venerdì 17 settembre 2010

Dal "Borghese" al femminismo: in un libro la storia di Adele Cambria, giornalista ribelle (di Luciano Lanna)

Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di venerdì 17 settembre 2010
In tempi in cui il giornalismo tende a presentarsi come la prosecuzione dello scontro (senza esclusione di colpi) tra schieramenti bipolari con altri mezzi, e quasi una guerra civile obbligata a suon di demonizzazione dell'altra parte e ricorso alla vecchia logica del dossieraggio, ci appare quantomeno obbligatorio mettere in evidenza il ruolo svolto nei processi di cambiamento e modernizzazione della nostra società da tutta un'altra vocazione e un'altra modalità di concepire e testimoniare la professione giornalistica. Come fa ad esempio Adele Cambria nel suo ultimo libro - Nove dimissioni e mezzo. Le guerre quotidiane di una giornalista ribelle (Donzelli, pp. 281, € 17,50) - raccontando attraverso un lungo flash-back la testimonianza civile di una donna che ha attraversato da protagonista dell'informazione e del dibattito pubblico gli ultimi cinquant'anni della nostra vicenda pubblica.  
«Io non conoscevo nessuno, non appartenevo a nessuno, avevo soltanto voglia di aggredire le cose, sventrarle e dirle, scriverle», racconta la Cambria rievocando quando aveva vent'anni e viveva in Calabria. Per poi aggiungere: «Io sono stata soprattutto una cronista e se ho eletto Simone de Beauvoir come guida è perché, leggendo i suoi Cahiers de jeunesse, ho scoperto e amato la fragilità della donna, piuttosto che la sua autorevolezza intellettuale». Adele, infatti, nella sua Reggio Calabria, scopriva tutti i giorni che il fatto di essere donna la incatenava: «La mia lotta, al principio di ogni anno scolastico, era stata - confessa - quella per continuare a studiare... avevo scelto giurisprudenza invece che lettere per una ragione strategica: studiando lettere non avrei avuto la possibilità di fuggire da Reggio, come desideravo ardentemente, per andare a Roma a fare la giornalista. Con la laurea in lettere sarei rimasta nella mia città, supplente pendolare verso i paesi dello Jonio o del Tirreno, avrei sposato un bravo ragazzo di Reggio, fatto figli e addio giornalismo!». E invece nell'autunno del 1953 parte per Roma con la scusa di un concorso pubblico. «Signorina di buona famiglia, calabrese, in cerca di evasione», l'avrebbe definita, qualche anno dopo, il giornalista Tarquinio Majorino su un rotocalco d'allora, Settimo giorno. E invece iniziò proprio allora la sua battaglia per entrare nella professione che in qualche modo coincide con l'inizio della presa di coscienza delle donne nell'Italia del secondo dopoguerra. Per cominciare s'imbatte in un lavoro "quasi giornalistico": segretaria di redazione dell'agenzia Sib, ovvero Servizio informazioni brevi: «Scoprii dopo un paio di mesi - ricorda adesso - che era una sorta di ufficio stampa personale di Mario Scelba, divenuto presidente del Consiglio nel febbraio 1954. I democristiani per me erano ancora gente qualsiasi, non mi interessavano, non mi riguardavano, avevo anzi votato Dc al mio primo voto, il 7 maggio del 1953, per fare piacere a mio padre, il sognatore borbonico a cui mi preparavo a dare tanti dispiaceri...». Poi la Cambria cerca di fare il salto. Scrive degli articoli e decide di andare a proporli alle giornaliste: solo alle donne.
Ed è interessante il suo percorso che smentisce lo schema ideologico su un'Italia del dopoguerra fatta di popoli separati e di steccati rigidi e invalicabili. Adele inizia il suo tour da Irene Brin, la famosa giornalista che aveva esordito su Omnibus di Leo Longanesi. E proseguendo i colloqui convincerà Gianna Preda, la penna più sferzante del Borghese, a far pubblicare il suo articolo "le ragazze col Cantù" proprio sul settimanale "di destra" nell'estate del 1955.
«Gianna Preda - leggiamo - afferrò le tre cartelle senza una parola, ma si mise subito a leggerle. Poi rialzò la testa, e mi accorsi che era guercia di un occhio, e annunciò: "Bellissimo, chiamo Leo...". Leo era Longanesi. L'articolo fu pubblicato sul numero successivo della rivista. E ricevetti un assegno di 15mila lire. Sono stati tre i miei pezzi usciti sul Borghese...». Poi Adele non vide più la Preda: «Una volta sola mi telefonò per segnalarmi un libro, Il Dio che ha fallito... Non lo lessi». E dopo oltre cinquant'anni la Cambria ammette: «Per decenni non ho mai rivelato la sua generosità nei miei confronti. Perché mi vergognavo di lei, e non dissi che era l'unica giornalista che mi aveva aiutata quando nessun'altra lo faceva. Mi dicevano che era stata repubblichina, quando il fascismo cadde in digrazia, lei che non lo era, diventà fascista "per una forma di civetteria selvaggia"...».
Quell'articolo fece comunque esaurire tutte le copie del settimanale di destra in Calabria. E non troppo tempo dopo per la Cambria arriva la proposta di assunzione per un nuovo quotidiano, Il Giorno, che sarebbe arrivato in edicola il 21 aprile 1956. Quello l'inizio di una carriera che proseguirà con Il Mondo, Paese Sera, La Stampa, Il Messaggero, L'espresso, L'Europeo, l'Unità oltre alle riviste femministe come Effe... Una storia di giornalismo passata da una dimissione all'altra, talora cercata, talora subìta. Addirittura, nel febbraio 1960, la Cambria dopo le sue dimissioni dal Giorno viene assunta da Ugo Zatterin per il nuovo quotidiano Telesera: «Non sospettavo - ammette ora - ciò che a luglio sarebbe diventato chiarissimo ai miei occhi: e cioè che Telesera era nato per sostenere il governo Tambroni...». E pensare che Adele Cambria, il 22 maggio 1972, sarà processata per direttissima come direttore responsabile del quotidiano Lotta Continua, dove Adriano Sofri fondatore e leader dell'omonimo gruppo nato dalla contestazione aveva espresso un giudizio, poi incriminato, sull'uccisione di Calabresi. Eppure su quel giornale avevano scritto: «Adele Cambria lascia la direzione. Ringraziandola pubblicamente vogliamo dire che è una persona coraggiosa, onesta, costantemente impegnata a capire e a fare quello che è giusto. Politicamente, è molto lontana da noi. Ma il nostro rapporto con lei ci è servito, e ci serve, a imparare da lei, a non burocratizzare le nostre idee...».
Di più: nel 1970 la calabrese Cambria si reca nella sua città d'origine quando esplode la rivolta di Reggio: «Non mi convinceva - ricorda - la crescente connotazione della rivolta con l'uso dell'epiteto fascista quando il Msi nel consiglio comunale di Reggio aveva appena tre consiglieri su 33...». E lì lei, il 17 settembre, registra la notizia del mandato di cattura «per istigazione a delinquere» del sindacalista della Cisnal Ciccio Franco, che in effetti, per dirla con Adriano Sofri, «fu il primo fascista ad approfittare del regalo che il Pci aveva fatto a Giorgio Almirante, condannando i fatti di Reggio».
Pochi giorni dopo Adele si dimette dall'Europeo: non avevano voluto pubblicare il racconto del suo colloquio con Sofri a Reggio Calabria.
Leggendo Nove dimissioni e mezzo ci sono tutte le battaglie civili degli anni Settanta: la questione femminile, il divorzio, il caso Moro... E tante donne: Brigitte Bardot, Jane Fonda, Germaine Greer, Elsa de' Giorgi, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, la grande scrittrice irregolare per la quale Adele lanciò una campagna per farle ottenere i benefici della legge Bacchelli... «Il vero scandalo - scrisse - è che finiscano emarginate figure come la Ortese...». E guardando all'oggi la Cambria non può che prendere atto del disorientamento e del rimescolamento ormai d'obbligo. Come fa di fronte al fatto, ad esempio, «che la ragionevolezza, il buon senso, quello che Gramsci definiva senso comune, che dovrebbero improntare le decisioni sull'assetto urbanistico della città, sembrano essere diventate virtù dell'altra parte politica...».
Luciano Lanna

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