domenica 6 giugno 2010

È arrivato il momento dei franchi narratori... (di Gianfranco Franchi)

Nessuno di questi scrittori è erede di un'ideologia; nessuno di loro obbedisce ai comandi di un partito...
Articolo di Gianfranco Franchi
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 6 giugno 2010
Sì, esiste qualcosa di diverso dalla narrativa di genere: nella nuova ondata di letteratura italiana si riconoscono tutta una serie di formidabili, giovani identità autoriali caratterizzate da un aspetto principe; questo aspetto è l'incompatibilità. Incompatibilità rispetto alle ideologie passate e presenti, incompatibilità rispetto ai manifesti e ai dogmi, incompatibilità rispetto - spesso - alla tradizione letteraria nazionale, quasi mai accettata come punto di riferimento primo e incontrovertibile; sembrano più inglesi o americani, per stile, reminiscenze e dignità autoriale. Sono artisti egoici, non egoisti; individualisti capaci di profondo e sincero altruismo, senza mai dimenticare la propria identità; cani sciolti che non riconoscono padrone, soltanto simile. Sono quei narratori che nessun regime, nessun partito e nessun movimento potrà mai annettersi, né assimilare, né assoldare. Sono quei narratori che non vogliono obbedire a niente di diverso dalla loro coscienza. Sono quei narratori che non hanno nessun interesse a diventare prigionieri d'un manifesto o d'un progetto. Sono - loro sì, davvero: altro che i feltrinellidi degli anni Settanta - franchi narratori...
Sono tutti figli del popolo, o a limite piccolo o medio borghesi: dimenticate il vecchio cliché dell'artista che si dedica alle patrie lettere perché può permettersi il lusso dell'antico, latino otium. Sono tutti costretti a vivere d'un altro mestiere, spesso decisamente distante dal loro, perché magari hanno già famiglia, oppure semplicemente sono orgogliosi della loro autonomia e della loro indipendenza. Sono tutti sinceramente innamorati della letteratura. Sono tutti estremamente portati a trasfigurare le loro esperienze professionali, esistenziali e territoriali in narrativa, senza mai cedere alle storture dogmatico-ideologiche che tanto hanno inquinato la creatività e l'intelligenza del secolo scorso.
Sono narratori che hanno esordito pubblicando per marchi piccoli e medi, non sempre popolari nelle grandi librerie italiane; man mano, stanno guadagnando consenso e apprezzamento tra i gruppi editoriali mainstream. E quando leggeranno i loro nomi, in un articolo come questo, un po' saranno felici e un po' si risentiranno, perché in ogni caso ho creato una categoria per assimilarli tutti, sebbene questa categoria sia quella grottesca degli "incompatibili": già, non dimenticate che spesso non sono compatibili nemmeno tra di loro, non soltanto rispetto alle linee letterarie o editoriali egemoni. Collaborano, magari, ma non fraternizzano. Sono solidali, ma non diventano amici. Ognuno va avanti per la sua strada: con le sue idee, il suo bagaglio culturale, i suoi artisti di riferimento, la "sua" letteratura.
Ecco i nomi: Andrea Di Consoli, Claudio Morici, Paolo Mascheri, Andrea Consonni, Luca Martello, Luca Giachi, Vanni Santoni, Gianluca Morozzi.
Andrea Di Consoli, giornalista, poeta e narratore lucano classe 1976, nato a Zurigo da una famiglia di emigranti poi tornati in patria, già direttore editoriale di Avagliano, oggi di Hacca, è - tra gli otto - l'unico letterato pienamente e orgogliosamente felice di aderire in primis alla nostra grande tradizione italiana: è uno scrittore capace di mostrare straordinaria fedeltà al suo territorio e al meridione, in generale, un poeta capace di scrivere col sangue dello spirito, parlando di tradizione, di dignità del popolo, di legami famigliari, d'appartenenza. In poesia la sua miglior pubblicazione è La navigazione del Po (Aragno, 2007), in narrativa, il crudo e intenso La curva della notte (Rizzoli, 2008).
Claudio Morici, psicologo pentito, copy, net artist, scrittore e viaggiatore chatwiniano, romano, classe 1972, è un narratore pop che ha già scritto un libro magnifico, Actarus. La vera storia di un pilota di robot (Meridiano Zero, 2007): la più brillante, caustica e intelligente satira del nuovo mondo del lavoro e della ripetitività della vita contemporanea apparsa, ad oggi, in Italia. Ab origine, Morici ha saputo raccontare cosa significa lavorare nei centri di igiene mentale (Matti slegati, Stampa Alternativa); ha cantato il precariato; infine, il turismo di massa, con splendida ferocia (La terra vista dalla luna, Bompiani 2009). Morici è il Douglas Adams italiano. Sembra uno scrittore anglosassone, ma ha un retrogusto romanesco verace niente male.
Paolo Mascheri, farmacista e scrittore aretino classe 1978, è un narratore che può ricordare tanto il primo Moravia, per la sua capacità di spogliare e criticare la società borghese, quanto Philip Roth: ha esordito pubblicando una raccolta di racconti non conformisti e ribelli, Poliuretano (Pendragon, 2004), mentre il suo primo romanzo, Il gregario (Minimum Fax, 2008), ha saputo rivelare contrasti e contraddizioni della provincia italiana, e tutto il trauma del passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova generazione. Mascheri sembra un narratore americano (Yates, la Munro, Carver, Thom Jones) più che italiano; eppure, interpretando il Belpaese dà il massimo.
Andrea Consonni, scrittore e operaio lombardo classe 1979, è uno scrittore che sembra aver sintetizzato la rabbia e l'iconoclastia del primo Palahniuk con la crudezza e l'irresponsabilità di Welsh. È l'anarchico padre d'un esordio polifonico e non lineare, 79 punti di fuga (Besa, 2001) e di un secondo libro di un'onestà e di una disperata bellezza davvero spiazzanti, Wrong (Il Foglio, 2003). Da quel momento in avanti, è stato estremamente attivo nel web, preferendo restare nell'ombra. Il suo terzo libro di narrativa è già circondato da grande attesa. Può essere, come Tommaso Pincio, un narratore capace d'essere generazionale: soltanto, con più personalità. Vera promessa.
Luca Martello, studente e intellettuale sassarese classe 1983, è un letterato e un artista nato dall'inedito incontro tra l'onestà, la semplicità e la dignità della narrativa sarda (Atzeni, Cambosu) e il nonsense, il grottesco, il ridicolo e l'imprevedibile (Monty Python, Marx Bros). Ha esordito pubblicando un'impressionante monografia dedicata a Groucho Marx e ai suoi fratelli, festeggiata da un trionfo di consensi critici piuttosto insolito per un "cinematografaro". Il suo primo libro di narrativa uscirà a breve. E saprà spiazzare, disorientare, commuovere e divertire.
Luca Giachi è uno scrittore capitolino classe 1977, un dottorato in Psicologia di Comunità, chitarrista di una band di jazz core. Ha esordito in narrativa con un romanzo sentimentale, Oltre le parole (Hacca, 2007), Premio Mondello; è stata un'opera prima molto intelligente, una sorta di romanzo di formazione leggero, mosaicale e politico, capace di mettere a confronto la vecchia e la nuova generazione, e di parlare di limiti e talenti di entrambe: Giachi ha cercato di ricordare a tutti che l'unica cosa che ha senso è quel sentimento indescrivibile, sconosciuto a tutti e che pure accade, come una 500 che vola dal cielo il 4 di agosto. L'amore.
Vanni Santoni, giornalista e scrittore toscano classe 1978, laureato in Scienze Politiche, ha esordito in narrativa con l'invenzione di tutta una serie di sketch sul precariato: i suoi Personaggi precari sono sbarcati, da un piccolissimo marchio editoriale, direttamente sul Corriere della Sera di Firenze. Di lì al primo romanzo il passo è stato breve: Gli interessi in comune (Feltrinelli, 2008), viziosa romantica trascinante e drogata storia di formazione d'una generazione di atipici, di inconcludenti e di goliardi.
Gianluca Morozzi, musicista e scrittore bolognese classe 1971, è il Nick Hornby italiano: le sue due grandi passioni, il calcio (rossoblu) e il rock (Springsteen e poi il resto del mondo) sono le principali fonti di ispirazione d'una narrativa che ha saputo, a partire dai primi passi (Despero, Fernandel 2001), conoscere respiro internazionale (Blackout, Guanda 2004, è stato tradotto in America, Germania e Inghilterra) e periodica grandezza nazionalpopolare.
Nessuno di loro può considerarsi derivativo rispetto a un'ideologia egemone; nessuno di loro sembra obbedire ai comandi di un partito o di un manifesto. In una nazione che è stata ferita dallo strapiombo d'un ultrarealismo d'accatto, a servizio del partito di riferimento, per quasi sessant'anni, la notizia ha qualcosa di straordinario. Come a dire che finalmente i nostri narratori (ri)scoprono l'indipendenza, l'autonomia, l'individualismo. Finalmente i nostri narratori prendono e raccontano le loro vite, e quelle dei loro popoli, delle loro comunità, senza sottometterle all'egida d'un dogma; finalmente i nostri narratori riscoprono gioiosamente la loro unicità.
Mi piace pensare che uno sia il padre di questo approccio estetico, politico e culturale: Guido Morselli, il caso letterario più rappresentativo ed enigmatico della letteratura nazionale, quello d'un artista benedetto da una gloria tutta postuma, rifiutato in vita da tutta l'editoria nazionale, riscoperto da morto e considerato in mezza Europa come una delle massime espressioni della narrativa italiana. Morselli, padre di romanzi indimenticabili come "Dissipatio Humani Generis" e "Contropassato prossimo", tutti pubblicati da Adelphi, ha pagato la sua coerenza, la sua onestà e la sua estraneità al circo editoriale e letterario con la morte in vita; col silenzio, col nullo riconoscimento dei suoi talenti, con l'emarginazione più cattiva e ingiusta. Non aveva chiese: non aveva tessere di partito: non intendeva sottomettersi a nessun movimento e a nessuna linea. Aveva, maledizione, soltanto voglia di fare letteratura, e di essere sé stesso. Incompatibile con l'Italia delle conventicole, dei gruppetti e delle mafiette, s'è ammazzato prima di poter scoprire che un lettore d'eccezione, come Giuseppe Pontiggia, aveva appena dato parere favorevole a una sua pubblicazione per la più grande case editrice italiana, Adelphi. Io credo che il sangue di Morselli non sia stato speso invano, se oggi - 2010 - la lezione di autonomia, indipendenza, orgogliosa estraneità ai salotti e ai giochetti è una delle ragioni d'esistenza d'una intera generazione di atipici, e di incompatibili. E mi piace pensare che questo sia, in poche parole, semplicemente l'inizio di qualcosa di nuovo; di qualcosa di vero; di qualcosa di destinato a restare nel tempo. Qualcosa di ribelle, non di rivoluzionario. Qualcosa di unico.
Provo a immaginare questo futuro. In questo futuro ideale l'editoria è stata profondamente riformata: è sparita la vanity press, per legge, e sono spariti i libri dei mostri catodici, dei calciatori, dei comici di plastica e dei giornalisti d'accatto. L'editoria è tornata a servire la letteratura, e ad onorare i letterati. Il resto s'è fatto tipografia. I lettori hanno ritrovato il desiderio e il piacere di leggere grande letteratura, e non solo letteratura di genere. In questo futuro l'editoria ha saputo evitare le concentrazioni di potere: non accade più che un gruppo editoriale abbia posizioni prepotenti rispetto ad altri; soprattutto, non accade più che la grande distribuzione sia in mano dei grandi gruppi editoriali. In questo futuro, l'arte è tornata a inorgoglire e insuperbire gli italiani, che si riconoscono più nei loro letterati che nella loro vecchia classe politica: in questo futuro, abbiamo tutti deciso di voler essere rappresentati dagli intellettuali e dai filosofi, non più dagli affaristi o dagli imprenditori. In questo futuro, s'è tornati a guardare avanti sognando di plasmare utopia nuova: una nazione - una società - civile, pienamente democratica, libertaria, tollerante, solidale, pacifica e pacifista. In questo futuro, s'è tornati a ridere dei soldi, e di chi campa per averne di più e per vivere nel vizio, sulle spalle di tanti altri. In questo futuro, siamo tutti orgogliosi delle differenze che esistono tra ognuno di noi, e abbiamo una gran voglia di confrontarci e di imparare, tutti i giorni. In questo futuro, siamo tutti riconoscenti a quella generazione di grandi scrittori incompatibili che hanno saputo rischiare sulla loro pelle pur di restare fedeli a sé stessi. Io questo futuro lo voglio salutare domani.
Gianfranco Franchi è nato a Trieste nel 1978. Laureato in Lettere Moderne a Roma III, è scrittore, poeta, saggista, giornalista e consulente editoriale. Ma, soprattutto, è uno degli scrittori più fecondi e interessanti nel panorama letterario nazionale. Annovera, tra le sue numerose pubblicazioni, le due caustiche opere Pagano (Il Foglio Letterario, 2007) e Monteverde (Castelvecchi, 2009). Gestisce «Lankelot», uno dei più grandi siti letterari online.

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