Dal Secolo d'Italia di sabato 30 gennaio 2010
Quando cinque anni fa la grande stampa si accorse che Salinger e Il giovane Holden stavano a pieno titolo dentro l'immaginario di chi legge questo nostro giornale si trattò di un piccolo evento. In qualche modo attraverso Salinger si scoperchiò quella conventio per cui i ragazzi di destra leggevano anche di Holden e dei "vagabondi del Dharma" di Kerouac, si appassionavano per i testi di Mark Twain e Steinbeck, ascoltavano De André e Bob Dylan, si formavano cul cinema di Peckinpah e di Kubrick... Ed ecco che i giornali di ieri ci hanno detto dell'addio del vecchio e caro Salinger, che da anni aveva fatto la stessa scelta di Lucio Battisti di ritirarsi dalla scena pubblica (e anche per questo sentivamo ancora più "nostro").
La nostra impressione è stata che in fondo i coccodrilli era già belli che pronti. Ahmm. Non rimaneva che fargli indossare una delle tante definizioni che gli hanno cucito nel tempo. Alcune più originali, altre meno. La Greta Garbo della letteratura, la più carina. Il padre di tutti gli adolescenti, un tantino più pretenziosa. E poi c’era da impacchettare quel poco che si sa delle sua vita solitaria nel New Hampshire e chiamare a testimoniare quell’unico vero testimone che ha titolo a farlo: il giovane – anche se è in libreria, ininterrottamente, da cinquantanove anni – Holden Caulfield. Peccato, però, che Holden abbia già detto tutto e che oggi – non ce ne vogliano coloro che l’hanno amato, noi siamo tra questi – non possa più rappresentare la ribellione per un ragazzo di diciassette anni. Altro non è, ormai, che una foto ingiallita, un pezzo di storia, un classico. Imperdonabile paradosso: lui che, per il suo stile trasgressivo, si faceva espellere dal prestigioso college Pencey, è diventato una specie di boy scout, nientemeno che una lettura obbligatoria nelle scuole. E come tale, da fare controvoglia, un po’ come I Promessi sposi. Il suo appeal ridotto a quello di un Renzo Tramaglino qualsiasi. Roba da far odiare la letteratura a intere generazioni di studenti.
Affiora la nostalgia, per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Per quel che Salinger avrebbe potuto scrivere, se non avesse deciso – a soli 35 anni – di congedarsi dal mondo lasciando tutti lì a interrogarsi. Nell’era del sequel, degli ultimi baci che però non sono gli ultimi e in cui un Rambo ormai vicino alla pensione rischia di spezzarsi il collo per aggiungere un’altra tacca – e qualche decina di comunisti da ammazzare senza essere interrotti dalla pubblicità – alla cintura e alla saga, noi ritenevamo di avere il sacrosanto diritto di saperlo: cos’avrebbe fatto Holden a diciotto anni, a venticinque, a quaranta? Difficile rassegnarsi a conoscere tutto (troppo) di uno scrittore prima ancora di leggere il suo libro d’esordio – potere delle case editrici! – e invece non poter sapere nulla o quasi di uno scrittore che ha cambiato il modo stesso di fare letteratura. Ce lo meritiamo, Aldo Busi all’Isola dei famosi. Ma non ci siamo meritati uno straccio di intervista di Salinger. Cosa voleva dire? Chi era veramente? Perché non ha più scritto?
La domanda, a questo punto, è un’altra: perché domandarselo ancora? Nell’epoca della curiosità globale, abituati come siamo – giornalisti culturali per primi – ad avere ogni risposta a portata di un click, non rimane che prenderne atto una volta per tutte. Ce l’ha fatta. Sì, Salinger ce l’ha fatta. A tutti coloro che, veri e propri Fabrizio Corona ante litteram dell’informazione, sono rimasti a spiarlo con una macchina fotografica e un taccuino tra le mani, confidando che prima o poi tradisse un’emozione, un ripensamento, un’opinione, una presa di posizione. Su cosa poi? Sulla riforma scolastica?
Niente. E allora non rimaneva che arruolare il giovane Holden. In fondo era inequivocabilmente un ribelle, sia pure “senza causa” come quell’altro scapestrato di James Dean. Gioventù bruciata, tutti e due. Borghese, annoiato, bugiardo, Holden era perfetto per l'appropriazione indebita da parte della Fgci e della sinistra degli anni Settanta. Non rimaneva che proporgli di tesserarsi. Una testimonianza divertente, al riguardo, è quella che Adriana Monti, la traduttrice romana di Holden, raccontò in una delle rare interviste a Diario nel ’99: «Sembrerà un’eresia: sono diventata celebre col giovane Holden che io non ho preso sul serio per niente. Divenne un dogma, un catechismo che non capisco tutt’ora. E’ un libro individualista, la crisi esistenziale di un ragazzo americano. Per dei ragazzi di sinistra italiani, Salinger avrebbe dovuto essere il tipico americano altoborghese, non vedevo che rapporto ci fosse con dei giovani marxisti. Lo dissi anche a tre di loro che vennero a parlarmi per fare un pezzo sul giornale di Lotta Continua, e si fecero prestare delle lettere. Più rivisti, né loro né le lettere».
Già, la snobistica irrequietezza da privilegiato di Holden e la sua fuga dalle responsabilità non si prestavano a letture ideologiche e poi, a guardare bene, nel libro non c’è nessuna traccia dei miti della sinistra di ieri, ché quelli di oggi non sono ancora pervenuti. Chi lo ha letto negli anni a seguire non ci ha trovato nessuna metafora possibile con l’attualità. Né Stalin né Truman. Né Corea né Roosevelt. Né Cuba né Vietnam...
I personaggi “adulti” del romanzo proveranno a convincere quell’impertinente di Holden a tenere una condotta più responsabile, ma lui non vuole starli a sentire, quei matusa. Quando il professor Antolini gli porge un foglio con la celebre frase di Wilhelm Stekel – «Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuol morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuol umilmente vivere per esse» – ringrazia ma fa spallucce. «Non avevo voglia di concentrarmi. Ragazzi – ammicca ai lettori – tutto a un tratto mi sentivo così maledettamente stanco». Ed è per questo, in fondo, che lo abbiamo amato. Per il gusto dello sberleffo, per il fastidio nei confronti di chiunque volesse mettersi in cattedra, dirgli cosa fare, tirare una linea tra bene e male o presentargli una “visione del mondo” bella e preconfezionata. Perché in Holden c’è anche il Tom Sawyer di Mark Twain, il ragazzino irriverente ma non cattivo, che fa arrabbiare tutti ma sa anche farsi perdonare. C’è la ricerca di un sentiero non battuto, il fascino dell’avventura per l’avventura, lontano anni luce da ogni pedagogismo interessato.
È anche tramite loro, Tom, Holden, che autori come Salinger ci hanno fatto innamorare dell’America. Forse non di quella reale e decisamente troppo muscolare della politica estera, ma sicuramente quella ideale dell’America libertaria, individualista e cosmopolita al tempo stesso, delle diversità che si fanno ricchezza, in cui la trasgressione non si fa conformismo, che si ribella alla cultura di massa e alle convenzioni sociali. Inaccettabili, come l’essere costretto a ripetere ogni volta «piacere d’averti conosciuto a qualcuno che non ho affatto il piacere d’aver conosciuto». Beh, noi siamo stati contenti di averti conosciuto, caro vecchio Holden, e di questo saremo sempre riconoscenti a J. D. Salinger, pace all’anima sua.
La nostra impressione è stata che in fondo i coccodrilli era già belli che pronti. Ahmm. Non rimaneva che fargli indossare una delle tante definizioni che gli hanno cucito nel tempo. Alcune più originali, altre meno. La Greta Garbo della letteratura, la più carina. Il padre di tutti gli adolescenti, un tantino più pretenziosa. E poi c’era da impacchettare quel poco che si sa delle sua vita solitaria nel New Hampshire e chiamare a testimoniare quell’unico vero testimone che ha titolo a farlo: il giovane – anche se è in libreria, ininterrottamente, da cinquantanove anni – Holden Caulfield. Peccato, però, che Holden abbia già detto tutto e che oggi – non ce ne vogliano coloro che l’hanno amato, noi siamo tra questi – non possa più rappresentare la ribellione per un ragazzo di diciassette anni. Altro non è, ormai, che una foto ingiallita, un pezzo di storia, un classico. Imperdonabile paradosso: lui che, per il suo stile trasgressivo, si faceva espellere dal prestigioso college Pencey, è diventato una specie di boy scout, nientemeno che una lettura obbligatoria nelle scuole. E come tale, da fare controvoglia, un po’ come I Promessi sposi. Il suo appeal ridotto a quello di un Renzo Tramaglino qualsiasi. Roba da far odiare la letteratura a intere generazioni di studenti.
Affiora la nostalgia, per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Per quel che Salinger avrebbe potuto scrivere, se non avesse deciso – a soli 35 anni – di congedarsi dal mondo lasciando tutti lì a interrogarsi. Nell’era del sequel, degli ultimi baci che però non sono gli ultimi e in cui un Rambo ormai vicino alla pensione rischia di spezzarsi il collo per aggiungere un’altra tacca – e qualche decina di comunisti da ammazzare senza essere interrotti dalla pubblicità – alla cintura e alla saga, noi ritenevamo di avere il sacrosanto diritto di saperlo: cos’avrebbe fatto Holden a diciotto anni, a venticinque, a quaranta? Difficile rassegnarsi a conoscere tutto (troppo) di uno scrittore prima ancora di leggere il suo libro d’esordio – potere delle case editrici! – e invece non poter sapere nulla o quasi di uno scrittore che ha cambiato il modo stesso di fare letteratura. Ce lo meritiamo, Aldo Busi all’Isola dei famosi. Ma non ci siamo meritati uno straccio di intervista di Salinger. Cosa voleva dire? Chi era veramente? Perché non ha più scritto?
La domanda, a questo punto, è un’altra: perché domandarselo ancora? Nell’epoca della curiosità globale, abituati come siamo – giornalisti culturali per primi – ad avere ogni risposta a portata di un click, non rimane che prenderne atto una volta per tutte. Ce l’ha fatta. Sì, Salinger ce l’ha fatta. A tutti coloro che, veri e propri Fabrizio Corona ante litteram dell’informazione, sono rimasti a spiarlo con una macchina fotografica e un taccuino tra le mani, confidando che prima o poi tradisse un’emozione, un ripensamento, un’opinione, una presa di posizione. Su cosa poi? Sulla riforma scolastica?
Niente. E allora non rimaneva che arruolare il giovane Holden. In fondo era inequivocabilmente un ribelle, sia pure “senza causa” come quell’altro scapestrato di James Dean. Gioventù bruciata, tutti e due. Borghese, annoiato, bugiardo, Holden era perfetto per l'appropriazione indebita da parte della Fgci e della sinistra degli anni Settanta. Non rimaneva che proporgli di tesserarsi. Una testimonianza divertente, al riguardo, è quella che Adriana Monti, la traduttrice romana di Holden, raccontò in una delle rare interviste a Diario nel ’99: «Sembrerà un’eresia: sono diventata celebre col giovane Holden che io non ho preso sul serio per niente. Divenne un dogma, un catechismo che non capisco tutt’ora. E’ un libro individualista, la crisi esistenziale di un ragazzo americano. Per dei ragazzi di sinistra italiani, Salinger avrebbe dovuto essere il tipico americano altoborghese, non vedevo che rapporto ci fosse con dei giovani marxisti. Lo dissi anche a tre di loro che vennero a parlarmi per fare un pezzo sul giornale di Lotta Continua, e si fecero prestare delle lettere. Più rivisti, né loro né le lettere».
Già, la snobistica irrequietezza da privilegiato di Holden e la sua fuga dalle responsabilità non si prestavano a letture ideologiche e poi, a guardare bene, nel libro non c’è nessuna traccia dei miti della sinistra di ieri, ché quelli di oggi non sono ancora pervenuti. Chi lo ha letto negli anni a seguire non ci ha trovato nessuna metafora possibile con l’attualità. Né Stalin né Truman. Né Corea né Roosevelt. Né Cuba né Vietnam...
I personaggi “adulti” del romanzo proveranno a convincere quell’impertinente di Holden a tenere una condotta più responsabile, ma lui non vuole starli a sentire, quei matusa. Quando il professor Antolini gli porge un foglio con la celebre frase di Wilhelm Stekel – «Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuol morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuol umilmente vivere per esse» – ringrazia ma fa spallucce. «Non avevo voglia di concentrarmi. Ragazzi – ammicca ai lettori – tutto a un tratto mi sentivo così maledettamente stanco». Ed è per questo, in fondo, che lo abbiamo amato. Per il gusto dello sberleffo, per il fastidio nei confronti di chiunque volesse mettersi in cattedra, dirgli cosa fare, tirare una linea tra bene e male o presentargli una “visione del mondo” bella e preconfezionata. Perché in Holden c’è anche il Tom Sawyer di Mark Twain, il ragazzino irriverente ma non cattivo, che fa arrabbiare tutti ma sa anche farsi perdonare. C’è la ricerca di un sentiero non battuto, il fascino dell’avventura per l’avventura, lontano anni luce da ogni pedagogismo interessato.
È anche tramite loro, Tom, Holden, che autori come Salinger ci hanno fatto innamorare dell’America. Forse non di quella reale e decisamente troppo muscolare della politica estera, ma sicuramente quella ideale dell’America libertaria, individualista e cosmopolita al tempo stesso, delle diversità che si fanno ricchezza, in cui la trasgressione non si fa conformismo, che si ribella alla cultura di massa e alle convenzioni sociali. Inaccettabili, come l’essere costretto a ripetere ogni volta «piacere d’averti conosciuto a qualcuno che non ho affatto il piacere d’aver conosciuto». Beh, noi siamo stati contenti di averti conosciuto, caro vecchio Holden, e di questo saremo sempre riconoscenti a J. D. Salinger, pace all’anima sua.
L'articolo è disponibile in pdf su www.secoloditalia.it
8 commenti:
La frase "ce lo meritiamo Aldo Busi all'Isola dei Famosi" è bellissima. La farò mia. E soprattutto, ho letto Catcher in the Rye da grande e mi sono innamorato per il bambino che avrei dovuto essere o che sono stato e non mi sono accorto di essere.
:-)
Grazie Emanuele!
Bellissimo pezzo Roberto, complimenti.
Ciao, parlo da "Holdeniano doc", per così dire (colleziono Holden d'annata e lo considero "il mio libro preferito", sempre per così dire): completamente d'accordo, Holden c'entra poco con la sinistra, e a ben guardare anche con la destra; come tutti i capolavori vive e splende di luce propria al di là di qualunque schema. Su una cosa però non sono d'accordo: secondo me non è vero che un adolescente di oggi lo potrebbe sentire distante. Come tutti i capolavori, secondo me parla a tutti, è "universale". Inoltre non credo proprio sia un libro sull'adolescenza - tutti i giornalisti non fanno che ripetere questa cosa. Il giovane Holden è un libro magico, pensato dalla prima all'ultima riga, che contiene in sè sottilissimi (e spesso geniali) ritratti psicologici (Stradlater e Hackley, perfetti!), la descrizione di turbamenti profondi, di stati mentali assolutamente particolari; è un romanzo sul rapporto con la famiglia di un adolescente, e in effetti è ANCHE un romanzo sull'adolescenza, ma secondo me nella complessità del libro, di ogni sua singola pagina e singolo personaggio, l'adolescenza è solo uno degli elementi.
"Ce lo meritiamo Aldo Busi all'Isola dei Famosi". Bella. Ciò non toglie che Aldo Busi è uno dei pochi grandi scrittori italiani contemporanei, uno che sa cos'è la lingua italiana e usa da una prosa non liofilizzata". Da uno come lui posso anche tollerare le cazzate, e ne fa tante, come questa.
Riguardo al "Giovane Holden", non sono mai riuscito ad andare oltre pagina 20. Devo averlo affrontato nell'età sbagliata. E' uno di quei libri di cui tutti parlano troppo, e poi lo apri, cominci a leggerlo, e ti sembra che valga la terza parte di quello che dicono. Per fortuna sono in molti i giovani scrittori americani che hanno smesso di riconoscervisi e inneggiarne obbligatoriamente le lodi. Insomma, in Italia non si può ancora dire, negli States sì: - Il "Giovane Holden" è una cagata pazzesca!
Busi è là dove risiede la cultura italiana, che oramai è fatta di reality e compagnia bella.
Che cosa avrebbe detto “il vecchio Holden” del successo de “Il giovane Holden”? Si sarebbe compiaciuto. Si sarebbe scocciato. Si sarebbe messo a ridere di fronte alle glorificazioni. Le avrebbe fatte a pezzi. Le avrebbe rimpiante. Un momento prima una cosa. Un momento dopo un’altra. Holden vorrebbe avere l’ultima parola, anche se spesso non gli viene. O non è abbastanza buona da essere l’ultima. Holden vorrebbe restarsene in silenzio se gli va. E attaccare bottone se gli va. E via di seguito così, all’infinito, sull’ottovolante di una libertà assoluta e disperata, che si euforizza nell’illusione di poter fare tutto senza sforzo e si deprime nella consapevolezza che senza sforzo, e disciplina, non si combina un bel niente. Maledetto paradosso: più rinunci e più ottieni. Più ti concentri e più ti espandi. Holden vorrebbe essere un predestinato. Holden capisce di non esserlo. Nessuno vorrebbe essere come Holden è davvero: e lo si può anche odiare, per quanto è debole e vigliacco e contraddittorio in certi momenti. Ma il suo desiderio di gratuità resta attraente. Stupido, magari. Pressoché irresistibile.
Ps L’articolo è ottimo, Rob.
Holden vorrebbe avere l’ultima parola, anche se spesso non gli viene. O non è abbastanza buona da essere l’ultima...
Grazie a tutti dei commenti!
Fa piacere, negarlo sarebbe ipocrita.
:-)
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