martedì 4 maggio 2010

Quando Rossellini scandalizzava la Dc (di Luciano Lanna)

Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di martedì 4 maggio 2010
Che ci sia più politica, nel senso più autentico della capacità di interpretare le trasformazioni di una società e del proprio tempo, nei fenomeni di costume e dell'immaginario che nelle cronache parlamentari o nelle ricostruzioni della storiografia accademica lo andiamo dicendo da tempo. Ma l'ultimo libro di Marcello Sorgi - Le amanti del Vulcano. Bergman, Magnani, Rossellini: un triangolo di passioni nell'Italia del dopoguerra (Rizzoli, pp. 204, € 18,00) - ce lo attesta nel migliore dei modi. Una vicenda dell'anno 1949 - lo scandalo giornalistico collegato a Rossellini che molla la Magnani e si mette con la Bergman e la contemporanea guerra tra due film nati dalla stessa idea - si trasforma nell'epifania non solo dell'Italia di quegli anni ma, in qualche modo, della stessa identità novecentesca degli italiani.
I personaggi della storia sono tre. Roberto Rossellini, raccontato per la prima volta fuori della retorica cinefila e descritto, come un arcitaliano doc, un intellettuale espressione del suo tempo. Anna Magnani, allora considerata la più famosa attrice italiana, compagna del regista sin da Roma città aperta. E Ingrid Bergman, in quegli anni la diva internazionale per eccellenza del cinema targato Hollywood. Tutto inizia quando la Bergman, folgorata dai film di Rossellini, gli scrive dicendo che vorrebbe recitare con lui. Il cineasta, stava progettando un nuovo film ambientato alle Eolie, con la Magnani, con la quale stava vivendo gli ultimi tempi di una relazione appassionata e burrascosa.
Lusingato dalla lettera, avvia in gran segreto le trattative con l'attrice svedese, non immaginando che di lì a poco esploderà un'attrazione tanto travolgente da far scoppiare un grande scandalo nell'Italia democristiana e nell'America ancora molto puritana, oltre a un vero e proprio caso politico che approderà fino al Senato Usa. E quando Anna scopre di essere stata tradita - come artista e come donna - medita la sua vendetta: il film alle Eolie si farà lo stesso, con o senza Rossellini. Così, negli stessi mesi, su due isole vicine, Stromboli e Vulcano, due diverse troupe realizzano due film praticamente identici, in un clima reso infuocato dai pettegolezzi. Le due isole diventarono, da quel momento, il cuore di una battaglia a tuto campo: «Nell'immaginario dei protagonisti era come se, invece di restare ancorate al fondo del mare con le loro radici di lava pietrificata, avessero preso a muoversi con l'agilità di veloci navi da guerra».
Marcello Sorgi racconta con grande maestria giornalistica tutta questa storia trasformandola, come dicevamo, in un grande affresco di quello che stava avvenendo nel profondo nel secondo dopoguerra italiano. Sullo sfondo, compassati nobiluomini siciliani come il principe Francesco Alliata, cronisti senza scrupoli, grandi intellettuali e attori dalla vena nazionalopolare. E soprattutto il mondo pieno di fermento della Roma di quegli anni, così mirabilmente ritratta dal neorealismo rosselliniano. Erano, tanto per dire, in cui a Roma una mano anonima scrisse su un muro: «Aridatece er puzzone». E proprio in quel 1949 la Magnani, riferendosi alla troupe di Stromboli, parlava di «quer puzzone de Robberto».
D'altronde, «con tutte le sue qualità e i suoi terribili difetti», dice Sorgi, «Roberto Rossellini è un esempio perfetto di italiano». Il regista, in grandissimo anticipo su molti altri intellettuali, aveva infatti capito che l'Italia «era un paese tragico e ridicolo insieme. Ridicolmente tragico, tragicamente ridicolo». Come altrimenti si poteva spiegare ai suoi occhi un paese che era entrato in guerra da una parte, con certi alleati, e ne era uscito dall'altra, accanto a quelli che fino al giorno prima erano suoi nemici? Rossellini pensava che la gente non si rendesse conto della realtà solo perché non riusciva a vederla nel suo insieme. Una verità che andava, prima che interpretata astrattamente, raccontata, comunicata con le immagini e le sensazioni reali della gente. E questo fu il neorealismo, metodo e genere introdotto dai suoi due film più famosi: Roma città aperta e Paisà. Al di là della vulgata che li avrebbe santificati come film antifascisti, l'intenzione rosselliniana era ben altra: Rossellini, precisa Sorgi, aveva visto passare cose che nessuno aveva voluto raccontare: comunisti e preti nemici tra di loro ma alleati nella lotta clandestina, il terrorismo pensato e gestito nelle case degli intellettuali borghesi, i tradimenti all'ombra di amori clandestini, le debolezze delle nobildonne, la grande area della zona grigia non schierata, la presenza degli ufficiali tedeschi che la Capitale già in macerie coltivava compiacendonsene, la miseria del popolino al di là e oltre tutte le divisioni. «Rossellini, con il suo passato di giovane privilegiato e viziato, cresciuto durante gli anni migliori del regime in una famiglia ricca e colta poi andata in rovina, era attrezzato a coglierne contemporaneamente la drammaticità e l'ironia, la retorica e la miseria, le speranze e gli alibi». Ma che tutto questo potesse avere - come ebbe - conseguenze politiche, non lo interessava più di tanto. Il monito lanciato dal giovane Giulio Andreotti sul suo neorealismo («i panni sporchi si lavano in casa») non lo aveva minimamente turbato, come il tentativo dei suoi amici Sergio Amidei e Carlo Lizzani di rifargli la giacca verso il Pci. «Roberto era uno spirito libero» ricordava la prima moglie, Marcella De Marchis. «Non aveva mai voluto una tessera di partito. Diceva che solo le bestie si marcano. Chi ha un'idea fissa deve stare in manicomio». Ricordiamo che Roberto, nel '37, l'anno in cui Mussolini inaugurava Cinecittà, era diventato amico del figlio del Duce, Vittorio, che coltivava anche lui la passione per il cinema. E nel '38 aveva firmato la sua prima sceneggiatura con il film Luciano Serra pilota, di cui era diventato anche aiuto regista accanto a Goffredo Alessandrini, il marito della Magnani. Per non dire dei successivi La nave bianca, Un pilota ritorna e L'uomo della croce, veri e propri film "fascisti". Nella baraonda del dopo 8 settembre, poi, entrerà per la Dc nel Cln come rappresentante dei lavoratori del cinema. Ecco perché lo "scandalo" del 1949 - durante la lavorazione di Stromboli la Bergman che aveva un marito e una figlia in America era rimasta incinta del regista - sconvolse tutti gli schemi. L'attrice era sino ad allora un'icona modello di mamma e sposa e nel suo ultimo film aveva interpretato Giovanna d'Arco. «E in un paese come l'Italia, in cui era ancora impossibile, per legge, porre fine a un matrimonio, la polemica aveva sollevato l'intero Vaticano. Il governo democristiano s'era trovato in imbarazzo». Il caso arrivò a Washington, con un intervento in parlamento del senatore Edwin Johnson che definiva Ingrid «potente distillatrice del male, cultrice del libero amore e apostolo della depravazione» e attaccava Roberto per le sue frequentazioni politiche: «I suoi trascorsi come membro del partito fascista e come attivo collaborazionista durante la guerra sono ben noti ai nostri servizi di controspionaggio». E il caso dilagò sulla stampa, dal New York Times al Washington Post, dal Daily Mirror a Le Figaro. Il risultato fu solo una mobilitazione moralista senza precedenti. Negli Stati uniti per invitare a boicottare il film si mossero la Lega del buon costume e l'associazione madri di famiglia. E l'effetto fu il fallimento non solo di Stromboli ma anche di Vulcano, essendo pressoché simile la trama. Rossellini e la Bergman, sino alla fine della loro storia, gireranno insieme cinque film, ma andranno tutti male. Il fatto è, spiega Sorgi, che Rossellini, nonostante la sua stessa "vita scandalosa" - avrà in seguito altre due storie sentimentali - non riuscì più a sintonizzarsi con un'Italia che stava cambiando. In pochi anni le macerie della guerra, la miseria come anche il conformismo erano stati travolti, anche grazie ai suoi film. «Anche se Rossellini - conclude Sorgi - non era riuscito a capirlo».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.

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