Articolo di Michele De Feudis
Se per lo scudetto sarà decisiva l'ultima giornata con gli incroci mozzafiato Siena-Inter e Chievo-Roma, un verdetto è già scritto: la Vecchia Signora del calcio italiano non c'è più, seppellita da un mix inedito di incompetenza dirigenziale e destino avverso. Agli addetti ai lavori non resta che ricercare negli almanacchi un termine di paragone per inquadrare questa stagione disastrosa. Insomma, statistiche alla mano, se l'undici di Zaccheroni dovesse rimediare una battuta d'arresto anche nell'epilogo di San Siro con il Milan, sarebbe un vero quarantotto. Solo quarantotto anni fa, infatti, il club degli Agnelli, nel torneo 1961-62, chiuse l'avventura con ben 15 sconfitte complessive.
Il bilancio della stagione juventina è il risultato di una scommessa persa: quella del giovanilismo a tutti i costi rappresentato dall'opzione Ciro Ferrara sulla panchina. Travolti dalla moda scaturita dai successi di Pep Guardiola con il Barcellona, i dirigenti di Corso Galileo Ferraris decisero di dare al napoletano il timone nella corsa scudetto, affibbiandogli una rosa che avevano costruito a prescindere. L'ingaggio dal Werder Brema del fantasista brasiliano Diego era già stato dato in pasto ai tifosi, nonostante sia Claudio Ranieri che Antonio Conte (nell'aprile 2009 vicino alla panchina della Juve) ne avessero segnalato la difficile compatibilità con il calcio italiano. Costo dell'operazione: 25 milioni di euro. Stessa cifra per l'operaio del centrocampo Felipe Melo, preso dalla Fiorentina. Le dichiarazioni estive del trequartista carioca sono una chicca che ingolosirebbe la rubrica cult "Un uomo, un perché". Eccone una summa. "Aquì para ganhar" è l'incipit il giorno della presentazione appena sceso come un divo cinematografico da una Aston Martin, seguito da un avviso al ct verde oro Dunga ("lo convincerò a portarmi in Sud Africa"). Michel Platini, presidente Uefa e bandiera della gestione Boniperti, esagerò in complimenti: «Diego mi somiglia? Dal nome direi che sembra più Maradona... Lui e gli altri acquisti bianconeri sono davvero importanti. Finalmente. Basta con quei giocatori da mondiali d'atletica: erano in tv la settimana scorsa, m' è bastato... Quest'anno la Juve merita complimenti speciali». Poi una previsione surreale: «Da presidente, spero di consegnare una Champions alla Juve». L'azzardo Diego non è stato nel cercare assurde somiglianze tra il suo talento e quello di conclamati campioni, ma nell'asserire che un giocatore dal ruolo così atipico potesse essere inserito in un sistema di gioco tarato da Claudio Ranieri su un ben definito 4-4-2. Su questo equivoco tattico si è seduto Ferrara e per questa leggerezza imperdonabile è stato costretto dopo ventuno gare a farsi da parte. Al suo posto è stato chiamato un tecnico "serioso", Alberto Zaccheroni: il suo rullino di marcia - solo 1,353 punti a partita - ne certifica la mancanza di carisma nel fronteggiare uno spogliatoio di baroni decaduti, oltre che falcidiati da una serie sterminata di infortuni.
Nell'ultima debacle all'Olimpico contro il Parma c'è stato anche un pizzico di masochismo: la porta di Buffon è stata perforata per ben due volte da Davide Lanzafame, bomberino cresciuto nelle giovanili bianconere, lasciato colpevolmente a farsi le ossa in giro per l'Italia quando avrebbe senza dubbio potuto garantire un rendimento superiore a quello di tanti veterani ormai instradati verso un declino da Villa Serena.
Il crollo Juve è una spia di allarme per la Nazionale: Marcello Lippi, la cui "gerontofilia" calcistica è stata più volte denunciata su queste colonne, si ritroverà nella selezione azzurra un nugolo di impresentabili reduci bianconeri, pronti più per un bollito che per un torneo "mundial". Da nonno Cannavaro a Buffon, a Marchisio o Camoranesi... Si tratta di giocatori demotivati, che hanno perso mordente e rabbia agonistica. Immaginarli pimpanti all'esordio contro il Paraguay prefigurerebbe un miracolo, roba da Vangelo con Lazzaro in maglia bianconera. Il blocco Juve, infatti, rappresenta da un lato la garanzia di affidabilità dello spogliatoio di Casa Italia ma dall'altro mostra tutte le crepe di una mancata programmazione di un necessario ricambio generazionale. Solo Iaquinta ha tutte le carte in regola per mantenere le promesse della vigilia: calabrese di Crotone, è rientrato dopo un lungo infortunio e ha conservato la "fame" e la voglia di arrivare in alto, una vocazione tutta meridionale alla lotta per la sopravvivenza nel calcio che conta. L'ultima parentesi riguarda le intemperanze dei tifosi. La civilissima Torino, culla dell'azionismo e di un' elegante tradizione di matrice savoiarda, ha il primato italiano di multe assegnate alla società per le violazioni e i danni commessi dal proprio pubblico. Centocinquantamila euro di sanzioni per atti di teppismo (con un sottile sfondo autolesionista). Il mondo ultrà ha reagito in maniera sconsiderata al ridimensionamento connaturato con i modesti risultati sportivi. E così la Vecchia Signora può solo consolarsi pensando che il fondo è stato raggiunto in questo campionato. Difficile fare di peggio. All'orizzonte c'è l'arrivo del nuovo direttore generale, il manager Beppe Marotta, "deus ex machina" della rivelazione Sampdoria; e la richiesta ufficiale avanzata ieri dal Cda di revocare l'assegnazione dello scudetto 2006 all'Inter. Poi il nodo allenatore: si è raffreddato il corteggiamento nei confronti di Benitez del Liverpool e tornano in auge le candidature di Delneri e Prandelli. Meglio l'usato italiano che una nuova scommessa figlia di una snobistica esterofilia.
Michele De Feudis è giornalista e scrittore, redattore di Epolis e collaboratore di varie testate tra cui il Secolo d'Italia e Il Tempo.
Scrive di libri, cinema, politica e calcio per quotidiani nazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III millennio, edito da L'arco e la corte (Bari).
Dal 17 novembre 2009 cura, con Roberto Alfatti Appetiti e Giovanni Tarantino, "Secolo Sportivo", le pagine che il Secolo d'Italia dedica allo sport ogni martedì.
Il bilancio della stagione juventina è il risultato di una scommessa persa: quella del giovanilismo a tutti i costi rappresentato dall'opzione Ciro Ferrara sulla panchina. Travolti dalla moda scaturita dai successi di Pep Guardiola con il Barcellona, i dirigenti di Corso Galileo Ferraris decisero di dare al napoletano il timone nella corsa scudetto, affibbiandogli una rosa che avevano costruito a prescindere. L'ingaggio dal Werder Brema del fantasista brasiliano Diego era già stato dato in pasto ai tifosi, nonostante sia Claudio Ranieri che Antonio Conte (nell'aprile 2009 vicino alla panchina della Juve) ne avessero segnalato la difficile compatibilità con il calcio italiano. Costo dell'operazione: 25 milioni di euro. Stessa cifra per l'operaio del centrocampo Felipe Melo, preso dalla Fiorentina. Le dichiarazioni estive del trequartista carioca sono una chicca che ingolosirebbe la rubrica cult "Un uomo, un perché". Eccone una summa. "Aquì para ganhar" è l'incipit il giorno della presentazione appena sceso come un divo cinematografico da una Aston Martin, seguito da un avviso al ct verde oro Dunga ("lo convincerò a portarmi in Sud Africa"). Michel Platini, presidente Uefa e bandiera della gestione Boniperti, esagerò in complimenti: «Diego mi somiglia? Dal nome direi che sembra più Maradona... Lui e gli altri acquisti bianconeri sono davvero importanti. Finalmente. Basta con quei giocatori da mondiali d'atletica: erano in tv la settimana scorsa, m' è bastato... Quest'anno la Juve merita complimenti speciali». Poi una previsione surreale: «Da presidente, spero di consegnare una Champions alla Juve». L'azzardo Diego non è stato nel cercare assurde somiglianze tra il suo talento e quello di conclamati campioni, ma nell'asserire che un giocatore dal ruolo così atipico potesse essere inserito in un sistema di gioco tarato da Claudio Ranieri su un ben definito 4-4-2. Su questo equivoco tattico si è seduto Ferrara e per questa leggerezza imperdonabile è stato costretto dopo ventuno gare a farsi da parte. Al suo posto è stato chiamato un tecnico "serioso", Alberto Zaccheroni: il suo rullino di marcia - solo 1,353 punti a partita - ne certifica la mancanza di carisma nel fronteggiare uno spogliatoio di baroni decaduti, oltre che falcidiati da una serie sterminata di infortuni.
Nell'ultima debacle all'Olimpico contro il Parma c'è stato anche un pizzico di masochismo: la porta di Buffon è stata perforata per ben due volte da Davide Lanzafame, bomberino cresciuto nelle giovanili bianconere, lasciato colpevolmente a farsi le ossa in giro per l'Italia quando avrebbe senza dubbio potuto garantire un rendimento superiore a quello di tanti veterani ormai instradati verso un declino da Villa Serena.
Il crollo Juve è una spia di allarme per la Nazionale: Marcello Lippi, la cui "gerontofilia" calcistica è stata più volte denunciata su queste colonne, si ritroverà nella selezione azzurra un nugolo di impresentabili reduci bianconeri, pronti più per un bollito che per un torneo "mundial". Da nonno Cannavaro a Buffon, a Marchisio o Camoranesi... Si tratta di giocatori demotivati, che hanno perso mordente e rabbia agonistica. Immaginarli pimpanti all'esordio contro il Paraguay prefigurerebbe un miracolo, roba da Vangelo con Lazzaro in maglia bianconera. Il blocco Juve, infatti, rappresenta da un lato la garanzia di affidabilità dello spogliatoio di Casa Italia ma dall'altro mostra tutte le crepe di una mancata programmazione di un necessario ricambio generazionale. Solo Iaquinta ha tutte le carte in regola per mantenere le promesse della vigilia: calabrese di Crotone, è rientrato dopo un lungo infortunio e ha conservato la "fame" e la voglia di arrivare in alto, una vocazione tutta meridionale alla lotta per la sopravvivenza nel calcio che conta. L'ultima parentesi riguarda le intemperanze dei tifosi. La civilissima Torino, culla dell'azionismo e di un' elegante tradizione di matrice savoiarda, ha il primato italiano di multe assegnate alla società per le violazioni e i danni commessi dal proprio pubblico. Centocinquantamila euro di sanzioni per atti di teppismo (con un sottile sfondo autolesionista). Il mondo ultrà ha reagito in maniera sconsiderata al ridimensionamento connaturato con i modesti risultati sportivi. E così la Vecchia Signora può solo consolarsi pensando che il fondo è stato raggiunto in questo campionato. Difficile fare di peggio. All'orizzonte c'è l'arrivo del nuovo direttore generale, il manager Beppe Marotta, "deus ex machina" della rivelazione Sampdoria; e la richiesta ufficiale avanzata ieri dal Cda di revocare l'assegnazione dello scudetto 2006 all'Inter. Poi il nodo allenatore: si è raffreddato il corteggiamento nei confronti di Benitez del Liverpool e tornano in auge le candidature di Delneri e Prandelli. Meglio l'usato italiano che una nuova scommessa figlia di una snobistica esterofilia.
Michele De Feudis è giornalista e scrittore, redattore di Epolis e collaboratore di varie testate tra cui il Secolo d'Italia e Il Tempo.
Scrive di libri, cinema, politica e calcio per quotidiani nazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III millennio, edito da L'arco e la corte (Bari).
Dal 17 novembre 2009 cura, con Roberto Alfatti Appetiti e Giovanni Tarantino, "Secolo Sportivo", le pagine che il Secolo d'Italia dedica allo sport ogni martedì.
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