lunedì 19 luglio 2010

L'arte di sollevar le donne, Gianluca Nicoletti lancia una nuova forma espressiva per ristabilire la forza della realtà (di Federica Colonna)

Articolo di Federica Colonna
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 18 luglio 2010
La musica che accompagna la disciplina della sollevazione della donna praticata da Gianluca Nicoletti è cabalistica, non si discute. D'altronde le sonorità epiche ricordano un'antica Praga in cui per tanto tempo, dopo notti di violenza da corpo senz'anima, il Golem restò chiuso nella soffitta della sinagoga. Oggi, però, esce di nuovo fuori, si rimette a camminare, insomma risorge. E lo fa grazie a lui, a Nicoletti, che lo porta in piazza per ricordare la rozzezza, la brutalità, l'aggressività ottusa, insomma, detto con una parola molto alla moda nelle periferie di Roma nord, la burinaggine di un corpaccione modello Frankenstein. E quando un Golem risorge è un bel problema, perché tutto e tutti travolge. E davanti a tanta tracotanza, di fronte all'oscena superiorità del peso corporeo sulla leggerezza, cosa può fare un uomo? Semplice, può impratichirsi nell'arte sublime di sollevar donne: ed è quello che il giornalista fa, città per città, prendendo sulle spalle esseri umani di sesso femminile accompagnato dal gruppo musicale cabalistico "Der Golem".

Ecco, spiegata così la disciplina sembra un gesto paradossale, un atto puramente ironico. Ma, soprattutto a sentir parlare le donne sollevate, è qualcosa di più. Intanto è meglio sgombrare il campo da qualsiasi allusione di tipo erotico: non c'è palpeggiamento nell'atto della sollevazione tanto che Nicoletti ha appreso da maestri esperti una tecnica precisa. La donna viene presa per il polso, un osso di per sé molto utile allo sviluppo della tecnica di gesticolazione napoletana, ma poco adatto a pratiche sessuali. L'unica zona a poggiare sull'omero del giornalista sollevatore è l'omero femminile, "osso contro osso", ci tiene a precisare, in un'assenza totale di stuzzicamenti erogeni. Insomma, la sollevazione non è il preludio all'adulterio, non ha l'obiettivo di creare con la donna alcun tipo di intimità. Tanto che la femmina, dopo aver volteggiato per un attimo, stabilisce un patto con l'uomo: non si parleranno più. Il gesto resterà solo un atto momentaneo, fulmineo, non ci saranno sguardi complici.
Dopotutto Nicoletti si definisce fautore del pensiero sovrascrivibile, non potrebbe per questo sopportare la pesantezza di una memoria, di uno scambio che stabilisca una continuità. Tutto è leggero, il pensiero per primo. L'arte della sollevazione, quindi, finisce per essere un manifesto filosofico, altro che pensiero debole! Il pensiero è come la memoria tracciata sui cd, si può cambiare idea, mescolare, superare, cancellare e riscrivere, non c'è legame se non nell'oblio, nell'atto della dimenticanza. Il valore del pensiero sovrascrivibile è, quindi, anche politico: quale appartenenza, quale militanza potrebbe aver valore nella costante dinamica del cambiamento e della riscrittura? Nessuna. Politicamente la sollevazione della donna è un atto rivoluzionario, persino più ribelle di un Sessantotto così ideologico, reo di aver stabilito una visione manichea del mondo. Nella disciplina sollevatoria, invece, non c'è manicheismo: per un istante, e solo per la brevità di quell'attimo, uomo e donna si confondono nel piacere tutto simbolico del gesto. Ma non è finita qui, c'è un'altra ragione per cui la sollevazione è rivoluzionaria. Libera le donne dalla schiavitù del peso corporeo. Proprio ora, durante un Luglio afoso il cui clima e umidità sono aggravate inesorabilmente dal terrore della prova bikini, la femmina sollevata può accedere alla liberazione. Sempre preoccupata dalla misura abbondante di un seno che straborda da ogni pizzo e merletto, costantemente afflitta dalla bilancia e dal desiderio di perdere kili, etti, persino grammi se sono quelli mal piazzati su una maniglia dell'amore, la femmina contemporanea può trarre un respiro di sollievo. E volteggiare, privata dell'ancoraggio al terreno e alla concretezza della quotidianità, sulle spalle di un uomo che, seppur mingherlino, presta se stesso e la propria forza alla riconquista della leggiadria femminile. Per questo motivo, come ammette lo stesso Nicoletti, spesso le sollevazioni più riuscite riguardano donne pesanti.
Ad esempio una tra le prime femmine che provarono il piacere di svolazzare sull'omero maschile fu una donna che dichiarò novanta chili di peso. La donna, però, mentì. «Ma fu una menzogna d'amore», assicura Nicoletti, il quale, dopo il gesto, fu costretto a casa dallo schiacciamento di una vertebra. L'inconveniente, però, non è diventato il motivo per cui abbandonare la disciplina. Anzi. L'abbandono, in fondo, sarebbe stato un segno di debolezza, la negazione stessa del valore altruista e del tutto gratuito della sollevazione. Per questo, dal quel giorno, la tecnica si è affinata, la presa è migliorata, la sollevazione è diventata un gesto atletico, ammirevole persino. Gratuità, quindi, leggerezza, pensiero sovrascrivibile rendono la sollevazione un gesto dal valore sociale. C'è, però, di più. C'è la fantasia, la liberazione, seppur momentanea, dalle preoccupazioni terrene. Gianluca Nicoletti questo aspetto ce l'ha ben presente, tanto che non rivolge a tutte la fatidica domanda: «Vuole essere sollevata?». Il quesito, intanto, è sempre declinato in terza persona singolare, non solo per una questione d'educazione, ma perché la richiesta è rivolta a donne sconosciute, con le quali non preesiste una rapporto di confidenza. La donna, poi, è libera, ovviamente, di accettare oppure di declinare l'invito. Compiere la scelta racconta molto della sua personalità, anzi, dice persino di più di un accurato oroscopo di Branko, così amato dall'altra metà del cielo. Dire "si, lo voglio" significa mettere a nudo una parte di sé, la più giocosa, la più leggiadra. La donna che acconsente e privilegia la sollevazione all'ancoraggio terreno dimostra di possedere ironia, sorriso, creatività. Perché, senza girarci troppo intorno, senza prodigarsi in elaborate riflessioni cervellotiche, è disposta a staccare i piedi dal suolo.
Non tutte accettano, anzi. Alcune si sentono quasi offese, come se lo status così faticosamente acquisito di madre, moglie, professionista, angelo del focolare e manager, fosse in un certo senso violato da un'ironia viscerale che scompone la postura e scompiglia i capelli. Le femministe, infatti, si sono lamentate: «Sollevi donne come fossero sacchi di patate!». Che peccato, care femministe, aver perso l'occasione di dimostrarsi per un attimo sorridenti, serene, libere dagli stereotipi. A ben guardare, infatti, non sfugge l'altruismo del gesto che non deve essere contraccambiato, non impone alla femmina lo scambio al quale è spesso tristemente abituata oppure al quale si sottopone per dovere, per essere quell'essere perfetto cui sempre tende ma che mai davvero sarà. Ecco, la sollevazione è sublime non solo perché emblema del pensiero sovrascrivibile, ma perché è profondamente anticonvenzionale. Le femministe, invece, abituate alla logica della contrapposizione, al linguaggio della battaglia e dello scontro, non capiscano fino in fondo il valore liberatorio di un atto così semplice, immediato, allegro senza essere sguaiato. Ormai è chiaro: altro che manifestazioni, altro che sit in, altro che banchetti modello Pannella. La contemporaneità ha finalmente trovato una forma espressiva: la sollevazione che, per definizione, non sarà mai rituale, mai liturgica, non perderà mai di senso. A patto che sia fulminea e che una volta compiuta la donna si domandi: «Nicoletti, chi è costui?».
Federica
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