domenica 30 gennaio 2011

All'armi siam fumetti (la recensione di Claudio Ughetto)

Recensione di Claudio Ughetto

Roberto Alfatti Appetiti scrive per il Secolo d’Italia, giornale cui ha contribuito a ridare vigore attraverso la pagina culturale, proprio quella che ormai altrove trascurano un po’ tutti. Scrive di letteratura, sport e fumetti e di molto altro. Tratta di fumetti con uno stile bello e chiaro, lontano dalla superficialità della nota commissionata, ma anche da certo linguaggio ipersettario e autoreferenziale di certa stampa che troppo spesso si dimentica che un articolo serve soprattutto a comunicare. Se scrivere male è più facile che scrivere bene, scrivere bene per comunicare è una specie di vocazione. Cura, inoltre, L’eminente dignità del provvisorio, blog pieno d’informazioni, opinioni e idee su un immaginario che in Internet è trattato in poche righe, da “consigli per gli acquisti”, e che qui invece acquista lo spessore dell’escursione critica. Ora i suoi interventi sul fumetto, usciti negli ultimi cinque anni, sono stati raccolti in All’armi siam fumetti, bel libro pubblicato da “Il Fondo”.

Considero Roberto un amico, anche se di persona non ci siamo mai incontrati. Se non fosse stato per il web, i nostri nomi non si sarebbero mai neppure sfiorati. O forse sì. Nelle nostre chiacchierate in rete e al telefono ho avvertito tante di quelle “affinità elettive” che talvolta mi sorprendo a pensare che davvero il caso agisce in base a un disegno prestabilito. Il resto è solo questione di tempo, e il tempo è il brodo di coltura in cui la casualità fa precipitare gli eventi. Quando scattano certe affinità, le differenti esperienze politiche e i dettagli in fatto d’idee diventano irrilevanti. Molto più importante è accorgerti che qualcun altro come te, in questo disgraziato paese, sa amare le cose belle e inutili come la letteratura e quegli scrittori (magari “politicamente scorretti”), che hanno trasformato la parola in un bisturi per scovare l’indicibile. Qualcuno che ha pressappoco la tua età e che come te si porta dentro dei valori fortissimi, non instillati da qualche politicante di passaggio, ma da un personaggio poco raccomandabile come Mister No.

Per me è difficile aprire questo suo bel libro sull’arte del fumetto e non stare male leggendo di come scrive di uno dei personaggi che maggiormente ha segnato la mia infanzia e adolescenza. “Mai avremmo pensato (…) di perdere l’antieroe di carta che più di ogni altro ha alimentato la scorrettezza politica e culturale di una generazione molto diversa dalle infiocchettate, telegeniche, e cinematografiche rappresentazioni postume”. Già… prima mi ha lasciato Ken Parker, poi Mister No. Non c’è più posto per gente così in quest’epoca. Lo spiantato e scanzonato pilota nord-americano e il biondo e introverso vagabondo capitato per caso nel west non s’assomigliano per niente, eppure in loro s’incarna quel tipo d’approccio all’esistenza che i ragazzi di quell’epoca hanno sentito sulla pelle, prim’ancora che teorizzato. Avevo dieci anni, nel 1975, quando uscì primo numero di Mister No, e da quel 1954 in cui era ambientata la storia, mi dividevano una ventina d’anni - molti di meno di quelli che adesso mi dividono da quel 1975. Tre anni dopo, all’esame di scuola media portai una dettagliata tesina sul Sud America. Sorpresi, i miei insegnanti mi chiesero quanti pomeriggi avessi trascorso nella biblioteca del paese per documentarmi. Neppure troppi, avrei voluto rispondere: mi era bastato tornare sulle didascalie del mio antieroe preferito, che aveva percorso quel continente in lungo e in largo col suo piper. Invece tergiversai, tanto sapevano che nella mia stanza le cataste di fumetti prevalevano sui libri.

Roberto mi perdonerà se confesso di condividere solo in parte la scelta del titolo per il suo libro, che un po’ mi richiama alla mente l’urlo squadrista del ventennio, periodo che non mi ha mai suggestionato. Preferisco riferirlo al “potere eversivo che le bande dessinee hanno sempre avuto in un contesto culturale fossilizzato su forme e contenuti classici”1. Ricordo che passai alla lettura dei giornalini Bonelli perché mio padre li considerava meno dannosi dei fumetti Marvel che, secondo lui, mi turbavano il sonno alimentando i miei deliri di onnipotenza. Chissà se aveva ragione? All’epoca non avrei saputo argomentare che tra Spiderman e Capitan America o Thor c’è un abisso. In ogni caso, col senno di poi, penso d’aver fatto un affare. Quando parlo di “approccio all’esistenza”, mi riferisco davvero a qualcosa che ha caratterizzato noi ragazzi di quegli anni e che poi si è perso. Mister No e Ken Parker sono antieroi, non eroi o supereroi, ma neppure eroi (o antieroi) negativi come quelli che adesso vanno di moda. Dopo Tex e Zagor, dei quali Roberto tratta diffusamente e competenza, Bonelli metteva in scena un particolare tipo di uomo normale che non cerca le cause ma ne è cercato, che desidera soltanto vivere la propria vita in un’epoca che non ama ma che sa di dover vivere perché di vita ce n’è una sola, che non ama la violenza e la forza ma è costretto ad usarle per difendersi da esse e ribellarsi a ciò che ritiene ingiusto. Nel suo libro, Roberto insiste sull’anarco- individualismo di Mister No, che ne farebbe un personaggio “di destra”. Per me Mister No non è mai stato di destra o di sinistra: dovendo considerare il Sud America dell’epoca, sarei portato a ritenere le cause che ha abbracciato (più o meno controvoglia) “di sinistra”. Come avremmo definito, nei tardi anni 70, i latifondisti che massacrano gli eredi dei Cangaceiros, comandati da Capitào Corisco? Oppure uno stronzo cocainomane come il colonnello Kovacs, al soldo del dittatore haitiano? Con questo non intendo affermare che tutte le persone di destra amassero le dittature. Se è vero che nel MSI c’è stato chi insisteva a difendere l’indifendibile regime dei colonnelli in Grecia, e che a troppi non dispiaceva Pinochet in nome dell’anticomunismo atlantista, bisogna anche riconoscere che alla base stavano germogliando percezioni individuali, e di gruppo, ben differenti. Ma la destra è ampia, sfaccettata e non solo italiana. Su Elementi c’era una destra scismatica che preferiva riconoscersi nel sorriso di una guerrigliera Sandinista abbracciata al suo uomo2. E poi il Che non ha mai smesso di solleticare gli immaginari di sinistra e di destra.

Poi il mondo e cambiato. Mister No, figlio della sua epoca più di Tex e Zagor, ammette, “ con una punta di rassegnazione, di non riconoscere in Manaus la città sonnolenta e tranquilla che aveva scelto per fuggire dalla guerra ma anche dai tentacoli di una nuova società che (ha) sostituito la violenza di quel conflitto armato con veleni più sottili ma non meno pericolosi: arrivismo, voglia di emergere a tutti i costi e con tutti i mezzi, culto del successo e della ricchezza, esaltazione dei valori materiale schiavitù del consumismo3. Forse è ancora tempo di antieroi, ma non di eroi normali. Non c’è più spazio per te, se non sei nessuno. Non c’è ragione che tenga, se rifuggi le telecamere e non ti presti alla comunicazione mediatica. Se non esisti, non esiste nemmeno la ragione. Usando una metafora jungeriana, Mister No e Ken Parker potevano almeno passare al bosco, mentre adesso non c’è più nessun bosco nel quale nascondersi per continuare a ribellarsi. Se un tredicenne di questi anni usasse le didascalie di Mister No per documentarsi sul Sud America e farne una tesina, descriverebbe un continente che non esiste più. Specie protetta, gli indios hanno smesso non solo di spaventare, ma anche d’affascinare; l’Amazzonia è un territorio ormai sempre meno violento, sopraffatto dalla violenza progressista dell’uomo; i latifondisti hanno fatto carriera e dirigono le multinazionali.

Se non c’è più posto per Mister No, allora bisogna andare avanti o tornare indietro: nella trappola fantascientifica di Nathan Never o nell’Italia fine ottocentesca di Volto Nascosto. Oppure nella Marsiglia di Demian, molto polar e “per certi versi immaginaria”, come osserva Roberto nel suo scritto dedicato all’eroe di Pasquale Ruju. Ma Demian è appunto un “eroe”, per quanto tormentato e romantico: “un eroe classico, un monaco guerriero, un cavaliere di ventura”4. Se Ken Parker si presentava davanti all’ex schiava negra e puttana Adha usando più o meno gli stessi appellativi, ironicamente, Demian a questo ruolo sembra crederci per davvero. Qualche lettore ritroverà in lui una speranza, altri cominceranno a preoccuparsi. Non voglio tuttavia apparire lamentoso o rifugiarmi nell’insopportabile adagio del si stava meglio quando si stava peggio. Tolto qualche prodotto impresentabile come Brad Barrow, bisogna riconoscere al fumetto italiano (e quindi bonelliano) l’indiscutibile merito di essersi avvicinato al nostro vecchio continente dopo aver tratto ispirazione dall’America per troppo tempo. Meriti e limiti della globalizzazione.
Claudio Ughetto

Note:

1 All’armi siam fumetti, dall’introduzione di Errico Passaro.
2 Pagg. 8 di Elementi n. 2, anno II, Marzo-Aprile 1983.
3 All’armi siam fumetti, Intervista a Roberto Diso. Mister No. Un anarco-individualista di destra.
4 Cit., Demian. Questo cavaliere è già un cult.


Claudio Ughetto (nella foto) è nato a Giaveno (TO) nel 1965, dove risiede. Di mestiere fa l'educatore in un Consorzio pubblico. I suoi interessi sono molteplici: letteratura e filosofia, arti figurative e tutto ciò che riguarda l'immaginario. Da anni si sente vicino alla cultura non conformista, nella convinzione che la dicotomia destra/sinistra sia ormai inefficace per leggere e affrontare le questioni contemporanee. Ha collaborato per Diorama Letterario, Arianna e Opifice. Un suo racconto è stato pubblicato nell'antologia Tutti esplosi. Le trame di Opifice (prefazione di Massimo Carlotto, Giulio Perrone editore, euro 12). Ha pubblicato il romanzo Una falciola di terra (Il Filo, 2007, euro 18).

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