martedì 23 marzo 2010

«Cara, ora posso dirlo: ero all'Heysel, non al lavoro». Veltroni porta in teatro una storia di ordinaria follia

Dal Secolo d'Italia di martedì 23 marzo 2010
La prima sospirata Coppa dei Campioni in bianconero non si dovrebbe dimenticare mai. Eppure quel 29 maggio del ’85 all’Heysel – tra una manciata di giorni saranno trascorsi 25 anni – sembra essere stato rimosso. La fuga solitaria di Boniek verso la porta avversaria e il suo atterramento a opera di un difensore del Liverpool, nettamente fuori area. Il rigore regalato e la realizzazione di Platinì. Le bandiere juventine che garriscono nella tiepida notte di Bruxelles. Quasi che non fosse successo nulla, prima. Come se quei 39 tifosi bianconeri non fossero appena morti, schiacciati contro il muro divisorio, soffocati, calpestati.
«Quando cade l’acrobata, entrano i clown». Così Platinì “giustificò” l’esultanza e il giro di campo del dopo partita. Questa frase è diventata ora il titolo del monologo teatrale scritto da uno juventino doc, Walter Veltroni. In libreria per Einaudi dal 27 aprile, andrà in scena l’8 luglio al Ravello Festival, la cui edizione 2010 è dedicata – non a caso – al tema della follia. Era opportuno giocare? Veltroni è ancora convinto di sì: «Altrimenti sarebbe scoppiato l’inferno». Un quarto di secolo dopo, però, è giusto ricordare quell’assurda strage. «La nostra è una società bulimica – ha dichiarato in un’intervista a La Stampa l’ex leader del Pd – che tende a mettere “pietre sopra” a troppe cose. L’Heysel ne è l’esempio classico: lo stadio fatiscente, le famiglie italiane con l’abito buono messe vicino agli hooligans del Liverpool da agenzie senza scrupoli e solo cinque gendarmi a presidiare la curva maledetta».
La voce narrante è quella di un uomo che, dieci anni dopo, confessa alla moglie di essere andato a Bruxelles per vedere la partita e non, come le aveva detto, per lavoro. «Si vergognava di quella bugia, di quella impresa “bambinesca”». Nel parlato di un’ora, Veltroni ci guida attraverso quel viaggio dannato ma illuminato anche da atti di eroismo. Come quello di Roberto Lorentini, il medico aretino travolto e ucciso mentre praticava la respirazione bocca a bocca a un tifoso ferito. Una lezione di umanità da tenere viva, affinché lo sport possa tornare a essere una festa di vita, il luogo dove ancora possono correre i nostri sogni di eterni adolescenti.

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