solo con riferimento agli ingredienti dei cocktail esotici che tracannano per stordirsi in una corsa che li conduce all’autodistruzione. Aspiranti playboy e bellone, rampolli della società bene emiliana e ricchi per una sera, pedine intercambiabili nel gioco del consumismo più sfrenato. L’unica dimensione percepibile è un presente in cui «le emozioni si confondono con i fumi dell’alcol e i flash delle pastiglie». Sì, perché dietro a un vitalismo sostenuto da sostanze artificiali, c’è una gioventù problematica, più rassegnata che arrabbiata.
Fanculo amore chiude quella che l’autore chiama la triologia della “dannazione”. In principio, come abbiamo ricordato, è stato L’ultimo cuba libre (2006), seguito l’anno successivo da All’inferno vado in Porsche (pp. 390, € 15) – altro riuscito romanzo (cui è stato recentemente dedicato un cortometraggio) «sulla Google-generation che naviga su internet, guarda i video di Mtv, gioca alla Play Station tutto il pomeriggio e alla sera si sballa in discoteca»– e Ho scaricato Miss Italia (2008, pp. 300, € 15). Un prequel, quest’ultimo, in cui ritroviamo Leo, diciottenne con la pessima abitudine di bere «fino a farsi cadere le braccia», ma anche giovane divorato dall’ambizione di diventare un grande scrittore e dal terrore di essere incompreso, proprio come l’Arturo Bandini di John Fante. Personaggio in buona parte autobiografico, ché Grasselli riferisce di aver collezionato almeno un centinaio di rifiuti prima di ricevere la telefonata della Mursia. E se in Fanculo amore l’autore torna a mettere alla berlina proprio il mondo editoriale, nel romanzo che sta finendo di scrivere, e che sarà in libreria la prossima primavera (dal titolo Vivere da morire), prenderà di mira il piccolo schermo. «È una fabbrica di falsi miti e di messaggi sbagliati. Il mio sarà un libro faustiano – ci anticipa – che denuncia i patti con il diavolo di “vallettopoli”. Io detesto la tv, a Roma non ce l’ho, le notizie le prendo dal web e i film li vedo sul pc. Guardare la tv significa sottrarre tempo prezioso ad altre esperienze, non solo letterarie».
Il primo atto di ribellione, pertanto, non è cambiare canale, ma spegnere la tv e inghiottire in un solo click palinsesti mediocri, figuranti senza dignità e opinionisti di professione. «I giovani devono ritrovare consapevolezza spirituale, vivere il proprio tempo senza subirlo, tornare protagonisti della loro vita e non più meri spettatori di quella altrui. E devono trovare dentro di loro la risposta ai grandi interrogativi della vita. È quello che proverò a fare io stesso nei miei nuovi romanzi. Sinora mi sono limitato a fotografare la realtà, adesso proverò a offrire una prospettiva, almeno dal mio punto di vista». Con la scrittura. Nessuna candidatura nei suoi orizzonti. «La politica non mi appassiona – ci dice – e capisco il crescente fastidio dei più giovani nei confronti dei politicanti, anche se con tale atteggiamento si condannano da soli a un antagonismo fine a se stesso. Gianfranco Fini, comunque, è diverso, mi è sempre piaciuto. Mi sembra l’unico che stia provando davvero a fare qualcosa, a uscire dagli schemi preconfezionati, ma è difficile prevedere quello che succederà…». Perché, come scopre Francesco, il ventisettenne protagonista di Fanculo amore alle prese con una mortificante gavetta da giornalista di testate locali, «la vita (e la politica, ndr) è come un romanzo, può sorprenderti all’ultimo momento».
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1 commento:

Anonimo ha detto...

bell'articolo ! mi e piaciuto .....sono un 31 enne e, anche se ho letto solo il primo libro di grasselli, devo dire che mi ritovo in piu di un passo del pezzo.

ciao