sabato 16 ottobre 2010

La libertà ai tempi di Facebook (di Fabrizio Crivellari)

Articolo di Fabrizio Crivellari
Dal Secolo d'Italia del 16 ottobre 2010
Il secolo scorso ha bruciato i sistemi ideologici che avevano come centro una dimensione collettiva dell'individuo. E i primi anni del nuovo millennio sono stati consumati a riempire ideologicamente ciò che è rimasto, vale a dire la ristretta sfera della soggettività. Se la caduta del Muro di Berlino ha decretato il tramonto dell'ultima ideologia rimasta in piedi, sulle sue macerie si è scavato un angusto passaggio che ha condotto ai tempi in cui il centro della scena è stato occupato non più da una dimensione collettiva ma dall'individuo.
Come diretta conseguenza, per i primi dieci anni del nuovo millennio le grandi questioni delle politica sono state quelle legate alle libertà individuali. Ma quale rovescio della medaglia il contesto ha finito per rappresentare il terreno ottimale, anche psicologico, per l'attecchimento di quella gramigna dei momenti storici di transizione che è la paura. Insicurezza la quale si amplia se si è soli, incartati su se stessi, chiusi nel guscio in attesa dell'urto (quello per esempio dell'immigrazione) e che si supera invece nei contesti più rassicuranti di un legame sociale che valorizza l'individuo spingendolo verso una dimensione più ampia, più elevata e quindi di autentica libertà.
L'eliminazione del fattore collettivo quale centro della politica e l'occupazione dell'intera scena da parte dell'individuo atomizzato, con il trascorrere dei primi anni del millennio ha determinato la costituzione di una specie di Ancien Regime (in stile Grande Fratello 10) dove i molti si disinteressano della cosa pubblica e pensano solo ai propri minuscoli interessi, spesso alla ricerca di una edonistica o confessionale felicità, comunque impossibile da raggiungere perché disarticolata e slegata da qualsiasi racconto collettivo. Lasciando in ogni caso la res publica ai pochi e il potere ai pochissimi che, ad esempio qui in Italia, stabiliscono con largo anticipo la lista dei deputati e senatori che devono fare le leggi. Se si è però convinti che il recupero di una dimensione sociale dell'individuo sia un "passo obbligato", la ricerca della dimensione collettiva su cui puntare le fiches della politica passa attraverso una sintonia reale con le nuove generazioni, quelle che si agitano con rapidità su internet riempiendo di propri codici e unici contenuti i social network di tutto il mondo.
D'altronde, la società del futuro appartiene a loro e avrà, piaccia o meno, confini puramente storici, sarà multietnica, veloce e multitasking, con frequentissimi e mobili cambi di contesto. Sarà interattiva negli spazi e le città, con ogni probabilità, diventeranno semplici contesti occasionali. Quale sarà, in questo orizzonte, la dimensione della politica? Come si potrà afferrare la nuova polis, la quale potrà ad esempio avere Facebook come sua agorà? Qual è, dunque, la dimensione collettiva cui le nuove generazioni sollecitano la politica? Qual è la forma-città che rilamci e attualizzi la sfera pubblica?
Se la rete è il logos, il nuovo inizio, come ha scritto Peppe Nanni sulle pagine del Secolo, la polis altro non è che lo "stato trasparente": il nuovo luogo dell'immaginario politico collettivo ha infatti la limpidezza del cristallo. È un luogo che consente la fluidità tra le correlazioni economiche e sociali per non avere la camorra come soggetto di business, che permette i cambi rapidi di contesto sconfiggendo le pastoie dei corridoi burocratici e ministeriali, che illumina il sistema di scambio azzerando la politica come scambio, che facilita il flusso delle decisioni contemporanee accelerando la crescita del sistema integrato. Non è un caso se i percorsi di alcuni emergenti artisti italiani, come quelli evidenziati nella mostra collettiva "Pensiero Fluido" ospitata in questi giorni nello Spazio Oberdan di Milano, riflettono proprio sul cambiamento delle modalità riflessive e relazionali determinato dai veloci, continui e radicali cambiamenti di scenario dovuti alla rapidità con cui si raggiunge ogni angolo del pianeta, alle sollecitazioni culturali imposte dai flussi migratori e alla incredibile velocità con cui il pensiero, per mezzo di internet, arriva a destinazione. Lo "stato trasparente" emargina l'egoismo sociale e l'utilitarismo e impedisce a pochi di prendere il controllo, di farsi proprietari dello Stato con la gestione dell'informazione e di chi fa le leggi, abolisce il segreto di Stato e offre la visibilità completa sui meccanismi e le linee di comando attraverso cui operano i servizi segreti, dà luce a quanto succede nei consigli dei ministri mettendo sul web, immediatamente, i verbali delle sedute.
Lo "Stato trasparente" non rinuncia alla tracciabilità dei movimenti di miliardi di euro, impedendo conti correnti anonimi intitolati a santi, ad eroi o a personaggi dei fumetti, bloccando sul nascere schermi mai abitati da persone fisiche o giuridiche e impedendo triangolazioni finanziarie che consentono al denaro di andare dove deve andare senza lasciare tracce. È nello "Stato trasparente" che si ritrova la sicurezza di un legame sociale, la dimensione collettiva verso cui tendere. Per aprire gli spazi a chi vuole fare politica in maniera pulita, lontano dalle guerre per bande, che si accendono sempre nell'ombra lasciando per strada morti e feriti. È questa la nuova frontiera della democrazia, nella sua interpretazione più espansiva, che mette in una forma postmoderna, simultanea e f"futuristica" il desiderio di partecipazione politica. E questo nel rigoroso rispetto della dimensione privata di ciascuno, non permettendo ai mestieranti della calunnia e agli specialisti della disinformazione di approfittare del buio per costruire e manipolare, ma con la consapevolezza che le res publica è di tutti noi, che tutto ciò che riguarda l'Amministrazione e la politica può e deve essere mostrato. E che lo stato non può essere raggirato.
Fabrizio Crivellari

1 commento:

giovanni fonghini ha detto...

Uno "stato trasparente" eliminerebbe per prima cosa il burocratese, che separa in modo spesso incolmabile la pubblica amministrazione dal cittadino, in quanto rappresenta uno dei principali ostacoli al dialogo. Potrebbe poi usare il web efficacemente realizzando, se si vuole, una sorta di democrazia diretta del terzo millennio. Io appartengo a quella schiera che ad una democrazia rappresentativa solo nel nome preferisce una democrazia "diretta" vera, effettiva e partecipativa. Internet e il web 2.0, in quanto connessione tra persone e non più semplice rete di computer,sarebbero strumenti utilissimi per raggiungere questi obiettivi, i quali colmerebbero l'attuale distanza tra stato e cittadini. Stato che purtroppo non si distingue certo per la sua trasparenza.