Intervista a cura di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di oggi
Torinese e cuore granata trapiantato a Roma, Massimo Gramellini è una elegante voce fuori campo che commenta con garbo e spiazzante semplicità i fotogrammi di un'Italia inquieta e senza bussola: vice direttore de La Stampa, ogni mattina stimola la riflessione dei lettori attraverso la rubrica in prima pagina "Buongiorno", uno spazio di respiro montanelliano. In questi giorni è impegnato nel Salento per un ciclo di incontri-presentazione del suo primo romanzo, L'ultima riga delle favole (Longanesi, pp. 258, euro 16.60) per la rassegna "Spiagge d'autore", promossa da Regione e Confcommercio Puglia.
Per niente. La mia generazione si riconosce di più nella vittoria Mondiale del 1982, quando sbaragliammo Brasile, Argentina e Germania... A Berlino contro la Francia abbiamo giocato una gara non esaltante, della quale non abbiamo memoria di una bella azione ma solo della testa di Zidane a Materazzi.
Di chi è la responsabilità?
Lippi ha commesso molti errori. Nel calcio bisognerebbe introdurre il principio della "non rieleggibilità". Nella storia del calcio, solo un allenatore ha vinto due campionati del mondo: Vittorio Pozzo. Ma dall'edizione del 1934 a quella del 1938 ebbe il coraggio di rivoluzionare l'undici base.
Il nuovo ct, Claudio Prandelli, da dove dovrebbe ripartire?
Come selezionatore non ha la possibilità di dettare nuovi schemi. Per questo deve affidarsi al blocco di un club. Lippi ha scelto di affidarsi all'ossatura della Juventus, e i risultati purtroppo si sono visti. Ci siamo presentati ai mondiali con un attacco preso dall'Udinese, senza esperienza internazionale. Avrebbe potuto puntare sui romanisti Perrotta, Taddei, De Rossi.
Cassano sarà il salvatore della patria?
Avrà una nuova chance. Ma dovrà ripetersi ad alti livelli con la Sampdoria anche in Europa.
Balotelli?
Giovanissimo, ha già vinto Coppa Campioni e tre scudetti. In Sud Africa sarebbe stato il simbolo di una nuova Italia, variopinta come l'uscita delle scuole delle nostre città.
La Germania multietnica ha stupito tutti.
È una squadra che assomiglia ad un paese con milioni di stranieri diventati cittadini tedeschi. L'Italia ha una situazione diversa, ma deve immagine uno sbocco simile.
Il presidente della Figc, Giancarlo Abete, si dovrebbe dimettere?
Non so se abbiamo un leader alternativo. I correttivi per il calcio italiano dovrebbero partire da riforme strutturali essenziali: ritorno ad una massima serie con sedici squadre e play off per lo scudetto.
La Juventus ha proposto nuove maglie quasi nazionaliste...
Non mi occupo dell'altra squadra di Torino.
I granata come se la passano?
Hanno un nuovo allenatore competente, Franco Lerda e un direttore sportivo preparato, Gianluca Petrachi. La prossima stagione ci sono le basi per centrare la promozione in A.
Dai dolori calcistici si sta consolando con il successo de "L'ultima riga delle favole"?
Ha venduto centomila copie. Scrivere una storia è stato per un me un appagante distacco.
Montanelliamo nei suoi affondi in prima pagina, da romanziere ha lo stesso pessimismo del grande giornalista di Fucecchio?
No. Sono un ottimista. Narro del ruolo dell'amore per risvegliare il mondo e tornare a credere nel futuro.
È in Puglia per presentare una serie di appuntamenti letterari. Cosa pensa del modello Nichi Vendola?
Il governatore è un politico che tocca le corde dell'anima, mentre Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani non riscaldano mai il cuore degli elettori. In questo momento il leader di Sel è in grado di offrire una alternativa alla narrazione dell'Italia berlusconiana.
A destra il Pdl vive una stagione turbolenta. Come la spiega?
Silvio Berlusconi ha una mentalità aziendalista e pensa di trattare tutti come dei capi ufficio. Non vuole soci o partner ma dipendenti. Gianfranco Fini è stato per tutta la sua vita un leader politico e non potrà mai fare "il capostruttura" per conto terzi.
Tornando al mondo dei libri, la vittoria del romanzo di Antonio Pennacchi allo Strega segna un nuovo clima culturale nel paese?
Lo scrittore di Latina ha scritto una bella storia narrando una delle poche epopee italiane del novecento, quella delle famiglie venete nell'agro pontino. Di sicuro se una giuria orientata a sinistra premia un'opera che ha la parola Mussolini nel titolo, qualcosa è cambiato...
Gramellini, per raccontare l'Italia dei nostri giorni possiamo partire dal flop della Nazionale di Lippi?
Sì, gli azzurri sono la metafora di un paese mediocre, che non è abituato a premiare il merito. Il ct Marcello Lippi ha preferito selezionare tanti buoni soldatini e ha penalizzato i nostri talenti, dimenticando che le battaglie si vincono con gli eroi.
Dal successo del 2006 al flop con la Slovacchia. Dagli altari alla polvere. È sorpreso?
Lo scrittore di Latina ha scritto una bella storia narrando una delle poche epopee italiane del novecento, quella delle famiglie venete nell'agro pontino. Di sicuro se una giuria orientata a sinistra premia un'opera che ha la parola Mussolini nel titolo, qualcosa è cambiato...
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