venerdì 8 ottobre 2010

Boris Vian: era "fascista" quel libertario con la tromba? (di Massimo Carletti)

Articolo di Massimo Carletti
Dal Secolo d'Italia di venerdì 8 ottobre 2010
Poco dopo la liberazione di Parigi il filosofo Jean-Paul Sartre, in un articolo pubblicato su settimanale comunista Les letres francaise, affermava: «Non siamo mai stati così liberi come sotto l'occupazione tedesca...». Più tardi tornava a ribadire come la prima metà degli anni Quaranta erano probabilmente stati fra i più spensierati e "frivoli" della sua vita. In quel periodo la capitale francese era tutta una festa. Nonostante l'occupazione, o forse a causa di essa, i parigini si davano alla pazza gioia e mai come in quegli anni ci si era tanto amati a Parigi, in un'esplosione di erotismo sia fisico sia mentale.
Era gli anni gloriosi, e dureranno ancora per un decennio, di Saint-Germain des Pres. E il personaggio che ne crea il mito è un giovane sconosciuto, povero ma con più mestieri. «È bello, bello di pallore, con un'aria sognante, ma con il sorriso feroce. Biondo, ha sempre con sé una tromba. È Boris Vian».
Nato il 10 marzo 1920 - novant'anni fa - a Ville d'Avray, impara a leggere a cinque anni e a nove ha già spazzolato con gli occhi buona parte della letteratura francese presente nella biblioteca di casa. Suona la chitarra e a dieci anni, con i fratelli Lelio e Alain mette su una prima orchestrina. A dodici anni si ammala di una febbre tifoide che gli lascia il cuore danneggiato, e non molto tempo dopo scopre la tromba e il jazz. A scuola «va benino ma neppure benissimo», prende il diploma superiore con una votazione media e decide di iscriversi alla scuola superiore per le arti e i mestieri. È così che diciottenne si reca a Parigi. Qui, assieme al fratello Alain che suona in una banda jazz piuttosto importante, inizia ad occuparsi della programmazione musicale del Tabou, un locale notturno dove si suona ovviamente musica jazz e dove Vian inventa spettacoli di cabaret e serate a tema, lanciando la moda delle caves. Il minuscolo e fumoso locale diviene il suo tempio e dell'intera generazione esistenzialista. Vian vi riceveva l'intelligentzja francese al completo, ma anche la star americane di passaggio e vi trascorreva regolarmente le notti con Magali Noel, Christian Dior, Roger Vadim e una presenza fissa ancora sconosciuta, Juliette Greco. Non ultimi Sartre e la sua compagna Simone de Beauvoir e soprattutto Raymond Queneau che di Vian diverrà amico, mentore e protettore. Nel frattempo, nel '42, Vian era entrato all'AFNOR, tipico ente inutile per la normalizzazione degli oggetti industriali. Per reagire alla noia del lavoro assurdo, Vian comincia a scrivere in ufficio il suo primo romanzo Vercoquin et le Plancton. Lo scritto piace a Queneau il quale lo fa pubblicare dalla Gallimard. Nel '46 entra in un altro ente inutile, l'ufficio professionale delle industrie e del commercio di carta e cartone. Redige progetti inutili e inoffensive relazioni e nei lunghi intervalli conclude il suo secondo romanzo L'ecume des jours ("La schiuma dei giorni"). Il romanzo doveva essere premiato dalla casa editrice col premio riservato a un manoscritto inedito, ma la giuria del Prix de la Pléiade decise diversamente. Il potere letterario a quei tempi era la "Nouvelle Revue Francaise", controllata durante la guerra da Drieu La Rochelle, e ora nelle mani di Paulham, l'uomo che proprio da una piccola stanza della NRF teneva le fila della resistenza. Ed è proprio Jean Paulham a guidare la cordata contro Vina, conferendo il premio a una raccolta di poesie dell'abate Jean Grosjean, di cui nessuno ha più memoria. Ma perchè "l'eroe" della resistenza parigina si pronunciò così accanitamente contro Vian?
In quegli anni il clima politico e culturale stava cambiando e Vian è un vero irregolare apolitico, costretto a definirsi si dichiara anarchico o libertario. La sua idea di letteratura è al polo opposto di quella letteratura ideologica che già veniva affermandosi. Nella breve prefazione al romanzo scrive: «... le poche pagine che seguono traggono tutta la loro forza dal fatto che la storia è interamente vera, poiché io l'ho immaginata da un capo all'altro». Nei circoli che contano a prevalere era piuttosto la convinzione che si dovesse assolutamente trovare un senso alla storia e che questo senso fosse dettato dall'ideologia politica. Paulhan, vera eminenza grigia di Gallimard e grande fabbricante di destini letterari, non poteva avallare il successo di un autore come Vian il quale notave come le masse sembra stiano sempre dalla parte del torto e gli individui abbiano sempre ragione. Niete di meno consono insomma alla nuova epoca dell'engagement e dell'ortodossia. Queneau dirà che La schiuma dei giorni «è il più straziante dei romanzi d'amore contemporanei». Certamente è senz'altro il libro più tragico concepito in quegli anni. La schiuma dei giorni mette in scena una Parigi che sta tra il mondo meraviglioso e la metropoli ossessiva. Il protagonista Colin, giovane, bello e ricco, incontra in Chloé la vera felicità e Chloé è la canzone arrangiata da Duke Ellington che fa da colonna sonora. È l'amore assoluto che salva, che purifica tutto. Ma il sogno presto si frantuma. Una ninfea si insedia nel polmone della ragazza uccidendola, e per Colin, che ha dissipato tutta la sua ricchezza nel tentativo disperato di curarla con i fiori, sarà la rovina.
È il romanzo della sconfitta dell'amore di fronte ai colpi del destino. Per Daniel Pennac, Vian nel romanzo esprime la volontà di andare contro corrente attraverso l'opposizione tra gli affetti e la costrizione del sociale, indirizzando la sua polemica contro i diktat culturali e le scuole letterarie. La Gallimard non pubblica il romanzo e Vian rilancia proprio la sfida che il mondo letterario e editoriale non tollera. Rifiuta di mettersi in fila ossequiosamente per rendere omaggio ai riti della società letteraria, cercando di spezzare i fili rossi non troppo invisibili che legavano ormai letteratura e politica. Manda lettere irriverenti a Gaston Gallimard, e scrive versi graffianti contro Paulhan, tanto per far capire che non si sottopone alle regole del clan. Quando Les Temps Modernes gli affida una rubrica intitolata "Chroniques du Menteur", Boris immagina di uccidere il leader comunista Marcel Cachin e, viene accusato di fascismo. Più tardi rifà il verso agli articoli di Sartre dall'America (e il suo scritto sarà semplicemente escluso dalla rivista), prende in giro Breton, e propone di affidare in un film futuro la parte di ragazza perduta a François Mauriac e il ruolo di donna dei gabinetti a Paul Claudel. Ma è tutta la sua figura di suonatore di jazz, di protagonista della vita notturna, di provocatore di scandali, di funambolo della scrittura, a non quadrare con lo stile dello scrittore serio e serioso che prevale in Francia. Soltanto Queneau e poi Jean Cocteau non avranno pregiudizi verso di lui. Ma la sfida maggiore di Vian arriva con il romanzo successivo. Nel 1946, respinto da Gallimard, Vian accetta di scrivere in quindici giorni un romanzo per l'editore d'assalto D'Alluin, titolare della casa Le Scorpion. È Sputerò sulle vostre tombe, un falso romanzo che scrive sotto lo pseudonimo di Vernon Sullivan. Il protagonista, Lee Anderson, è un nero dalla pelle bianca che nasconde il segreto di un fratello nero dalla pelle nera ucciso per razzismo. Ed è proprio per vendicare il fratello che Lee seduce due bellissime sorelle, le Asquith, bianche, ricche, inavvicinabili e profondamente razziste. Il racconto è agile, teso, irrequieto, carico di scene di erotismo, alcolismo e perversità di vario genere. E il tutto è descritto con un linguaggio estremamente immediato ed esplicito. È un successo e vanno a ruba in pochi giorni oltre centomila copie. A lungo Boris Vian mantenne il segreto sull'identità dell'autore, ma presto esso divenne un segreto sospetto se non trasparente. All'establishment letterario non piacquero né questo raggiro di stampo futurista, né il tema e lo stile del libro. Censurato per oscenità, sottoposto a processo per iniziativa del fanatico direttore di un'associazione puritana, condannato a una multa di centomila franchi, Sputerò sulle vostre tombe ebbe la disapprovazione generale. Ma gli umori, nascosti o no, di gran parte dei letterati francesi sono quelli che la compagna di Louis Aragon, la scrittrice comunista Elsa Triolet, manifesterà poi apertamente dicendo di avere verso Boris Vian «una solida antipatia a causa dell'ignominia dei suoi sputi...». La Gallimard, che rinvia ancora la pubblicazione del primo libro Vercoquin et le plancton, approfitta delle polemiche per bocciare definitivamente il nuovo romanzo proposto da Vian, L'Automne à Pekin.
La stessa sorte toccherà agli altri manoscritti di Vian, all'Arrache-coeur, che racconta l'amore asfissiante di una madre per i suoi figli e all'Herbe rouge, dove il protagonista per sopravvivere inventa una macchina per dimenticare e dove profeticamente si disegna già il disorientamento maschile dinanzi all'esclusione che le donne fanno dell'altro sesso. Gallimard li rifiuterà entrambi e Vian sarà spinto sempre di più verso contratti con editori marginali. Anche Sartre lo tradisce portandogli via la moglie, ma qui era in vantaggio, avendo a suo tempo sedotto la de Beauvoir. Si consola con la bella ballerina Ursula Kubler e dedicandosi alla sua grande passione, la musica dove riversa tutta la sua malinconia e la sua rivolta anarchica. La sua canzone più famosa è infatti, Le Déserteur, dove un coscritto scrive al presidente della repubblica per rifiutarsi di andare in guerra perché «je ne suis pas sur terre pour tuer des pauvres gens». La canterà lui stesso in provincia improvvisandosi chansonnier e incontrando l'ostilità minacciosa di ex combattenti che si ritengono offesi. Ne scriverà 400 di canzoni. Tra il '55 e il '56 pubblica gli ultimi suoi romanzi. A volere la pubblicazioni è Alain Robbe-Grillet, consulente della casa editrice che pubblica Beckett. Ma la sua salute peggiora e la mattina del 23 giugno '59, mentre nella sala del Petit Marbeuf si prepara ad assistere alla versione cinematografica di Sputerò sulle vostre tombe realizzata dal regista Michel Gast al termine di una lunga vicenda per la cessione dei diritti, muore per un attacco cardiaco. La leggenda dice che le due ultime parole siano state: «Questi tizi dovrebbero essere americani? Col Cazzo!». Aveva scritto: «Ho avuto una vita movimentata ma sono pronto a ricominciare!». E nei suoi 39 anni di vita è stato l'anima della Parigi del dopoguerra. L'ha plasmata a suo piacimento, nella sua irriverenza letteraria come nella musicalità jazzistica. Disprezzava le culture senza cultura, in primis quella "made in Usa", pur amando da morire il jazz e l'atmosfera della città più francese d'oltreoceano, New Orleans. Era odiato per la sua anarchia che agli occhi dell'establishment lo rendevano "un fascista". In effetti, era biondo, bello e con una tromba in mano. E se ne andava in giro dicendo che «nella vita sono due le cose importanti: l'amore in tutti i modi con delle belle ragazze e la musica di New Orleans...».
Massimo Carletti

1 commento:

Emanuele C. ha detto...

Un fascista allora soprattutto pacifista, se si pensa alla piéce teatrale GENERALI A MERENDA, scritta a soli 33 anni.