Articolo di Omar Camiletti
Dal Secolo d'Italia di martedì 23 marzo 2010
Il nuovo volto del calcio femminile in Germania è quello della giovane e determinata Fatmire Bajramaj, la cui vita è un riassunto di quei caratteri intensi che si riscontrano nelle storie dei cosiddetti "nuovi europei", divisa com'è tra le turbolenze legate alle sua patria d'origine, il Kossovo, e aspirazioni di eccellenza sportiva che ricordano il famoso film britannico Sognando Beckham, in cui una ragazza deve sfidare i pregiudizi etnici e le riluttanze della sua famiglia d'origine indiana per giocare a football. Fatmire Bajramaj, meglio conosciuta come Lira, scappò dal Kossovo con la sua famiglia dai terribili conflitti etnici tra musulmani e ortodossi, come divampavano dapertutto nei Balcani, all'inizio degli anni '90 e, con i suoi, finì per stabilìrsi a Mönchengladbach, una città quasi al confine con l'Olanda, dove iniziò a tirare i primi calci a un pallone nonostante il parere contrario di suo padre, peraltro grande appassionato del football. «Voleva che mi dedicassi al balletto classico - ricorda - e mi diceva: lascia perdere il calcio, è roba per i maschi». Ma quando pian pian si accorse di avere davvero del talento speciale, Fatmire s'inscrisse nella squadra femminile del FSC-Mönchengladbach. Quindi, abbastanza rapidamente, entrò a far parte di un altro club che si poneva traguardi più ambiziosi ed è allora che in famiglia si resero conto del talento della ragazza. E anche il padre, alla fine, si convinse finalmente ad andarla a vedere giocare. «Da allora è diventato il mio più grande fan - dice oggi con un sorriso Fatmire - proprio come nel film Sognando Beckham».
All'età di sedici anni, la calciatrice comincia a ricevere offerte da importanti squadre della Bundesliga. Ingaggiata dal CTF di Duisburg nel 2004, gioca la sua prima partita per la nazionale tedesca un anno dopo. Da quel giorno Fatmire ha partecipato a trentacinque incontri internazionali e ha segnato sei gol, tra cui quello più importante, realizzato contro il Giappone nella finale per il terzo posto alle Olimpiadi nel 2008. L'elenco delle vittorie delle squadre per le quali ha "militato" Fatmire Bajramaj è impressionante: è stata vincitrice del Campionato d'Europa femminile under 19, ha vinto la coppa dell'Unione europea delle federazioni di calcio (Uefa), la coppa della federazione tedesca di football. Ha guadagnato una medaglia di bronzo alle Olimpiadi e ha vinto la European Women's Championship e la Coppa del Mondo femminile.
Nonostante la sua giovane età, Fatmire Bajramaj non si è dimenticata del suo passato travagliato, che ha riempito le pagine della sua biografia Mein ins Leben Tor: Vom Flüchtlinge zur Weltmeisterin (Il mio obiettivo nella vita, dalla fuga a campionessa del mondo), pubblicato nell'ottobre 2009. Il libro racconta la storia della sua infanzia nel centro della regione del Kossovo in guerra. Quando gli attacchi serbi s'intensificarono nel 1992, la famiglia Bajramaj viveva isolata in una fattoria che ha perduto fuggendo, allorché i suoi genitori presero la decisione di scappare in Germania con la piccola Lira, che allora aveva cinque anni, e i suoi due fratelli. Dovettero pagare una pesante tangente alla dogana per poter attraversare la frontiera austriaca. E finalmente riuscirono a ricongiungersi con alcuni loro parenti nella Renania del Nord, prima di essere trasferiti temporaneamente in un centro per richiedenti l'asilo politico. Il padre di Fatmire trovò lavoro come operaio a Mönchengladbach e la famiglia si trasferì in un piccolo appartamento della città, famosa per la sua squadra di calcio, il Borussia.
«Voglio che il pubblico conosca quanto sia difficile per i bambini figli di rifugiati integrarsi in Germania. È solo attraverso lo sport che sono riuscita a fare amicizia. Spero che il mio libro sappia incoraggiare le ragazze appartenenti a minoranze etniche a seguire, con determinazione come ho fatto io, la strada dell'impegno, senza mollare mai», ha dichiarato recentemente Fatmire Bajramaj. Sul campo, si è dovuta prendere per qualche stagione la sua buona dose di commenti razzisti in quanto musulmana o come una kossovara figlia di "asilanten", ma col tempo è riuscita a guadagnarsi stima e rispetto. «Da quel momento - racconta - le persone hanno smesso di fare i soliti e inutili commenti sciocchi». Considera la Germania la sua nuova patria, ma continua a mantenere forti legami con il suo paese di origine. I suoi genitori e fratelli vivono a Moenchengladbach ma il resto dei suoi parenti sono sempre in Kosovo. Li visita una volta all'anno, contenta di ritornare in quella terra però là - confessa - prova nostalgia della Germania e perciò è impazientemente felice nel rientrare a casa. Fatmire Bajramaj non pensa che questo suo sentirsi tedesca ed europea debba significare far tabula rasa delle sue radici e tantomeno abbandonare la sua fede, la sua religione, l'Islam. Dice: «Prego, invoco Allah prima di fare un viaggio o una partita. Non porto il velo, mi piace truccarmi e mi piace sentire musica o ballare come fanno molte mie coetanee musulmane e non». Molte persone immaginano le calciatrici ancora come donne che hanno sempre i capelli corti e dei robusti polpacci, ed invece proprio per questo alla "musulmana" Fatmire piace esibire un look molto femminile anche in campo, tramite il trucco - fra i musulmani esso non è ritenuto immorale o sinonimo di qualcosa di indecente - oppure indossando scarpini appuntiti e rosa fucsia come è accaduto nella finale di Coppa della federazione tedesca o quando durante una trasmissione sportiva in televisione si è permessa di fare un gol con delle scarpe... a tacchi alti. «Quello che voglio prima di ogni cosa è vincere, ma anche mantenermi bella quando ci riesco». Tuttavia, Fatmire Bajramaj ha da proporre come immagine di sé molto di più del suo look. Per la sua sensibilità ai temi sociali è stata nominata Ambasciatrice per l'organizzazione World Vision, che dispensa aiuti umanitari ai minori, e lei stessa "patrocina" un bambino in difficoltà. Dall'inizio di quest'anno fa parte del team che gestisce l'Anno europeo della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, un movimento che rinnova l'impegno europeo alla solidarietà, per la giustizia sociale e una maggiore integrazione nel Vecchio Continente.
Per Theo Zwanziger, presidente della Federazione tedesca di calcio femminile, Fatmire costituisce un grande esempio per la Germania e per tutta l'Europa di integrazione riuscita. «Per me è un privilegio - dichiara il dirigente sportivo - quando l'accompagno a manifestazioni pubbliche per la promozione dei benefici dello sport o anche quando fa delle visite nelle scuole che sono frequentate da un gran numero di alunni provenienti da minoranze etniche». E gli fa eco Fatmire: «Sì, mi piace avere anche questo tipo d'impegni». E poi conclude: «Ed è un onore per me servire da esempio».
All'età di sedici anni, la calciatrice comincia a ricevere offerte da importanti squadre della Bundesliga. Ingaggiata dal CTF di Duisburg nel 2004, gioca la sua prima partita per la nazionale tedesca un anno dopo. Da quel giorno Fatmire ha partecipato a trentacinque incontri internazionali e ha segnato sei gol, tra cui quello più importante, realizzato contro il Giappone nella finale per il terzo posto alle Olimpiadi nel 2008. L'elenco delle vittorie delle squadre per le quali ha "militato" Fatmire Bajramaj è impressionante: è stata vincitrice del Campionato d'Europa femminile under 19, ha vinto la coppa dell'Unione europea delle federazioni di calcio (Uefa), la coppa della federazione tedesca di football. Ha guadagnato una medaglia di bronzo alle Olimpiadi e ha vinto la European Women's Championship e la Coppa del Mondo femminile.
Nonostante la sua giovane età, Fatmire Bajramaj non si è dimenticata del suo passato travagliato, che ha riempito le pagine della sua biografia Mein ins Leben Tor: Vom Flüchtlinge zur Weltmeisterin (Il mio obiettivo nella vita, dalla fuga a campionessa del mondo), pubblicato nell'ottobre 2009. Il libro racconta la storia della sua infanzia nel centro della regione del Kossovo in guerra. Quando gli attacchi serbi s'intensificarono nel 1992, la famiglia Bajramaj viveva isolata in una fattoria che ha perduto fuggendo, allorché i suoi genitori presero la decisione di scappare in Germania con la piccola Lira, che allora aveva cinque anni, e i suoi due fratelli. Dovettero pagare una pesante tangente alla dogana per poter attraversare la frontiera austriaca. E finalmente riuscirono a ricongiungersi con alcuni loro parenti nella Renania del Nord, prima di essere trasferiti temporaneamente in un centro per richiedenti l'asilo politico. Il padre di Fatmire trovò lavoro come operaio a Mönchengladbach e la famiglia si trasferì in un piccolo appartamento della città, famosa per la sua squadra di calcio, il Borussia.
«Voglio che il pubblico conosca quanto sia difficile per i bambini figli di rifugiati integrarsi in Germania. È solo attraverso lo sport che sono riuscita a fare amicizia. Spero che il mio libro sappia incoraggiare le ragazze appartenenti a minoranze etniche a seguire, con determinazione come ho fatto io, la strada dell'impegno, senza mollare mai», ha dichiarato recentemente Fatmire Bajramaj. Sul campo, si è dovuta prendere per qualche stagione la sua buona dose di commenti razzisti in quanto musulmana o come una kossovara figlia di "asilanten", ma col tempo è riuscita a guadagnarsi stima e rispetto. «Da quel momento - racconta - le persone hanno smesso di fare i soliti e inutili commenti sciocchi». Considera la Germania la sua nuova patria, ma continua a mantenere forti legami con il suo paese di origine. I suoi genitori e fratelli vivono a Moenchengladbach ma il resto dei suoi parenti sono sempre in Kosovo. Li visita una volta all'anno, contenta di ritornare in quella terra però là - confessa - prova nostalgia della Germania e perciò è impazientemente felice nel rientrare a casa. Fatmire Bajramaj non pensa che questo suo sentirsi tedesca ed europea debba significare far tabula rasa delle sue radici e tantomeno abbandonare la sua fede, la sua religione, l'Islam. Dice: «Prego, invoco Allah prima di fare un viaggio o una partita. Non porto il velo, mi piace truccarmi e mi piace sentire musica o ballare come fanno molte mie coetanee musulmane e non». Molte persone immaginano le calciatrici ancora come donne che hanno sempre i capelli corti e dei robusti polpacci, ed invece proprio per questo alla "musulmana" Fatmire piace esibire un look molto femminile anche in campo, tramite il trucco - fra i musulmani esso non è ritenuto immorale o sinonimo di qualcosa di indecente - oppure indossando scarpini appuntiti e rosa fucsia come è accaduto nella finale di Coppa della federazione tedesca o quando durante una trasmissione sportiva in televisione si è permessa di fare un gol con delle scarpe... a tacchi alti. «Quello che voglio prima di ogni cosa è vincere, ma anche mantenermi bella quando ci riesco». Tuttavia, Fatmire Bajramaj ha da proporre come immagine di sé molto di più del suo look. Per la sua sensibilità ai temi sociali è stata nominata Ambasciatrice per l'organizzazione World Vision, che dispensa aiuti umanitari ai minori, e lei stessa "patrocina" un bambino in difficoltà. Dall'inizio di quest'anno fa parte del team che gestisce l'Anno europeo della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, un movimento che rinnova l'impegno europeo alla solidarietà, per la giustizia sociale e una maggiore integrazione nel Vecchio Continente.
Per Theo Zwanziger, presidente della Federazione tedesca di calcio femminile, Fatmire costituisce un grande esempio per la Germania e per tutta l'Europa di integrazione riuscita. «Per me è un privilegio - dichiara il dirigente sportivo - quando l'accompagno a manifestazioni pubbliche per la promozione dei benefici dello sport o anche quando fa delle visite nelle scuole che sono frequentate da un gran numero di alunni provenienti da minoranze etniche». E gli fa eco Fatmire: «Sì, mi piace avere anche questo tipo d'impegni». E poi conclude: «Ed è un onore per me servire da esempio».
Omar Camiletti è nato nel 1950. Negli anni 70 ha viaggiato tra Eindhoven, Berlino e Parigi, partecipando alle illusioni e ai moti dell’epoca nelle correnti situazioniste. Nel 1977 era fra i cosidetti “indiani metropolitani” che cacciarono Lama dall’Università di Roma. Negli anni 80 si trasferiva in un casolare della Maremma e, nei anni 90, sarà spesso, risiedendovi a lungo, ad Istanbul, dove si convertirà all’Islam. Dal 2000 lavora presso la Grande Moschea di Roma, impegnato nella divulgazione e nella trasposizione della cultura islamica in ambito europeo. Attualmente, si appresta a finire qualche libro, soggiorna per studio a Londra e molto spesso in Scozia. Scrive ogni martedi sul Secolo d’Italia nella rubrica “Musulmani d’Europa”.
Nessun commento:
Posta un commento