Articolo di Luigi G. de Anna
Dal Secolo d'Italia di giovedì 5 agosto 2010
Può sembrare un po' melodrammatico dirlo così, ma 70 anni fa, il 5 agosto, nasceva in Oltrarno, nel popolare quartiere di San Frediano a Firenze, lo storico Franco Cardini. Nasce sotto il segno del Leone e questo segno regale ed impulsivo lo condizionerà per tutta la vita.
Nel panorama dell'intellettualità italiana, Franco Cardini occupa un posto tutto suo. Culturalmente si forma inizialmente nell'ambito del cattolicesimo. Come egli stesso ha raccontato nei ricordi sparsi tra libri e articoli, frequenta la parrocchia vicino via dei Serragli, dove abitavano i genitori. Me li ricordo bene. Il sor Gino era un uomo corpulento, molto gioviale, che mi fu inizialmente noto perché era uno di pochissimi che dava ai nostri giornaletti la pubblicità. "Gino Cardini, pellicciaio". Era dunque uno di quegli abili artigiani che da secoli riempivano le strade e i vicoli d'Oltrarno, un personaggio, mi pareva, alla Vasco Pratolini. La madre era una signora minuta e gentile. Avevano una grande casa e quando Franco mi preparò per la maturità dandomi qualche lezione di italiano, ci portava, silenziosa, il caffè. In italiano andavo comunque bene, ma quelle lezioni mi piacevano molto. Alcune sue definizioni mi sono rimaste impresse, anche se non sono sicuro di averne compreso appieno il significato. Ma le passo a mia volta ancora, con nonchalance, ai miei studenti. «Una poesia è frammentaria», diceva Franco riferendosi ad un sonetto di Foscolo, «ma un vaso rotto è in frammenti». Mi ha insegnato anche molte altre cose, sempre nel campo della metodologia. Parlo di minuzie, ma le altre cose, quelle profonde dell'ideologia che ci ha uniti per cinquanta anni, in parte le sviluppammo assieme. Noi fiorentini, compresi quelli di adozione come me, avevamo un maestro: Attilio Mordini. Nei suoi scritti Cardini lo ricorda, con l'ovvio rispetto che merita, anche se poi ha aggiunto alla lista dei suoi maestri altri nomi, alcuni di intellettuali di sinistra. Non credo di fargli torto se dico che, certo è vero, una persona di enorme erudizione come è lui, conosce bene i maitre à penser del marxismo e dintorni, ma non nacque, ideologicamente, su questi, che semmai gli servirono o gli servono per avere quella visione del mondo che giustamente fa di lui il primo degli intellettuali italiani trasversali. Cardini nasce culturalmente su quei non molti testi che potevamo reperire negli anni Cinquanta e Sessanta. Dovrei dire "i soliti", e non è necessario che ne faccia qui l'elenco. Un ruolo particolare lo esercitarono però i francesi, soprattutto Pierre Drieu la Rochelle. Il motivo è molto semplice: in lui Cardini coglieva il momento di passaggio tra il fascismo che stava per spegnersi in quel tragico 1945 e la sua continuazione sotto altre forme, il comunismo. Non vorrei scandalizzare nessuno, ma indubbiamente lo steccato che fu eretto per ragioni "atlantiche" nel primo dopoguerra tra destra e sinistra, se corrispondeva alla crudele conseguenza della guerra civile, tradiva però quel senso di continuità ideologica che, appunto, Drieu traccia nei suoi ultimi scritti. Quel fascismo "immenso e rosso" resterà nel nostro immaginario di giovani missini come il segno di quella che poi sarà la nostra più tarda "eresia" di Giovani Europei. E anche l'essere eresiarca era una eredità di Drieu, alla quale Cardini è rimasto fedele. Leggemmo con passione Gilles, e quel momento in cui in Place de La Concorde il protagonista del romanzo di Drieu vede unirsi i dimostranti fascisti con quelli comunisti segnò per alcuni di noi amici fiorentini (ma non tutti) il momento di una uguale saldatura che pensavamo stesse avvenendo nel Sessantotto. Durò poco, e l'odio rinato dalle ceneri di una Resistenza che non aveva più ragione di essere, travolse anche noi.
In quegli anni Cardini lavora già all'università, come assistente di storia medievale. A questa disciplina era predestinato. Nella formazione della destra, o meglio di "quella" destra, l'immagine del medioevo, nutrita da Gioacchino Volpe, ma soprattutto Johan Huizinga, era fondamentale. Assistevamo rapiti, per l'ennesima volta, nel nostro cineclub alla proiezione de La fontana della vergine di Ingmar Bergman, e quel Max von Sydow nei panni del cavaliere che si arma ritualmente di spada dopo essersi purificato nella sauna per compiere la sua vendetta ci pareva il simbolo della nostra "vendetta" nei confronti di una società e di una cultura che ci aveva emarginato come "diversi". Io credo che Franco abbia per decenni sofferto per la sua "diversità". La sua ricerca, a volte eccessiva, di contatti, amicizie, collaborazioni, con la parte "nemica" deriva da questo marchio di non essere ideologicamente in linea, il cui peso può capire solo chi è vissuto tra anni Cinquanta e Sessanta in una società intellettuale in cui l'essere di estrema destra non suscitava che disprezzo. Al disprezzo della sinistra i nostri fratelli maggiori e i nostri padri avevano reagito combattendo nella Rsi; a noi mancò quella possibilità. Non ci restavano che alcune, poche riviste, gli scontri di piazza (ma non ho mai visto Cardini comportarsi da violento) e l'amicizia di alcuni rappresentanti della sinistra in quella straordinaria città della disarmonia politica che era Firenze. Franco fu fraterno amico di Giovanni Francovich, prematuramente scomparso, e del fratello Riccardo, pure troppo presto scomparso, autorevoli rappresentanti della sinistra giovanile fiorentina. Fu portato alla cattedra universitaria da quel galantuomo che era Giorgio Spini, antifascista e azionista, ed è stato spesso difeso dai velenosi attacchi di una certa sinistra accademica "torinese"da quell'altro galantuomo che è Umberto Eco. Cardini ha scritto molto, moltissimo. La sua bibliografia è semplicemente sterminata. La sua erudizione mostruosa. La sua capacità di lavoro incomprensibile se pensiamo alla mole di impegni, di incarichi, di iniziative cui partecipa. Vive più in treno che a casa. Una modesta casa fiorentina. Il disprezzo di Cardini per il denaro è leggendario. Non solo di quello dei capitalisti, e la finanza internazionale da rapina è oggi uno dei temi che più tratta, ma anche del suo. Del resto vive francescanamente e S. Francesco è il Santo su cui molto ha scritto. Avrebbe potuto salire su tanti carrozzoni della politica. Avrebbe potuto entrare in Parlamento quando voleva, se solo avesse concesso qualcosa ai suoi committenti. Ma non lo ha mai fatto. Non ha mai fatto compromessi e la politica non l'ha avuto. Mi ricorda un altro caro amico, Marco Tangheroni, purtroppo scomparso alcuni anni fa, pure lui medievista e legato a Franco da un fraterno sodalizio. Anni fa si presentò, spinto da An, candidato a sindaco di Pisa. Ne vidi una intervista. Si augurava che vincesse il suo avversario. Gesto stupendamente cavalleresco. E Cavaliere, nonché studioso della cavalleria, anche Cardini lo è sempre stato. Gli anni passano, e ci vediamo sempre più raramente. Ma il tempo per chi ama studiarlo nella sua dimensione storica, non passa mai. Buon compleanno, giovane europeo settantenne.
Luigi G. deAnna
Nessun commento:
Posta un commento