lunedì 1 marzo 2010

Perché Olivetti è ciò che manca all'Italia d'oggi (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di sabato 27 febbraio 2010
Incredibilmente il suo nome non figura tra i tanti pure presenti nel recente libro di Pierluigi Battista (I conformisti, Rizzoli) dedicato agli "irregolari", «gli unici - sostiene il giornalista del Corriere - che possono resuscitare la cultura italiana». Eppure, a cinquant'anni dalla morte - scompariva nel corso di un viaggio ferroviario da Milano a Losanna proprio il 27 febbraio del 1960 - Adriano Olivetti s'impone di fatto come l'irregolare per eccellenza del nostro Novecento. Non solo per la sua posizione di frontiera tra le varie posizioni ideale e religiose, ma anche per aver promosso con la sua casa editrice i principali autori irregolari del secolo scorso, da Denis de Rougemont a George de Santillana, da Simone Weil a Robert Aron, da Emmanuel Mounier a Hannah Arendt sino a Rudolf Steiner e anche Ernst Jünger... A rilanciare qualche anno fa il suo nome fu in due suoi libri - Le seduzioni economiche di Faust e Uomini del Novecento - l'economista-scrittore Geminello Alvi, il quale sottolineva come Olivetti fu però sempre «ostracizzato da tutta la sinistra comunista». E sta di fatto che Adriano Olivetti potrebbe di fatto rappresentare quell'ospite inatteso in grado di fornire una sintesi di pensiero utile alla crisi di pensiero in atto, soprattutto dopo l'eclisse delle ideologie.
Ma chi era realmente Adriano Olivetti? Un sognatore, un utopista, o era invece un grande imprenditore, capace di portare la piccola azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca? Sicuramente era una figura scomoda e considerata da molti ingombrante, sia come concorrente industriale che come portatore di un modello sociale per molti versi rivoluzionario. Nacque sulla collina di Monte Navale, nelle vicinanze di Ivrea l'11 aprile del 1901, dal padre Camillo, di origini ebraiche, e dalla madre Luisa, di religione valdese. Adriano conseguì la laurea in ingegneria chimica e, dopo un soggiorno di studio negli Usa, durante il quale poté aggiornarsi sulle pratiche di organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna ove, per volere di Camillo, fece le prime esperienze addirittura come operaio. Poi divenne direttore della Società Olivetti nel 1933 e presidente nel 1938. Ma quello di Adriano Olivetti fu un sogno industriale, che certamente mirava al successo e al profitto, ma anche un progetto sociale che implicava una nuova relazione tra imprenditore e operaio e un nuovo rapporto tra fabbrica e città. Probabilmente era diversi anni avanti per la sua abilità nel sapere superare vecchi schemi e dicotomie che nell'Italia dell'immediato secondo dopoguerra erano d'attualità. Mai, tuttavia, Adriano Olivetti si sentì di aderire a quei macroscopici "blocchi" che ne avrebbero ridotto l'innovativo: Occidente capitalista e l'Est comunista. Caso mai, lui tentò di dare un'anima al capitalismo, senza cedere a eccessi utilitaristici. «Socializzare senza statizzare», fu la sua massima più famosa. «Né Usa/né Urss», si direbbe in sintesi, stando a slogan che sarebbero stati di moda qualche decennio dopo: dato che ci fanno capire la lungimiranza dell'imprenditore piemontese. Ma allo stesso modo le ragioni del successo del pensiero olivettiano nel dibattito politico di questi giorni vanno ricercate anche nella forza delle sue sintesi. Chi come lui è stato capace negli anni Cinquanta di prefigurare l'ossimoro politico della congiunzione tra personalismo e comunità? O di innescare un dibattito intorno al nascente "comunitarismo", che inteso nel senso di Olivetti si faceva anche pratica superando la mera teoria?
La sua fu tutta una storia da "irregolare": si iscrisse anche al Pnf nel '33, nella seconda metà degli anni Trenta si avvicina a Giuseppe Bottai e coinvolse nei suoi progetti degli architetti della sinistra fascista; a quarant'anni si convertirà al cattolicesimo anche se molte sue visioni si ispiravano all'antroposofia di Steiner. Fu federalista e antipartitocratico ante litteram, personalista e comunitarista nello stesso tempo. Rimane fino alla fine un precursore nella scena politica italiana. Sindaco di Ivrea nel 1956 e nel 1958 eletto nelle liste del Movimento Comunità, le sue idee in quell'Italia degli anni Cinquanta risultavano incomprensibili ai più: percentuali inferiori al 2% garantirono la sola elezione del solo imprenditore alla Camera. Ma da più parti si riflette sul fatto che, a oggi, un pensatore trasversale come Olivetti avrebbe fatto comodo a molti. Il poeta e premio Nobel Thomas. S. Eliot, alla sua scomparsa, lo definì un «sociologo cristiano», mentre Ferruccio Parri un «utopista positivo». E uno dei suoi "segreti" fu la sua straordinaria capacità di aggregare e collegare una cerchia di intellettuali di diversa estrazione politica e sociale che provavano a coniugareinsieme umanesimo e modernità. Alla fine della seconda guerra mondiale l'attività di Adriano Olivetti come editore, scrittore e uomo di cultura si intensifica. Già in precedenza, assieme a un gruppo di giovani intellettuali, aveva fondato una nuova casa editrice, la NEI (Nuove Edizioni Ivrea), di fatto trasformata nel 1946 nelle Edizioni di Comunità. Durante l'esilio in Svizzera (1944-1945) completa la stesura del libro L'ordine politico delle comunità, pubblicato alla fine del 1945 dalle edizioni NEI. Vi sono espresse le idee alla base del suo personalismo comunitario. Nei giorni scorsi, su Repubblica, il giornalista Nello Ajello ha ricordato: «A Roma, in piazza di Spagna, la sede della Olivetti mostrava l'elegante dignità di un'ambasciata. Fu qui che Adriano mi convocò nell'estate del'57 nominandomi caporedattore d'un settimanale "comunitario", La via del Piemonte, che sarebbe uscito a Torino con la direzione di Geno Pampaloni. ... Sullo scadere del 1955, finanziato da Olivetti, nasceva poi L'Espresso: un settimanale non sempre in linea con il mondo industriale. E fra le riviste più autorevoli del tempo figurava anche Comunità, che di Olivetti era emanazione diretta. La casa editrice dello stesso nome pubblicava opere di Kierkegaard, Martin Buber, Simone Weil, Maritain e Mounier, di moderni apostoli come Schweitzer, di urbanisti come Lewis Munford, di economisti come Joseph Schumpeter: un panorama straripante».
Un pensiero, quello olivettiano, che senza alcun dubbio ha permeato in diversi campi della società civile, data appunto la polivalenza "etica" dell'imprenditore. Non è un caso se, in occasione delle celebrazioni per i cinquant'anni dalla scomparsa di Olivetti, viene reso alla sua figura anche un omaggio musicale e teatrale da parte del gruppo Le Voci del Tempo, trio di «canzoni, parole e immagini» composto da Marco Peroni, Mao e Mario Congiu, attraverso uno spettacolo dal titolo Life on Mars, di scena al Teatro Giacosa il prossimo giovedì, 4 marzo, alle 21.30, organizzato dall'Associazione Pubblico 08, col patrocinio del Comune di Ivrea e della Fondazione Adriano Olivetti. «Sì, Life on Mars è il titolo di una canzone di David Bowie - afferma Marco Peroni - che, quasi come un grido di speranza, urlava che un altro mondo era possibile, dato che c'era vita su Marte. Non è un brano in scaletta nel nostro spettacolo, dato che abbiamo scelto un repertorio più affine al periodo di Adriano Olivetti, ma in qualche modo l'idea che "ci sia vita su Marte" è esplicativa del percorso di vita dello stesso ingegnere Adriano: c'era un'altra vita, un'altra possibilità, il sogno di una "terza via", nella triste Italia della guerra fredda. Questo ci insegna ancora Olivetti, che è riuscito a mettere in pratica questo altro mondo in una piccola realtà, nel Canavese, territorio in cui teneva le redini del potere economico. Era incredibile la portata innovativa del suo pensiero: aveva intuito l'importanza della bellezza come parte del processo produttivo. Anche le fabbriche dovevano corrispondere ai criteri di bellezza in quanto determinate condizioni favorivano la creatività. Ha tentato e praticato la sintesi tra universi fino a prima inconciliabili: un personaggio che anteponeva le idee agli interessi. Non so dire fino a che punto si possa dire sia stato un precursore, non saprei rintracciare continuità con il suo operato». Un modo come un altro per dire, che nello scenario politico-culturale e imprenditoriale attuale, una figura come Adriano Olivetti oggi manca, a tutti, per davvero.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Giornalista attento alle culture e alle dinamiche giovanili, lavora per E-Polis e collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

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