giovedì 8 aprile 2010

Baustelle, la lotta e la speranza: il misticismo laico della riceca interiore (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 4 aprile 2010
Meglio i testi delle musiche. E meglio le intenzioni dei risultati. Eppure i Baustelle rimangono uno dei tentativi più interessanti sulla scena musicale italiana, così come il loro leader Francesco Bianconi resta uno dei pochi ad aver capito che nella comunicazione di massa non c'è mai niente che si limiti davvero a essere puro e semplice intrattenimento, privo di alcuna conseguenza. Nulla è mai neutro. Se è banale istupidisce, e quel che è peggio avvalora l'idea che la vacuità sia una condizione naturale, se non proprio ambita, dell'essere umano. Se è intelligente tiene svegli, tiene vivi, tiene pronti ad afferrare i pensieri e le emozioni senza aspettare che te li consegnino impacchettati in confezione regalo, e così facendo rafforza l'abitudine - la buona abitudine, l'abitudine indispensabile - di non accontentarsi di nessuna proposta che abbia come unico scopo quello di ammazzare il tempo.
È una consapevolezza rischiosa, per chi si trovi comunque impegnato a fare dell'arte il proprio mestiere. Il marketing spinge in una direzione. I veri artisti puntano i piedi. Il marketing si accontenta che una certa soluzione sia efficace, e che conquisti l'interesse del pubblico indipendentemente dai motivi per cui ci riesce. I veri artisti si chiedono mille volte se una soluzione accattivante non sia la premessa di un malinteso, che confonde l'attrazione superficiale con l'attenzione profonda. L'intima contraddizione del pop, insita nel voler rendere immediato ciò che immediato non è, diventa allora una sfida proibitiva. Centomila persone che comprano il tuo libro o il tuo disco, o che sono venute a vedere il tuo film, non significano necessariamente centomila persone che lo avranno compreso. Che avranno fatto tutto il possibile per riuscirci. Il successo è un dato di fatto. Ma allo stesso tempo è un inganno. Attesta che la chiesa è strapiena di gente. Non assicura affatto che tutta quella gente sia realmente religiosa.
«Il nostro - dice Francesco Bianconi - è un periodo storico che induce naturalmente a porsi dei dubbi. Anche da atei, da laici, ci si scopre a pensare a come ci si è invischiati in un mondo che vola ormai bassissimo in termini di logiche culturali, di consumo, di spettacolo. Tante profezie, da quelle di Guy Debord a quelle di Pasolini, si sono purtroppo avverate, eppure tutti sguazziamo in cose assai brutte senza apparire granché toccati... un qualunquismo automatico che rende più difficile capire quanto si sia messi male. Il misticismo vorrebbe indicare l'aspirazione a una via più pura e sganciata dalla materialità.»
Il misticismo è richiamato esplicitamente fin dal titolo: I mistici dell'Occidente. Ripreso pari pari dall'opera di Elémire Zolla, ma senza nessuna frequentazione consolidata. L'incontro col libro è stato estemporaneo. Qualcuno direbbe che è avvenuto per caso. Qualcun altro (tra cui Rachele Bastreghi, la voce femminile della band) per magia. Bianconi se l'è trovato davanti in una piccola libreria esoterica che si trova vicino a casa sua, a Montepulciano, e ha pensato che avesse un titolo accattivante, adatto a un disco di Battiato. L'ha comprato, l'ha sfogliato, si è addentrato nel testo. Ha rettificato il tiro. Il titolo era effettivamente adatto a un disco, ma non solo di Battiato. Anche dei Baustelle.
La lezione del misticismo era qualcosa di nuovo, ma non di estraneo. Nella produzione del gruppo l'insofferenza per la realtà circostante era già emersa, e così l'aspirazione a superarne i limiti approdando a qualche genere di trascendenza. Un paio d'anni fa, dopo l'uscita di Amen, lo stesso Bianconi lo aveva affermato con grande chiarezza: «C'è un'idea di Dio, di Sacro, quasi in ogni canzone. Anche dove non è nominato direttamente, Dio si manifesta "in absentia": sia in positivo, sia in negativo. Sono ossessionato dall'idea di Dio. Non credo, ma cerco. Prego, maledico, bestemmio. Le parole di queste canzoni descrivono una società occidentale allo sbando, in cui l'idea di Dio e il concetto di Sacro sono andati a farsi fottere». Quello era un disagio. Questa è una risposta. O un presagio di risposta, come per chiunque sia agli inizi di un percorso tracciato da altri e stia ancora cercando, giustamente, il modo migliore di seguirlo. Il modo migliore per adattarne l'essenza alla propria realtà, evitando di incappare nel classico errore di chi si apre a una fede illudendosi che quei dogmi così nitidi e inappellabili possano cancellare d'incanto tutte le insicurezze preesistenti. Il misticismo non è un rituale, ma un ritmo. Un ritmo condiviso tra il singolo e il tutto. La ritrovata capacità di cogliere l'armonia del Creato dietro l'apparente (l'evidente) caos del molteplice.
I mistici dell'Occidente ha ben poco di sacro, al primo impatto. Quella che esprime è ancora la fase della lotta, della ricerca affannosa e contraddittoria, della voglia di essere migliori di quello che si è. E della constatazione, emotiva assai prima che concettuale, di non esservisi avvicinati un granché, nonostante le buone intenzioni. Questa volta, però, il senso di insoddisfazione non è sterile. La verità è dolorosa, ma non insopportabile. Non si sta scivolando indietro, verso l'abisso di una sconfitta dalla quale non ci si riprenderà mai più. In ogni delusione, al contrario, si può leggere il bagliore di un potenziale che non ha trovato ciò che cercava, ma che non per questo ha rinunciato a cercarlo. Un errore - neanche l'ennesimo - equivale a una condanna definitiva, per chi sia determinato a imparare.
«Il mistico - sottolinea ancora Bianconi - va via dalla realtà senza però scappare. È l'esatto contrario del non voler affrontare i problemi. Per il mistico non ci sono problemi. C'è sempre un'idea del fare, dell'andare oltre quello che sembra un problema.» I mistici dell'Occidente non prova solo a dirlo. Prova a metterlo in pratica, miscelando questi concetti così poco attuali a sonorità fin troppo brillanti. Il rischio, per non dire la certezza, è che molti si fermino lì. Proprio come per Battiato, "cuccurucucù paloma" e poi nient'altro. L'arma a doppio taglio del dire cose serie in modo appariscente. Persino di fronte alle vetrate policrome di una cattedrale gotica il primo pensiero di molti non è la maestosità di Dio ma le fotografie che potrebbero scattare.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000 su Ideazione.com. Attualmente, tra l’altro, cura la rubrica “Ad alto volume” sull’edizione domenicale del "Secolo d’Italia" e collabora al mensile “La voce del ribelle”, la rivista diretta da Massimo Fini.

Nessun commento: