domenica 13 giugno 2010

Guccini, quel settantenne che riesce ancora a far cantare i ragazzi (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 13 giugno 2010
Settanta candeline sulla torta, tutte insieme, non le mette più nessuno. Tutto quel tempo per posizionarle e per accenderle. Tutto quel fiato per spegnerle. Molto meglio due candele a forma di numero, di qua un sette e di là uno zero (che se poi c'è un buontempone le inverte e declama l'abusata facezia sui sette anni "ben portati"). Oppure sette candeline più spesse, che ognuna vale per dieci e si fa in fretta a piazzarle, ad accenderle/spegnerle e poi a rimuoverle. Vai con la torta. Vai con la festa. Presto-presto-presto. Nel lavoro e nello svago. Sempre. E dappertutto. Il tempo è denaro. Il denaro è tutto. Settanta candeline? Ma dai. Non le mette più nessuno... 
Guccini forse sì. La sua ultima preoccupazione sono le mode, le tendenze, i trend. Il suo ultimo bisogno è fare in fretta se non è davvero necessario. Le cose se ne vanno via così svelte già da sole: saremo mica matti a spingerle ancora più forte solo per avere il gusto - l'illusione - di essere noi i padroni del tempo. Se le settanta candeline sono un'ostentazione non se ne parla nemmeno. Ma se sono una rifinitura, un piccolo omaggio alla bellezza o a una tradizione, caparbio alla maniera dei contadini che avevano poco e valorizzavano tutto, allora può andare bene. O benissimo. I riti si svuotano solo se li subisci. Si consolidano se li alimenti. Se te ne prendi cura come dei campi che ti nutrono, o come dei fiori sul balcone che ti danno il bentornato quando li guardi dalla strada a fine giornata, e sei stanco o addirittura triste ma adesso sei a casa. Guccini ha compilato il dizionario del dialetto di Pavana, il minuscolo centro dell'Appennino tosco-emiliano di cui è originario e in cui trascorre buona parte dell'anno. E si è divertito a tradurre per i compaesani una commedia di Plauto. Lo sa perfettamente che anche quel dialetto lì è una pianta che un giorno o l'altro appassirà, come è accaduto a lingue di ben altra rilevanza e diffusione. Ma fintanto che lo si parla è un piacere utilizzarlo. Ed è un dovere tenerlo pulito e in ordine, come un utensile nel capanno degli attrezzi. Guarda qui questo falcetto. Era ben del bisnonno, e taglia ancora che è una meraviglia.
«A Pavana sento ancora questo senso di appartenenza: è un piccolo popolo, sono ancora molto legati gli uni agli altri, se c'è un funerale ci vanno tutti, ci si aiuta… Non sono sempre solo rose e fiori, intendiamoci. Però c'è un'appartenenza. Ho degli amici di vecchissima data che sono completamente diversi da me: io sono di sinistra, loro non lo sono; però ci conosciamo da tanto tempo. Ho un amico che tutte le mattine va a comperare per sé il giornale: per me compra L'Unità e Repubblica, poi me li porta a casa, per dire. Quest'amicizia non l'avrei in città con uno che la pensa diversamente da me: sarebbe molto più difficile, credo. Là c'è questo senso di appartenere a delle tradizioni: abbiamo passato l'infanzia assieme, abbiamo passato esperienze di fiumi, di boschi. Questo può essere un senso d'appartenenza». Guccini li guarda in faccia, i suoi settant'anni, e cerca di osservarli con la dovuta franchezza. Senza abbassare lo sguardo, che non c'è mica nulla da vergognarsi a diventare vecchi e a mostrare i segni dell'età, e però senza fissarli con troppa insistenza e con un orgoglio eccessivo, che tanto gli atteggiamenti di sfida, in questo caso, non servono a niente se non a rendersi ridicoli. Come testimoniano tantissime delle sue canzoni, se non proprio tutte, è uno di quei viaggiatori che hanno scrutato attentamente le mappe e riflettuto sui resoconti altrui, ancora prima di mettersi in marcia. E poi ha continuato a farlo lungo la strada. E poi dopo ciascun ritorno. Chi si avventura tra le montagne deve capire che fino a un certo punto si sale, e gli occhi si appuntano febbrili verso l'alto, in cerca del posto che ci si è scelti per arrivare un po' più vicini al cielo. Superato il valico si scende. Occhi a terra per non inciampare. Per non scivolare. Per non precipitare.
Dopo i cinquanta - dice Guccini - ti rendi conto che gli anni che hai vissuto sono certamente meno di quelli che ti restano da vivere. Si avvicina l'età in cui la vita, come ha scritto la Yourcenar, «è per ciascun uomo una sconfitta accettata». Ma è anche il momento in cui l'eventuale valore di ciò che hai fatto si mostra in maniera più nitida. Il momento in cui è essenziale potersi guardare indietro e vedere che molte cose sono state belle e degne di essere inseguite, e infine incontrate. Sai che è così quando ripensandoci ne senti ancora la fragranza. Sai che è così quando raccontandole agli altri, e specialmente a dei perfetti sconosciuti, vedi che quella fragranza la sentono anche loro. E se non la sentono con precisione la intuiscono. E se non la intuiscono la desiderano.
Guccini non è solo un grande autore e interprete di canzoni (guarda tu come tocca dilungarsi per non dire "cantautore"...) ma è un affabulatore instancabile e più che mai poliedrico. Uno che rende interessante, e spesso affascinante, e non di rado irresistibile, qualsiasi argomento - e qualsiasi frammento. Uno che è conscio del gioco che è insito in ogni tentativo di comunicare davvero, sprigionando il fuoco della suggestione da qualunque cosa a portata di mano. Ci sono dei trucchi? Certo che ci sono. Ma quella parola lì - trucchi - non va mica tanto bene. Direste che sono dei "trucchi" i giri armonici della musica? O le regole della metrica? O i principi, largamente perduti, della vera retorica?
C'è da credere che sia per questo che tanti ragazzi lo amano, e lo ammirano, e lo rispettano, nonostante tutte le differenze tra la sua vita e le loro. Il suo resta un gioco pulito, e in fin dei conti disinteressato. La sua resta un'offerta, come quella di chi si sta preparando qualcosa di buono da mangiare, su un focolare all'aperto, e se gli passi accanto ti domanda se ne vuoi anche tu. E se dici di sì, e se lasci capire che ci vorresti un altro po' di sale, o di pepe, lui allunga la mano e te lo passa. In un'intervista gli hanno chiesto: «Guccini, lei crede di essere mai stato un idealista? E se sì, si riconosce oggi in questa definizione?». «Intendete - ha replicato lui - da un punto di vista filosofico, crociano?». Giusto per capirsi, prima di rispondere. Prima di continuare a parlare.
Federico Zamboni

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