Lucia Annunziata direbbe, probabilmente, che parlare di fumetti è da fighetti. Il ruolo degli intellettuali, ci spiega, consiste nell’«affondare il ferro nella realtà». Ma per farlo, aggiungiamo noi, non si può prescindere dall’immaginario, dalla lezione che ci ha consegnato Edmondo Berselli: «A me piace tutto ciò che è popolare e sono convinto che difficilmente il popolo sbagli». Perché, come ha detto Michele Serra, lo scrittore modenese era «una smentita vivente della maniera appartata e schizzinosa con la quale il colto rischia sempre di guardare al “volgare”». Tantopiù la minoranza è “illuminata”, semmai, e maggior rispetto dovrebbe avere – per rimanere alle parole del giornalista e scrittore – «per i materiali della vita». Parlarne il linguaggio e farsi comprendere, così, dalla maggioranza. Anche commentando una partita di calcio, ascoltando una canzone di Guccini o recensendo un fumetto.
Non è un caso, del resto, se lo scorso gennaio è stato proprio Dylan Dog – che con quel suo nome a dir poco stravagante non può essere scambiato per intellettuale o parlamentare – a riaccendere (letteralmente) il dibattito sul fine vita. Lo ha fatto nell’albo numero 280 della serie mensile, intitolato significativamente Mater Morbi, riproponendo l’antico dilemma: libertà di cura del malato o accanimento terapeutico? Ne parlammo diffusamente sul Secolo d’Italia e l’indagatore dell’incubo – personaggio creato nel 1986 da Tiziano Scalvi, sceneggiato nell’occasione da Roberto Recchioni ed edito dalla Sergio Bonelli Editore (che in questi giorni festeggia i 70 anni di attività) – finì immediatamente nel mirino del sottosegretario alla salute Eugenia Roccella. L’accusa: aver sostenuto “ideologicamente” l’eutanasia. Solo dopo la replica dell’autore romano, che dimostrava come tali critiche fossero «superficiali», la Roccella confessò di non aver letto l’albo in questione, impegnandosi a rimediare. Per poi fare marcia indietro e manifestare il proprio apprezzamento.
Esempio classico, diremmo da manuale, di critica preventiva, figlia del pregiudizio. La questione di fondo, infatti, sembrava piuttosto un’altra: malattia, sofferenza e dolce morte sono temi che possono essere trattati da un fumetto popolare? Le nuvolette parlanti devono rimanere confinate nel recinto dell’intrattenimento o, come noi riteniamo, possono “contaminarsi” con l’attualità e magari dire la loro?
Se lo scrittore Valerio Evangelisti ebbe a sottolineare come «il fumetto sia stato la vera fonte di alfabetizzazione degli italiani», non va trascurata l’importanza che tale mezzo d’espressione ha avuto anche nella valorizzazione e trasmissione delle idee. «Non l’ho mai ritenuto un’evasione da cose più impegnate – ha recentemente raccontato Umberto Croppi, che questa sera a Roma presenterà il primo di una serie di incontri dal titolo “A che serve l'Italia” – ma semmai come una variante dello stesso livello dei libri. La mia generazione ne ha capito le potenzialità libertarie e politiche in senso lato e lo ha utilizzato come strumento di comunicazione situazionista. Non conoscevamo le tematiche del “detournement” declinate da Guy Debord – ha spiegato – ma le utilizzavamo istintivamente sulle tante riviste giovanili dell’epoca, rielaborando in modo spiazzante le “nuvolette” delle stip più famose». Nel 1974 nacque La Voce della fogna, prima memorabile esperienza di fumetto di destra, ma saranno in tanti a misurarsi con le nuvolette parlanti. Almerigo Grilz, leader del Fronte della Gioventù di Trieste che morirà in Mozambico da reporter di guerra, firmò strisce d’avventura. Anni di piombo, certo, ma anche di carta, inchiostro e soprattutto fantasia. Oggi, almeno a Roma, al potere. Tanto che l’amministrazione comunale capitolina, di cui Croppi è assessore alla cultura, ha inaugurato lo scorso dicembre la “Rotonda dei fumetti” a Torrino Mezzocammino, un quartiere interamente dedicato a uno dei fenomeni artistici più importanti del Novecento. Strade e piazze intitolate ai grandi “maestri” del fumetto italiano: Gian Luigi Bonelli (padre di Tex e fondatore dell’omonima casa editrice), Guido Crepax, Hugo Pratt, Benito Jacovitti e Andrea Pazienza. Arredo urbano impreziosito da ventiquattro pannelli giganti in mosaici di fotoceramica alti oltre quattro metri e raffiguranti altrettanti personaggi: da Diabolik a Zagor, da Cocco Bill a Lupo Alberto, da Zanardi a, naturalmente, Dylan Dog e Tex.
E ai “primi” 70 anni di vita della Sergio Bonelli Editore è dedicata la mostra inaugurata il 19 marzo (rimarrà aperta fino al 9 maggio) presso il PAN, il palazzo delle Arti di Napoli. La più completa mai realizzata sinora sull’immaginifico mondo bonelliano: la ricostruzione, sia pure a grandi linee, della storia della fabbrica di storie che ha unito e continua a unire l’Italia nel nome dell’avventura. Basti pensare, del resto, come negli stessi giorni, qualche centinaio di chilometri più a nord, sia stato tributato all’editore milanese un analogo omaggio con esposizione di pannelli e sagome dei personaggi principali nel foyer dello Spazio Oberdan di Milano.
Per chi, invece, non avesse la possibilità di recarsi nella città partenopea – rinunciando così a vedere de visu le tavole realizzate dai più bravi disegnatori italiani – non rimane (almeno) che procurarsi lo splendido volume edito per l’occasione da Facta Manent per Napoli Comicon: L’Audace Bonelli. L’avventura del fumetto italiano (pp. 245, € 18). L’aggettivo scelto per l’iniziativa – audace – altro non è che un gioco di parole tra la testata L’Audace, che proprio nel 1940 Gianluigi Bonelli rilevò dall’editore Lotario Vecchi per fondare una sua casa editrice, e il sinonimo di quello straordinario coraggio che ci volle – e che ha “ereditato” il figlio Sergio, al timone dal 1957, appena venticinquenne – per portare avanti con ostinazione un progetto che non ha mai chinato il capo di fronte alle mode passeggere, alla critica militante che liquidava sprezzantemente il fumetto come pornografia e neanche, in tempi recenti, alle sirene più commerciali. Il volume, arricchito da un suggestivo apparato iconografico, ricostruisce passo passo, attraverso le vicende della casa editrice milanese, l’evoluzione della scena fumettistica nazionale.
«L’intuizione di mio padre Gianluigi – ha raccontato Sergio Bonelli – fu di capire che la formula usata fino a quel momento, una sola pagina per volta di ogni personaggio, aveva ormai stancato un pubblico desideroso di leggere storie sempre più corpose». Con l’incalzare degli avvenimenti bellici e la precarietà della distribuzione, diventava difficile per i lettori seguire storie a puntate. Il giornale venne così trasformato in un vero e proprio albo – che anni dopo avrebbe portato al classico formato monografico “bonelliano”, più simile al libro che al giornaletto – con racconti lunghi e dedicati a un eroe in particolare. A cominciare dal pugile Furio Almirante per arrivare al primo sorprendente successo di Tex, il ranger creato da Gianluigi Bonelli e disegnato da Aurelio Galeppini, la serie più longeva nella storia mondiale del fumetto. Se Gianluigi – «un romanziere prestato al fumetto e mai più restituito», come amava definirsi – lancerà la casa editrice nel firmamento delle nuvolette parlanti, la moglie Tea ne amministrerà con oculatezza risorse e collaboratori, tra i quali anche il figlio Sergio, cresciuto a contatto con i più grandi autori dell’epoca, che si cimenterà giovanissimo come sceneggiatore con lo pseudonimo di Guido Nolitta. Nel giugno 1961 darà vita egli stesso a Zagor, altra serie di grande successo che il prossimo anno festeggerà i 50 anni di presenza continuativa in edicola. E nel 1975 sarà la volta di Jerry Drake, meglio noto come Mister No, il figliolo di carta prediletto. Da Darkwood, la foresta della fantasia che caratterizza la location dello spirito con la scure, a quella della realtà, l’Amazzonia, che segnerà il ’68 di Sergio Bonelli. «Il mio primo viaggio in Amazzonia risale al 1968. Manaus era ancora totalmente isolata dal resto del paese – racconta – e il piccolo aeroporto vedeva arrivare da Bélem solo un paio di voli la settimana. Manaus era quello che frequenta Mister No: un posto squallidamente affascinante, dove mi è capitato di bere caffè amaro perché la nave con lo zucchero non arrivava da venti giorni. Oggi Manaus non esiste più, piena com’è di cemento, strade, gente rumorosa e turisti affaticati». E anche la serie mensile di Mister No, purtroppo, dopo oltre trent’anni di onorata carriera, si è dovuta arrendere al mercato e le migliaia di lettori ancora affezionati a questo anti-eroe libertario e anarcoindividualista si sono dovute accontentare di qualche speciale pubblicato a distanza di mesi l’uno dall’altro. Eppure il dinamismo editoriale in casa Bonelli non è mai venuto è mancare: poche le collane che si sono arenate sino a chiudere, molte quelle che hanno avuto successo. Determinante, al riguardo, la capacità di Bonelli di rinnovarsi andando incontro a un lettore sempre più esigente che, rispetto al passato, ha molte plici opportunità di evasione. La concorrenza del cinema e soprattutto della televisione, servita direttamente nei tinelli, si è fatta sentire, ma dopo un periodo di crisi – dell’intero settore – Bonelli ha guidato la riscossa sin dagli anni Ottanta mescolando in patchwork postmoderni generi diversi e lanciando personaggi intriganti come il detective dell'Impossibile, Martin Mystère, il poliziotto della omicidi newyorkese Nick Raider e il fantascientifico Nathan Never, ispirato a Rick Deckard, il protagonista del cult movie Blade Runner. Negli anni successivi seguiranno, tra le tante serie, il fantasy di Brendon, il western-horror di Magico Vento e i personaggi femminili di Legs Weaver, l’investigatrice Julia e la più recente Lilith, viaggiatrice nel tempo. All’elenco (inevitabilmente incompleto) negli ultimi anni si sono aggiunte le miniserie programmate con un limitato numero di uscite, tra cui Demian, il cui successo ha “costretto” la Bonelli a riportare questo moderno cavaliere di ventura in edicola già il prossimo maggio con un nuovo speciale a lui dedicato. Sempre a maggio la Bonelli lancerà un’altra miniserie in diciotto numeri, Cassidy, scritta da Pasquale Ruju, già autore di Demian. La storia è ambientata nella California del 1977 e ha il suo incipit il 16 agosto: proprio mentre a Memphis, presso la sua dimora di Graceland, moriva Elvis Presley. Quella stessa notte una grossa Dodge nera, crivellata di proiettili, procede con al volante un uomo alto, robusto e con la faccia dura: è Raymond Cassidy, fuorilegge, ladro e rapinatore. Una collana che si presenta molto “cinematografica”.
Un rapporto bilaterale, quello tra i personaggi Bonelli e il cinema. Se il più delle volte è il fumetto a inseguire il grande schermo, riprendendone gli spunti, capita che sia il cinema a dover rincorrere. Non parliamo soltanto Hulk, Spiderman o Iron Man. Se qualche anno fa la Dreamworks si assicurò i diritti su Nathan Never per un (presunto) interesse di Steven Spielberg a questo ispettore Callaghan del 21° secolo, entro il 2010 vedremo Dylan Dog in Dead of Night, una megaproduzione americana in cui avrà il volto di Brandon Routh. Dopo una prima (non esaltante) apparizione nel film Dellamorte Dellamore (diretto da Michele Soavi nel 1994), Dylan sarà consacrato ambasciatore del fumetto italiano a livello mondiale. Ma si tratta di una novità solo per il cinema. Per quanto riguarda gli albi, i “figli” di Bonelli hanno già attraversato più di un oceano: dalla Russia al Brasile, dall’Argentina alla Norvegia, dagli Stati Uniti all’ex Jugoslavia, dalla Francia alla Turchia e l’elenco dei paesi in cui le serie continuano a essere ristampate potrebbe continuare.
Non solo Bonelli, in ogni caso. La mostra di Napoli, peraltro, è solo un assaggio del Comicon, che terrà la sua dodicesima edizione a Castel Sant’Elmo, sul Vomero, a Napoli dal 30 aprile al 2 maggio. Interamente dedicata al Nero, con omaggi – tra gli altri – al Diabolik delle sorelle Giussani e a Kriminal e Satanik di Max Bunker e Magnus. Un appuntamento, anche questo, da non perdere.
giovedì 15 aprile 2010
Settant'anni raccontati dalla Bonelli
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2 commenti:
gradevolissimo l'articolo..condivido l'opinione che "le nuvolette parlanti" possano essere ottimo spunto di riflessione e un altro modo per affrontare temi attualissimi.
Caro Rob io non mi ritengo in alcun modo un fighetto: le mie radici sono popolari e non me ne vergogno, anzi.
Da ragazzino e da adolescente insieme ad altre letture ho divorato centinaia e centinaia di pagine di fumetti. Se poi l'Annunziata non li leggeva per partecipare, che so?, a qualche barbosissimo dibattito femminista o comunista peggio per lei. Non sa quello che s'è persa.Non a caso, acuto come sempre,tu citi Edmondo Berselli un grande intellettuale, che non temeva il giudizio dei suoi spocchiosi colleghi nell'occuparsi anche di temi popolari, come ad esempio la musica leggera.Purtroppo per troppi anni la cultura è stata ostaggio dei guru della sinistra: snob ed antipopolari per eccellenza.
Ed allora da vecchio ragazzo del FdG degli anni di piombo grido: "Viva i fumetti, viva Alan Ford, viva Tex, Zagor e tanti altri!". Miei amati beniamini di carta di assolati pomeriggi soprattutto estivi; infatti durante l'anno scolastico li leggevo di nascosto a mia madre mettendoli tra i libri di greco e latino.
Viterbo, 15 Aprile '10
Giovanni Fonghini
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