Da Area, numero mensile di settembre 2010
Che il domani appartenga a noi è tutto da verificare, ma una cosa è certa: gli anni dell’accerchiamento antifascista sono finiti (salvo qualche residuale nostalgico degli anni di piombo) e la “battaglia” per l’egemonia culturale si “combatte” hic et nunc, qui e ora. Né avanguardie né retroguardie, ma uomini (e donne) a proprio agio e senza timidezze nel presente, che si misurano nel confronto sui problemi. Con proposte talmente concrete – come il mutuo sociale – da apparire provocatorie. Spiazzanti, per coloro che vorrebbero togliere ai “fascisti” anche il diritto di parola.
Condannarli a uno stereotipo com'è accaduto durante la campagna elettorale per il Comune di Roma, ha visto la vittoria di Gianni Alemanno malgrado il fuoco di fila dei soliti slogan triti e ritriti su squadrismo e "marcia su Roma". In quel caso, infatti, «il richiamo all'antifascismo militante, alla paura dell'uomo nero, non ha funzionato» spiega Marcello de Angelis, «gli elettori hanno scelto in modo libero, emancipandosi dalle ideologie e dai vecchi schemi postbellici e precostituiti».
C’è tutto un mondo – soprattutto giovanile – di movimenti vitali e impermeabili alla normalizzazione bipolare. Capace di produrre politica e raccogliere consenso. Coltivando le più diverse forme espressive: dalla fanzine alla letteratura, dal turbodinamismo al rock identitario, dalla tradizionale manifestazione di piazza alla mobilitazione per il terremoto in Abruzzo. Storie e percorsi spesso eterogenei, ma con un minimo comune denominatore: «Impegnàti – dà atto Antolini – a spostare in avanti i confini del dibattito culturale del paese».
Sì, perché la destra “non conforme” – troppo a lungo (auto?)ghettizzata – è uscita Fuori dal cerchio, come certifica già nel titolo l’ottimo saggio-reportage di Nicola Antolini (Elliot, pp. 382, € 18,50), da poche settimane in libreria. A essere fuorviante, semmai, è il sottotitolo scelto, forse per esigenze editoriali: Viaggio nella destra radicale italiana. Una categoria irrimediabilmente superata, quest’ultima. L’ha ricordato Luciano Lanna sul Secolo d’Italia: coniata dal politologo Talcott Parsons e introdotta in Italia nel ’75 da Giorgio Galli, esprime(va) una specifica tipologia di estrema destra, caratterizzata «da un’attenzione per la mitologia, dalla valorizzazione della religione, da una limitata considerazione della filosofia moderna, dall’emarginazione del diritto garantista, da una concezione dell’economia e della tecnologia strumentale rispetto all'affermazione dell’autorità e della gerarchia sociale». Il tutto in una cornice di rifiuto, se non contrapposizione frontale, con la modernità. Niente di più estraneo con realtà come CasaPound, che hanno fatto del dialogo su temi quali l’aborto, le coppie di fatto e la laicità dello Stato – orizzonti post-ideologici lontani anni luce rispetto alle suggestioni care ai gruppi di destra radicale – la propria stella polare. Non è certo un caso, del resto, che tale definizione sia stata rifiutata dai protagonisti ai quali lo studioso modenese (con un passato nel Pci) ha dato voce e spazio nel libro. CasaPound, ad esempio, si colloca all’estremo centro alto. Se estremo è il richiamo all’azione e alto indica il riferimento a una dimensione etica e estetica della politica, il centro esprime la determinazione a stare «dove accadono realmente le cose». Senza incedere in quello che Miro Renzaglia definisce «il complesso delle Termopili», la superiorità morale della sconfitta nel sacrificio dei trecento spartani. «Un Alcazar assediato – spiega il fondatore e direttore del magazine online il Fondo – che si trasforma nella Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari. Tu ti svuoti nell’attesa e nella preparazione della difesa, mentre il nemico parla, commercia, inventa nuove storie e nuove liturgie ipnotiche di massa». Nemico che oggi non è più il comunismo. «L’anticomunismo – argomenta Gianluca Iannone – non ha più ragione di essere, come non ha più ragione di essere l’antifascismo». Un’identità positiva non si costruisce sulle negazioni. Ne è passata d’acqua sotto ai ponti dagli anni in cui – come ricorda Gabriele Marconi – «i compagni ci usavano come tiro al bersaglio». A rompere il tabù, ancora una volta, è stata Casapound con un’iniziativa “pacificatrice” criticata a destra e a sinistra: invitare l’ex brigatista Valerio Morucci nello stabile romano di Via Napoleone, (la prima, nel dicembre 2006, delle Osa, occupazioni a scopo abitativo).
I nemici, adesso, sono altri: il conformismo, il modello culturale che riduce il cittadino a consumatore, ma anche l’autoritarismo strisciante che mina i diritti fondamentali della nostra società. La sinistra, al riguardo, s’è fatta reazionaria. «Un tempo – sottolinea Iannone – avevano come motti “vietato vietare”, “immaginazione al potere” e “una risata vi seppellirà”. Erano slogan pieni di vita, di provocazione intellettuale, di forza. Oggi c’è una sinistra grigia che propone il divieto continuo». Si apre una prateria per una destra libertaria, che non voglia attardarsi a solleticare la pancia dei moderati replicando le solite litanie low & order. «Sono stato massacrato per decenni in quanto militante neofascista – chiosa Renzaglia – e proprio io mi dovrei accodare alle richieste di restrizione dei diritti, per esempio quelli dei gay?».
«L’esistenza di una destra che se la piglia con l’omofobia invece che con i gay e con i divieti invece che con la libertà dovrebbe far piacere a qualsiasi persona ragionevole», ha scritto Andrea Colombo nel recensire “da sinistra” il lavoro di Antolini. Preparandosi a essere rampognato dai suoi: «Sì, perchè l’integralismo è una brutta bestia».
Roberto Alfatti Appetiti
1 commento:
L'integralismo è una brutta bestia, Rob e credo che su questo siamo d'accordo. Però in Italia vige ancora ferrea la regola del DUE PESI DUE MISURE. Infatti mentre un integralista di destra viene subito additato come pericoloso criminale, lo stesso non accade per un integralista di sinistra, il quale verrà dipinto come un simpatico rivoluzionario magari un pò chic. L'altro, al contrario, per le sue idee seppure integraliste e quindi non consone ad un dialogo tra pari, sarà ancora avvicinato storicamente agli orrori del nazismo. Quindi in parole povere: dialogo aperto a tutto campo, ma su indispensabili condizioni di parità, senza che alcuno si senta autorizzato a rilasciare patentini di democraticità doc. Invece che "aut aut" nelle idee preferisco gli "et et". Forse, senza nulla rimpiangere e rinnegare del mio passato missino, sono diventato anche io libertario (fuor di tempo però nel cuore mi sento ancora un missino di sinistra).
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