martedì 5 ottobre 2010

Se Inter-Juventus si sgonfia dai veleni (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di martedì 5 ottobre 2010
Prove tecniche di normalità calcistica, in un’Inter-Juve di inizio ottobre. Lontano dai momenti caldi della stagione, senza nessuna delle due contendenti del derby d’Italia, a giocarsela da capolista, causa la presenza della sorprendente Lazio in cima alla classifica, la super classica delle sfide del campionato italiano ha presentato alcune, significative, novità. Diciamo, da subito, alcune verità. La stampa ci ha provato, anche questa volta: a ogni Inter-Juventus, o viceversa, il solito tam tam di dichiarazioni al vetriolo, con dirigenti sempre disposti a prestare il fianco alla polemica, alla recriminazione.
 L’un contro l’altri per almeno una settimana, chi vuole scudetti indietro, chi ne vuole tolti altri all’avversario, chi invoca forche caudine e giustizialismo a oltranza. Certo, Calciopoli ha enfatizzato questa tendenza: la retrocessione in serie B, i due scudetti, uno revocato e non assegnato, l’altro attribuito d’ufficio all’Inter, non hanno fatto altro che enfatizzare questa rivalità, tutta bianco nerazzurra. Anche il buon Mourinho, «l’alieno» decantato in libri celebrativi a posteriori, ci ha messo del suo. Chi non ricorda le sue invettive contro «l’abbassiamo i toni», che sarebbe tipico del malcostume italico? «Abbassiamo i toni? – disse in una celebre conferenza stampa l’allenatore portoghese – Certo… è così che fate, abbassando i toni… così si è fatto uno scandalo (Calciopoli, ndr) che pure io che allenavo in Inghilterra mi sono vergognato di vivere di calcio». E poi, negli Inter-Juve, o Juve-Inter, degli anni post Calcipoli, c’era Balotelli e i “suoi” «Buuu», c’era il «traditore» Ibrahimovic. C’erano veleni e rancori. I nuovi tecnici dell’Inter e della Juventus, Benitez e Del Neri, che sono due tranquilli e non hanno vissuto la stagione degli scandali indossando casacche nerazzurre o bianconere, sono, invece, due tipi che di fatto stanno abbassando i toni, contrariamente ai dirigenti che li tengono a busta paga. Piccola nota a margine: potrebbe sembrare che i toni siano diventati accesi dopo l’estate del 2006, con stampa e media a riportare d’attualità gli attriti tra le parti a ogni sfida incrociata. Falso. Chi segue il calcio e non è un tonto lo sa: è da almeno un decennio che, nei giornali sportivi, le cose vanno in una certa maniera. Almeno dal post 26 aprile 1998, Juventus-Inter da scudetto con derby negato a Ronaldo, c’è chi ha marciato sulla rivalità, trasformandola in odio. Alimentando prima la rabbia nerazzurra contro gli arbitri, le tesi e i sospetti di complotto, contribuendo a fare sentire una delle due fazioni, quella interista, come la vittima sacrificale del sistema calcio. Non c’era niente da fare: a rileggere, oggi, certi giornali sportivi, l’Inter doveva adeguarsi a essere fregata. Troppo più furbi gli altri, troppo più scaltri, più scorretti, più spregiudicati. Più vincenti.
Gli stessi uomini che hanno alimentato tutto ciò, senza pudore alcuno, hanno poi ribaltato le posizioni. Citarne uno, giornale o giornalista che ha fatto il doppio gioco, sminuirebbe gli altri: già a settembre 2006 la Juve, in serie B, era la nuova vittima di un nuovo complotto, ordito dalla Telecom, secondo alcuni, con intercettazioni ad hoc. Moggi, che nel ’98 o il 5 maggio 2002, quando l’Inter perse uno scudetto già vinto sul campo della Lazio, a vantaggio della Juventus, da tessitore di trame, da uomo ombra, da manipolatore, era passato anch’egli a vittima sacrificale, capro espiatorio dall’«animo ucciso»: semplice uomo di calcio che era stato fatto fuori perché troppo bravo. Anche questo hanno dovuto sorbirsi gli sportivi italiani, che dovrebbero veramente chiedere risarcimento dei danni morali, specie se non sono né interisti, né juventini, e hanno dovuto vedere le scene del calcio militarmente occupate da queste scorribande da risse di quartiere. E allora via di seguito con lo «scudetto di cartone» sulle maglie dell’Inter, i nerazzurri che sarebbero i nuovi favoriti dagli arbitri, Moratti nuovo capo del calcio. Vittime, mandanti e vittimisti, nuovi protagonisti dell’ei fu sport popolare italiano per eccellenza.
Domenica sera uno scenario quasi nuovo: le solite scaramucce fuori dallo stadio, i soliti cori discutibili o imbecilli nel vero senso della parola (madri e defunti dovrebbero essere risparmiati, a prescindere), ma un atteggiamento diverso in campo. Lo ha detto pure l’interista Stankovic, a fine gara: «Non ci interessava niente delle discussioni e delle polemiche della settimana. Siamo andati in campo per giocarci la partita punto e basta». Ci voleva tanto? Evidentemente sì. È chiaro che, come detto, un ruolo determinante l’hanno giocato gli animi pacati dei due allenatori. Strano, anzi stranissimo, che il derby d’Italia per una volta si sia concluso senza recriminazioni, senza rigori non concessi, gol in fuorigioco, e nuove polemiche. In campo si è visto un po’di gioco, nulla di che, per carità, che a cospetto di Lazio o Palermo, Inter e Juventus sembravano un gradino sotto; grandi campioni come Eto’o, o talenti in divenire come Krasic; tante occasioni, ma alla resa dei conti uno 0-0 senza arte né parte. Normale, ecco.
Giovanni Tarantino

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