Dal Secolo d'Italia di martedì 5 gennaio 2009
Non c’è attualità sportiva che possa competere con il “prepotente” ritorno in edicola di due miti del calcio, sia pure immaginari. Si sa, i campioni veri – quelli in carne, ossa e muscoli – finiscono spesso per deludere. Grandi finchè si vuole, ma poi capita che si macchino di una colpa imperdonabile: come sbagliare il rigore decisivo. «Non è da questi particolari che si giudica un giocatore», teorizzava quel buonista di De Gregori ne La leva calcistica del ’68. Sarà anche vero, ma ai mondiali americani del ’94 l’errore di Roberto Baggio ci costò il titolo.
Gli eroi di inchiostro, loro no, non ci hanno mai tradito. Neanche il tempo può sconfiggerli. Non ce li ritroviamo in giacca e cravatta a fare i commentatori delle altrui fatiche in qualche trasmissione televisiva. Eroi forever young, a differenza di quelli, irrimediabilmente imbolsiti, che hanno infiammato la nostra giovinezza, continuano a lottare con noi, anzi per noi. Per questo li abbiamo amati e continuiamo a amarli.
Eppure, con la mia edicolante, ho giustificato così l’acquisto del primo fascicolo (con dvd) di Holly e Benji: «È per i miei figli». Una mezza bugia, ché anche loro sono cresciuti con i due campioncini giapponesi. Solo su facebook i fan di Holly e Benji sono cinquecentomila. Fenomeno di culto non solo per la generazione cresciuta negli anni Ottanta e non solo da noi, la loro fama si estende in Europa come negli States, nei paesi arabi come nell’oscurantista Iran.
Il legame con l’Italia, tuttavia, è tra i più forti. Non a caso Yoichi Takahashi – creatore nel ’81 della serie, oggi cinquantenne – ha raccontato di aver trovato l’ispirazione durante un viaggio a Roma, guardando un gruppo di ragazzini giocare nel parco di Colle Oppio. Nel nostro paese la versione animata arrivò per la prima volta a metà degli anni Ottanta, doppiata da un telecronista d’eccezione: Sergio Matteucci, voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto. Così Holly e Benji trovarono il loro spazio a latere di gioie e delusioni sportive sin troppo reali. Se “ieri” i tifosi giallorossi si arrabbiavano con il compianto Agostino Di Bartolomei chiamandolo crudelmente “culo di pietra” per l’intollerabile lentezza, oggi quelli bianconeri maledicono la dirigenza juventina per avergli piantato un palo in mezzo al campo dal nome di Felipe Melo. Corsi e ricorsi storici. A Holly, Benji e ai loro compagni, invece, cosa vuoi rimproverare? Non c’è episodio in cui non abbiano sudato ben più delle rituali sette camicie. Corrono instancabili per dei campi che sembrano costruiti su una collina e lunghi chilometri. E quando arrivano al tiro, beh, nessuna conclusione sbilenca e morbida alla Tiago (gli juventini sanno di cosa parliamo), ma cannonate che prendono traiettorie imprevedibili, talmente forti da bucare la rete. Per non parlare delle sospensioni aeree. Roba da far impallidire l’Amauri dei tempi migliori. Bambini che saltano ben sopra la traversa e rimangono lì a disegnare in cielo le acrobazie più spettacolari. Buffon potrebbe accomodarsi in panchina con un portiere imbattibile come Benji. Mentre Holly, protagonista assoluto dentro e fuori dal campo, capitano e numero 10, è un attaccante capace di fare reparto da solo.
Del resto, sia Alex Del Piero che Zinedine Zidane hanno confessato di essersi appassionati, da giovanissimi, alle sue imprese sportive. Perché di imprese si tratta, realizzate in un paese – quello del Sol Levante – in cui il fumetto non rappresenta un mero intrattenimento per bambini privo di dignità artistica. Il manga, (insieme all’anime, la sua trasposizione televisiva o cinematografica), al contrario, si fa portavoce di una vera e propria cultura e delle aspirazioni di un’intera nazione. Come ha scritto il “nostro” Adriano Scianca, si tratta «dell’unica cultura eroica possibile per un paese “rieducato” al pacifismo dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale». E non mancano certo suggestioni Zen ed etica bushido nei calciatori in erba Holly e Benji, in cui sopravvive un contesto culturale caratterizzato, per tornare alle parole di Scianca, «dalla ricerca del “colpo segreto”, dall’illuminazione seguita allo sforzo indefesso, dall’etica del sacrificio, dalla ricerca della perfezione, dall’eroe che ferma da solo forze preponderanti, dall’ammirazione della potenza del nemico che ci sprona all’autosuperamento».
Esagerazioni? Tutt’altro. I protagonisti non si risparmiano, continuano a giocare incuranti degli infortuni e senza amministrarsi. Rischiano il tutto per tutto, come ci avevano abituato i campioni del passato, incapaci di simulare un fallo ricevuto o di tirare indietro la gamba in un takle. Tempi in cui, per dirla con Gigi Riva – che per onorare fino in fondo la maglia azzurra ha sacrificato due gambe, fratturandosi il perone sinistro nel ’67 e la caviglia destra nel ’70 – «certi liberi tiravano una riga vicino alla loro area e dicevano “se la passi ti spacco”». Un football non solo metafora della vita, «ma anche della guerra – come ha sottolineato Massimo Fini – quando ancora nello sport si liberavano gli antichi istinti e si dava sfoggio all’orgoglio di appartenenza. Mentre adesso – ha concluso – la repressione vorrebbe rendere tutto innocuo». Un motivo in più per tornare a gridare: Viva Holly e Benji.
Gli eroi di inchiostro, loro no, non ci hanno mai tradito. Neanche il tempo può sconfiggerli. Non ce li ritroviamo in giacca e cravatta a fare i commentatori delle altrui fatiche in qualche trasmissione televisiva. Eroi forever young, a differenza di quelli, irrimediabilmente imbolsiti, che hanno infiammato la nostra giovinezza, continuano a lottare con noi, anzi per noi. Per questo li abbiamo amati e continuiamo a amarli.
Eppure, con la mia edicolante, ho giustificato così l’acquisto del primo fascicolo (con dvd) di Holly e Benji: «È per i miei figli». Una mezza bugia, ché anche loro sono cresciuti con i due campioncini giapponesi. Solo su facebook i fan di Holly e Benji sono cinquecentomila. Fenomeno di culto non solo per la generazione cresciuta negli anni Ottanta e non solo da noi, la loro fama si estende in Europa come negli States, nei paesi arabi come nell’oscurantista Iran.
Il legame con l’Italia, tuttavia, è tra i più forti. Non a caso Yoichi Takahashi – creatore nel ’81 della serie, oggi cinquantenne – ha raccontato di aver trovato l’ispirazione durante un viaggio a Roma, guardando un gruppo di ragazzini giocare nel parco di Colle Oppio. Nel nostro paese la versione animata arrivò per la prima volta a metà degli anni Ottanta, doppiata da un telecronista d’eccezione: Sergio Matteucci, voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto. Così Holly e Benji trovarono il loro spazio a latere di gioie e delusioni sportive sin troppo reali. Se “ieri” i tifosi giallorossi si arrabbiavano con il compianto Agostino Di Bartolomei chiamandolo crudelmente “culo di pietra” per l’intollerabile lentezza, oggi quelli bianconeri maledicono la dirigenza juventina per avergli piantato un palo in mezzo al campo dal nome di Felipe Melo. Corsi e ricorsi storici. A Holly, Benji e ai loro compagni, invece, cosa vuoi rimproverare? Non c’è episodio in cui non abbiano sudato ben più delle rituali sette camicie. Corrono instancabili per dei campi che sembrano costruiti su una collina e lunghi chilometri. E quando arrivano al tiro, beh, nessuna conclusione sbilenca e morbida alla Tiago (gli juventini sanno di cosa parliamo), ma cannonate che prendono traiettorie imprevedibili, talmente forti da bucare la rete. Per non parlare delle sospensioni aeree. Roba da far impallidire l’Amauri dei tempi migliori. Bambini che saltano ben sopra la traversa e rimangono lì a disegnare in cielo le acrobazie più spettacolari. Buffon potrebbe accomodarsi in panchina con un portiere imbattibile come Benji. Mentre Holly, protagonista assoluto dentro e fuori dal campo, capitano e numero 10, è un attaccante capace di fare reparto da solo.
Del resto, sia Alex Del Piero che Zinedine Zidane hanno confessato di essersi appassionati, da giovanissimi, alle sue imprese sportive. Perché di imprese si tratta, realizzate in un paese – quello del Sol Levante – in cui il fumetto non rappresenta un mero intrattenimento per bambini privo di dignità artistica. Il manga, (insieme all’anime, la sua trasposizione televisiva o cinematografica), al contrario, si fa portavoce di una vera e propria cultura e delle aspirazioni di un’intera nazione. Come ha scritto il “nostro” Adriano Scianca, si tratta «dell’unica cultura eroica possibile per un paese “rieducato” al pacifismo dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale». E non mancano certo suggestioni Zen ed etica bushido nei calciatori in erba Holly e Benji, in cui sopravvive un contesto culturale caratterizzato, per tornare alle parole di Scianca, «dalla ricerca del “colpo segreto”, dall’illuminazione seguita allo sforzo indefesso, dall’etica del sacrificio, dalla ricerca della perfezione, dall’eroe che ferma da solo forze preponderanti, dall’ammirazione della potenza del nemico che ci sprona all’autosuperamento».
Esagerazioni? Tutt’altro. I protagonisti non si risparmiano, continuano a giocare incuranti degli infortuni e senza amministrarsi. Rischiano il tutto per tutto, come ci avevano abituato i campioni del passato, incapaci di simulare un fallo ricevuto o di tirare indietro la gamba in un takle. Tempi in cui, per dirla con Gigi Riva – che per onorare fino in fondo la maglia azzurra ha sacrificato due gambe, fratturandosi il perone sinistro nel ’67 e la caviglia destra nel ’70 – «certi liberi tiravano una riga vicino alla loro area e dicevano “se la passi ti spacco”». Un football non solo metafora della vita, «ma anche della guerra – come ha sottolineato Massimo Fini – quando ancora nello sport si liberavano gli antichi istinti e si dava sfoggio all’orgoglio di appartenenza. Mentre adesso – ha concluso – la repressione vorrebbe rendere tutto innocuo». Un motivo in più per tornare a gridare: Viva Holly e Benji.
3 commenti:
Bellissimo articolo. Anche se Ago, era Ago. Culo di pietra solo per pochi che magari adesso contestano il culo di Totti.
Grazie Graziano. Sì, Ago era Ago, grandissimo campione, però i tifosi sanno essere spietati...
E cmq, da juventino, ho il mio Melo quotidiano.
:-)
Culo di Pietra è un epiteto mai usato dalla Curva Sud... Anche allora esistevano i tifosi veri e "I Romanistoni"
Bell'articolo, comunque
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