Dal Secolo d'Italia di giovedì 1 aprile 2010
L'editoria italiana non sempre rende i migliori servizi alla cultura e allo stesso dibattito pubblico.È ormai pronto da oltre un anno un interessante saggio su “una certa” destra giovanile tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, e a quanto pare non c’è editore disposto a prendersene cura e portarlo ai lettori. Più di una casa editrice ha detto di no negli ultimi tre anni. Il saggio si intitola provvisoriamente Da Giovane Europa alla Nuova destra, è fornito da tempo di una prefazione del professor Franco Cardini e una postfazione di Luigi G. de Anna. Lo ha scritto un giovanissimo giornalista e studioso palermitano, Giovanni Tarantino. E faremo bene a ricordarne il nome, perché siamo certi che negli anni che vengono Tarantino scriverà senz’altro libri importanti come questo.
Perché questo saggio è stato finora negletto? Oltretutto, la ricerca e le testimonianze raccolte da Tarantino affrontano in parte lo stesso percorso raccontato da Marco Tarchi nel suo recentissimo La rivoluzione impossibile. Dai Campi Hobbit alla Nuova destra (Vallecchi, p. 480, € 18,00), un libro che ha già aperto un dibattito sui giornali, facendo oggettivamente discutere. E allora c’è forse in quanto ripercorso da Tarantino una interpretazione diversa, forse in grado di rompere la più lettura convenzionale di quei fatti, funzionale a precisi equilibri politico-culturali?
Forse anche questo è vero, e basterebbe per rendersene conto leggere le testimonianze fornite da insospettabili come Enco Biffi Gentili o Emiddio Novi o i riferimenti a figure “di frontiera” quali Pino Masi, Sergio Caputo o Piero Verni. Tarantino concentra infatti la sua attenzione su quell’ambiente a latere del Msi – dire “a destra” del partito sarebbe profondamente inesatto –che, nel bel mezzo degli anni di piombo, comincia a occuparsi di ecologia, ambientalismo, libertarismo, europeismo, qualità della vita e diritti civili. E il primo passaggio, obbligato, fu uscire dal tunnel del neofascismo. Un’eredità pesante, scomoda, un’eredità fatta di scelte e di valori lontani e superati.Un’eredità che aveva marginalizzato la destra tutta, relegandola in una sorta di ghetto. Quei nuovi fenomeni giovanili intendevano invece sostituire al culto della nazione l’apertura per un’ideale più ampio di appartenenza, quella comune europea. Era questo almeno l’ideale professato da Jean Thiriart, il fondatore di Jeune Europe, che arrivava in Italia attraverso la sua esperienza gemella, la Giovane Europa.
Una visione che aveva portato il movimento a condannare con fermezza l’aggressione americana del Vietnam e tutti gli imperialismi, a guardare con simpatia ai movimenti di liberazione dei popoli e a respingere il colpo di stato dei colonnelli in Grecia, e questo in un quadro di generale biasimo nei confronti di regimi militari come il franchismoo il salazarismo. Posizioni decisamente eterodosse rispetto a quelle di altre formazioni di estrema destra che trovavano piuttosto un riferimento in quei rozzi regimi autoritari.
Era invece, quella nuova, una soggettività generazionale allo “stato nascente”, dinamica, fresca, ansiosa di allargare i propri orizzonti culturali. Che non si soffermava più solo e soltanto sui classici della destra tradizionalista come Evola o Guénon, ma si appassionava a Gramsci, persino a Mazzini, fondatore nella sua epoca di un’altra Giovine Italia e di un’altra Giovine Europa. Un ambiente che più avanti si identificherà negli eroi di Tolkien, e soprattutto nel ritratto di una giovinezza assolutamente felice e indipendente come la troviamo nei primi capitoli del Signore degli Anelli.
Il fatto che Tolkien, almeno oltreoceano, fosse amatissimo dai beatnik, voleva pur dire qualcosa. D’altronde il loro testo di culto era On the Road di Kerouac, altro testo amatissimo dai ragazzi della nuova destra. E così, quando nel ’66 Firenze è devastata dall’alluvione, nel capoluogo toscano arrivano per dare concreta solidarietà non solo beat, goliardi e capelloni, cattolici del dissenso e laici libertari o iscritti al Pci, ma anche esponenti delle organizzazione della nuova destra giovanile e universitaria, mossi da valori in fondo non diversi.
E quando, soltanto due anni dopo, esplode a Roma la contestazione, e quasi tutte le organizzazioni giovanili neofasciste sono prese in contropiede, a rispondere in senso positivo è invece Giovane Europa, che nella rivolta giovanile intuisce un momento di spontaneismo politico in cui inserirsi per portare finalmente nelle masse il mito terzaforzista e popolare delll’Europa-Nazione. Un tradimento dei valori atlantisti professati dal Msi? Ma, ricorda Tarantino, non era stato lo stesso Filippo Anfuso, figura non di secondo piano né del regime mussoliniano, né del partito di Arturo Michelini, a dire: «Fate sì che non si parli più di atlantismo in seno a un partito che è vittima dell’atlantismo e dell’antiatlantismo»?
La storia racconta che il felice contagio venne stroncato sul nascere dalla miopia della classe dirigente del Msi, il partito della destra parlamentare che dopo quindici giorni di occupazioni degli atenei condivise, richiama i suoi giovani all’ordine al grido di “liberare dai rossi l’Università”. Ma ciò nonostante, il percorso politico e culturale di questi fermenti frizzanti e vitali saranno interrotti, ma non spezzati. Riprendono a muoversi nella prima metà degli anni Settanta. Marginalizzata e ghettizzata nel suo insieme, una certa destra giovanile sa trovare sbocchi inaspettati attraverso le radio libere e l’esperienza di un periodico libero e sfacciato come La Voce della Fogna. Fenomeno pressoché sconosciuto, quello delle radio libere di destra è tutt’altro che marginale. Le radio “di destra” alla fine degli anni Settanta erano più di novanta tutta Italia.
Racconta Umberto Croppi, uno dei protagonisti di quella stagione, a Tarantino: «Costava quasi niente tirar su un’antenna, l’etere era ancora un deserto, bastava trovarsi una posizione elevata. A Roma, un po’ defilata, cominciò Radio Gamma, al Salario, poi Radio Contro, la radio di Romolo Sabatini, infine Radio Alternativa, con la sua vera e propria epopea. Napoli non fu da meno, tre emittenti anche lì: Radio Sud, Controradio, Radio Odissea. Nella Milano accerchiata, Radio University, la più istituzionale delle radio missine. Poi Radio Conero di Carlo Ciccioli, ad Ancona, che forse era la più strutturata, la più professionale. E quelle più militanti, già nel nome, come Radio Mantakas a Osimo, sempre nelle Marche. E le decine di radio di paese…». La Voce della Fogna, leggiamo, «comincia invecela sua esperienza nel luglio del 1974 – e Tarantino riporta le parole e le testimonianze dirette dei protagonisti di allora – quando coloro che furono i principali animatori della rivista, all’epoca giovani militanti anti- conformisti del Msi di Firenze, tra cui Marco Tarchi, si recano a Parigi e «in una soffitta arrostita dal sole» partoriscono l’idea di una rivista dal tono giovanilistico che verrà mandata alle stampe presso una tipografia fiorentina solo cinque mesi dopo. In un editoriale scrivevano: «Dove sono finiti i rivoluzionari, coloro che combatterono questa società con tutte le sue strutture? Nelle piazze ad applaudire i comizi antifascisti del sistema, insieme ai giovani democristiani, repubblicani, socialisti, socialdemocratici e liberali? Servi del sistema, al servizio della mafia politica imperante da anni di immobilismo pseudorivoluzionario ai danni di tutti coloro che speravano di cambiare qualcosa e che in realtà non hanno cambiato niente». Singolarissima fu poi l’esperienza, tra il 1977 e il 1980, dei Campi Hobbit, vera e propria risposta della destra giovanile ai raduni della nuova sinistra. Il più riuscito, a detta di tutti, fu il terzo, dell’estate del 1980, in Abruzzo. Tarantino cede ancora la parola a Croppi, che dei campi Hobbit fu ideatore e organizzatore insieme a Generoso Simeone: «Quell’incontro rappresentò una specie di miracolo politico e organizzativo, fu il segno di una maturazione collettiva e della efficacia di una comunicazione interna che metteva migliaia di persone in grado di pensare simultaneamente. Io arrivai a Castel Camponeschi, in Abruzzo, quindici giorni prima accompagnato da Egidio De Mattia che mi scaricò sul prato con la mia tenda ed un mucchio di cianfrusaglie. Avevo in tasca quindicimila lire ma già dal secondo giorno iniziarono ad arrivare volontari da tutta Italia che finirono per accrescere le file dei lavoratori: arrivarono gli specialisti, l’elettricista, il radioamatore, il carpentiere, l’idraulico, e arrivarono i soldi, centinaia di piccoli contributi portati a mano o inviati per vaglia». Nel giro di quindici giorni il primo gruppo di persone giunte a Castel Camponeschi riesce a ripulire il paese, a chiudere le case pericolanti, a ridare una toponomastica alle strade, a predisporre varie aree per il campeggio, portare l’acqua e l’energia elettrica, montare il palco e creare un impianto di illuminazione pubblica. E, tra le altre cose, vengono realizzati anche dei murales tra cui uno, molto grande, esplicito contro l’energia nucleare. Sì, perché “quella” Nuova destra era tra l’altro su posizioni contrarie al nucleare, tema in quegli anni, come oggi, scottante. E pochi ricordano che alla manifestazione che segna la nascita del movimento antinuclearista a Montalto di Castro, dove secondo il piano nucleare nazionale (approvato in parlamento con l’astensione del Psi e con i,l voto favorevole del Pci) avrebbe dovuto nascere una delle quattro centrali atomiche italiane, c’erano i Gruppi di Ricerca Ecologica fondati e guidati da un esponente di “quella” nuova destra giovanile, Alessandro Di Pietro.
Le aperture della nuova destra non furono senza conseguenze per i loro protagonisti – Tarchi ad esempio fu espulso dal Msi – ma non rimasero inascoltate. La capacità di rompere con il passato, di cercare nuove strade politiche, favorì l’incontro con esponenti più aperti della controparte, e felici contaminazioni. Da quella stagione nasceranno rapporti complessi ma fruttuosi, interlocuzioni, vere e proprie amicizie personali con Alex Langer, Giorgio Galli, Adriano Sofri, Geminello Alvi, Giampiero Mughini, Massimo Fini. E con diversi ambienti estranei alla destra: con Cl, con i radicali, con figure dell’area socialista, con intellettuali irregolari e libertari. Insomma, il saggio di Tarantino arriva a una conclusione molto chiara. Se nella destra italiana di oggi esiste una sensibilità “nuova”, «non gerarchica, non totalitaria, non conservatrice, non anti-moderna, non patriottarda e non razzista», una sensibilità libertaria e radicata nella grande cultura del Novecento, garantista e post-liberale, euro- mediterranea e contraria allo “scontro di civiltà”; e se esiste oggi una destra pacifica e solidarista, modernizzatrice e riformista, è anche grazie all’esperienza politica della destra giovanile nata da Giovane Europa e dalla stagione della Nuova destra.
Perché questo saggio è stato finora negletto? Oltretutto, la ricerca e le testimonianze raccolte da Tarantino affrontano in parte lo stesso percorso raccontato da Marco Tarchi nel suo recentissimo La rivoluzione impossibile. Dai Campi Hobbit alla Nuova destra (Vallecchi, p. 480, € 18,00), un libro che ha già aperto un dibattito sui giornali, facendo oggettivamente discutere. E allora c’è forse in quanto ripercorso da Tarantino una interpretazione diversa, forse in grado di rompere la più lettura convenzionale di quei fatti, funzionale a precisi equilibri politico-culturali?
Forse anche questo è vero, e basterebbe per rendersene conto leggere le testimonianze fornite da insospettabili come Enco Biffi Gentili o Emiddio Novi o i riferimenti a figure “di frontiera” quali Pino Masi, Sergio Caputo o Piero Verni. Tarantino concentra infatti la sua attenzione su quell’ambiente a latere del Msi – dire “a destra” del partito sarebbe profondamente inesatto –che, nel bel mezzo degli anni di piombo, comincia a occuparsi di ecologia, ambientalismo, libertarismo, europeismo, qualità della vita e diritti civili. E il primo passaggio, obbligato, fu uscire dal tunnel del neofascismo. Un’eredità pesante, scomoda, un’eredità fatta di scelte e di valori lontani e superati.Un’eredità che aveva marginalizzato la destra tutta, relegandola in una sorta di ghetto. Quei nuovi fenomeni giovanili intendevano invece sostituire al culto della nazione l’apertura per un’ideale più ampio di appartenenza, quella comune europea. Era questo almeno l’ideale professato da Jean Thiriart, il fondatore di Jeune Europe, che arrivava in Italia attraverso la sua esperienza gemella, la Giovane Europa.
Una visione che aveva portato il movimento a condannare con fermezza l’aggressione americana del Vietnam e tutti gli imperialismi, a guardare con simpatia ai movimenti di liberazione dei popoli e a respingere il colpo di stato dei colonnelli in Grecia, e questo in un quadro di generale biasimo nei confronti di regimi militari come il franchismoo il salazarismo. Posizioni decisamente eterodosse rispetto a quelle di altre formazioni di estrema destra che trovavano piuttosto un riferimento in quei rozzi regimi autoritari.
Era invece, quella nuova, una soggettività generazionale allo “stato nascente”, dinamica, fresca, ansiosa di allargare i propri orizzonti culturali. Che non si soffermava più solo e soltanto sui classici della destra tradizionalista come Evola o Guénon, ma si appassionava a Gramsci, persino a Mazzini, fondatore nella sua epoca di un’altra Giovine Italia e di un’altra Giovine Europa. Un ambiente che più avanti si identificherà negli eroi di Tolkien, e soprattutto nel ritratto di una giovinezza assolutamente felice e indipendente come la troviamo nei primi capitoli del Signore degli Anelli.
Il fatto che Tolkien, almeno oltreoceano, fosse amatissimo dai beatnik, voleva pur dire qualcosa. D’altronde il loro testo di culto era On the Road di Kerouac, altro testo amatissimo dai ragazzi della nuova destra. E così, quando nel ’66 Firenze è devastata dall’alluvione, nel capoluogo toscano arrivano per dare concreta solidarietà non solo beat, goliardi e capelloni, cattolici del dissenso e laici libertari o iscritti al Pci, ma anche esponenti delle organizzazione della nuova destra giovanile e universitaria, mossi da valori in fondo non diversi.
E quando, soltanto due anni dopo, esplode a Roma la contestazione, e quasi tutte le organizzazioni giovanili neofasciste sono prese in contropiede, a rispondere in senso positivo è invece Giovane Europa, che nella rivolta giovanile intuisce un momento di spontaneismo politico in cui inserirsi per portare finalmente nelle masse il mito terzaforzista e popolare delll’Europa-Nazione. Un tradimento dei valori atlantisti professati dal Msi? Ma, ricorda Tarantino, non era stato lo stesso Filippo Anfuso, figura non di secondo piano né del regime mussoliniano, né del partito di Arturo Michelini, a dire: «Fate sì che non si parli più di atlantismo in seno a un partito che è vittima dell’atlantismo e dell’antiatlantismo»?
La storia racconta che il felice contagio venne stroncato sul nascere dalla miopia della classe dirigente del Msi, il partito della destra parlamentare che dopo quindici giorni di occupazioni degli atenei condivise, richiama i suoi giovani all’ordine al grido di “liberare dai rossi l’Università”. Ma ciò nonostante, il percorso politico e culturale di questi fermenti frizzanti e vitali saranno interrotti, ma non spezzati. Riprendono a muoversi nella prima metà degli anni Settanta. Marginalizzata e ghettizzata nel suo insieme, una certa destra giovanile sa trovare sbocchi inaspettati attraverso le radio libere e l’esperienza di un periodico libero e sfacciato come La Voce della Fogna. Fenomeno pressoché sconosciuto, quello delle radio libere di destra è tutt’altro che marginale. Le radio “di destra” alla fine degli anni Settanta erano più di novanta tutta Italia.
Racconta Umberto Croppi, uno dei protagonisti di quella stagione, a Tarantino: «Costava quasi niente tirar su un’antenna, l’etere era ancora un deserto, bastava trovarsi una posizione elevata. A Roma, un po’ defilata, cominciò Radio Gamma, al Salario, poi Radio Contro, la radio di Romolo Sabatini, infine Radio Alternativa, con la sua vera e propria epopea. Napoli non fu da meno, tre emittenti anche lì: Radio Sud, Controradio, Radio Odissea. Nella Milano accerchiata, Radio University, la più istituzionale delle radio missine. Poi Radio Conero di Carlo Ciccioli, ad Ancona, che forse era la più strutturata, la più professionale. E quelle più militanti, già nel nome, come Radio Mantakas a Osimo, sempre nelle Marche. E le decine di radio di paese…». La Voce della Fogna, leggiamo, «comincia invecela sua esperienza nel luglio del 1974 – e Tarantino riporta le parole e le testimonianze dirette dei protagonisti di allora – quando coloro che furono i principali animatori della rivista, all’epoca giovani militanti anti- conformisti del Msi di Firenze, tra cui Marco Tarchi, si recano a Parigi e «in una soffitta arrostita dal sole» partoriscono l’idea di una rivista dal tono giovanilistico che verrà mandata alle stampe presso una tipografia fiorentina solo cinque mesi dopo. In un editoriale scrivevano: «Dove sono finiti i rivoluzionari, coloro che combatterono questa società con tutte le sue strutture? Nelle piazze ad applaudire i comizi antifascisti del sistema, insieme ai giovani democristiani, repubblicani, socialisti, socialdemocratici e liberali? Servi del sistema, al servizio della mafia politica imperante da anni di immobilismo pseudorivoluzionario ai danni di tutti coloro che speravano di cambiare qualcosa e che in realtà non hanno cambiato niente». Singolarissima fu poi l’esperienza, tra il 1977 e il 1980, dei Campi Hobbit, vera e propria risposta della destra giovanile ai raduni della nuova sinistra. Il più riuscito, a detta di tutti, fu il terzo, dell’estate del 1980, in Abruzzo. Tarantino cede ancora la parola a Croppi, che dei campi Hobbit fu ideatore e organizzatore insieme a Generoso Simeone: «Quell’incontro rappresentò una specie di miracolo politico e organizzativo, fu il segno di una maturazione collettiva e della efficacia di una comunicazione interna che metteva migliaia di persone in grado di pensare simultaneamente. Io arrivai a Castel Camponeschi, in Abruzzo, quindici giorni prima accompagnato da Egidio De Mattia che mi scaricò sul prato con la mia tenda ed un mucchio di cianfrusaglie. Avevo in tasca quindicimila lire ma già dal secondo giorno iniziarono ad arrivare volontari da tutta Italia che finirono per accrescere le file dei lavoratori: arrivarono gli specialisti, l’elettricista, il radioamatore, il carpentiere, l’idraulico, e arrivarono i soldi, centinaia di piccoli contributi portati a mano o inviati per vaglia». Nel giro di quindici giorni il primo gruppo di persone giunte a Castel Camponeschi riesce a ripulire il paese, a chiudere le case pericolanti, a ridare una toponomastica alle strade, a predisporre varie aree per il campeggio, portare l’acqua e l’energia elettrica, montare il palco e creare un impianto di illuminazione pubblica. E, tra le altre cose, vengono realizzati anche dei murales tra cui uno, molto grande, esplicito contro l’energia nucleare. Sì, perché “quella” Nuova destra era tra l’altro su posizioni contrarie al nucleare, tema in quegli anni, come oggi, scottante. E pochi ricordano che alla manifestazione che segna la nascita del movimento antinuclearista a Montalto di Castro, dove secondo il piano nucleare nazionale (approvato in parlamento con l’astensione del Psi e con i,l voto favorevole del Pci) avrebbe dovuto nascere una delle quattro centrali atomiche italiane, c’erano i Gruppi di Ricerca Ecologica fondati e guidati da un esponente di “quella” nuova destra giovanile, Alessandro Di Pietro.
Le aperture della nuova destra non furono senza conseguenze per i loro protagonisti – Tarchi ad esempio fu espulso dal Msi – ma non rimasero inascoltate. La capacità di rompere con il passato, di cercare nuove strade politiche, favorì l’incontro con esponenti più aperti della controparte, e felici contaminazioni. Da quella stagione nasceranno rapporti complessi ma fruttuosi, interlocuzioni, vere e proprie amicizie personali con Alex Langer, Giorgio Galli, Adriano Sofri, Geminello Alvi, Giampiero Mughini, Massimo Fini. E con diversi ambienti estranei alla destra: con Cl, con i radicali, con figure dell’area socialista, con intellettuali irregolari e libertari. Insomma, il saggio di Tarantino arriva a una conclusione molto chiara. Se nella destra italiana di oggi esiste una sensibilità “nuova”, «non gerarchica, non totalitaria, non conservatrice, non anti-moderna, non patriottarda e non razzista», una sensibilità libertaria e radicata nella grande cultura del Novecento, garantista e post-liberale, euro- mediterranea e contraria allo “scontro di civiltà”; e se esiste oggi una destra pacifica e solidarista, modernizzatrice e riformista, è anche grazie all’esperienza politica della destra giovanile nata da Giovane Europa e dalla stagione della Nuova destra.
Massimiliano Griner (Milano, 1970), laureato in filosofia della scienza con una tesi sui limiti della modellizzazione dei processi cognitivi, è sceneggiatore televisivo, giornalista e scrittore. Dopo aver esordito come narratore con Nel baco del calo del malo (Fernandel 1999), si è fatto conoscere come autore di apprezzati libri di storia contemporanea, tra cui La banda Koch (Bollati Boringhieri, 2000), Nell'ingranaggio. La scomparsa di Mauro De Mauro (Vallecchi, 2003), La pupilla del Duce. La legione autonoma mobile Ettore Muti (Bollati Boringhieri, 2004), I ragazzi del '36. L'avventura dei fascisti italiani nella guerra civile spagnola (Rizzoli, 2006).
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