Recensione di Carlo Gambescia
Articolo del 17 febbraio 2011
Ebbene sì. Siamo da sempre accaniti lettori di Tex. E per ragioni di puro relax. Insomma, senza aver mai tentato di scavare nelle profondità antropologiche del fumetto bonelliano. Solo un’oretta di rilassante lettura, tra un tomo e l’altro. Tutto qui. Ovviamente, abbiamo seguito, anche professionalmente, la crescita sociale della cultura del fumetto, senza però attribuirle troppi significati e aspettative.
Il fumetto, in quanto narrazione disegnata, è per eccellenza un prodotto editoriale a larga diffusione che appartiene alla letteratura popolare: parla per immagini che veicola per emozioni immediate. Certo, come “genere letterario” (un tempo “sottogenere”) ha inevitabilmente prodotto una letteratura secondaria. Di qui, come per nemesi, la nascita e lo sviluppo di varie scuole esegetiche, di dibattiti criptici, di figure professionali, eccetera. Un universo disciplinare, dove il lettore comune - chiunque legga fumetti per rilassarsi - si sente come il povero invitato alla mensa dei ricchi: sorride e ringrazia, senza però capire una sola parola dei discorsi del padrone di casa.
Su questo filone dell’esegesi, se ne è innestato un altro che, andando oltre la pura ermeneutica del fumetto, lo indaga in chiave di immaginario collettivo, come fonte primaria della vita sociale e politica. A quest’ultima "scuola", abbastanza florida anche in Italia, appartiene il volume di Roberto Alfatti Appetiti, giornalista ed esperto in comunicazione: All’armi siam fumetti. Gli ultimi eroi d’inchiostro ( intr. di Roberto Recchioni, pref. di Errico Passaro, I libri de “Il Fondo” 2010, pp. 206, euro 12,50). Libro che va ben oltre l'occasionale raccolta di articoli, perché ha un suo preciso filo conduttore. Ma il cui titolo, francamente infelice, non rende pieno merito a un saggio intelligente e ben scritto che nulla ha di fascista o nostalgico.
Ma lasciamo la parola all’autore:
«Lucia Annunziata direbbe, probabilmente che parlare di fumetti, ci spiega, “consiste nell’affondare il ferro nella realtà”. Ma per farlo, aggiungiamo noi, non si può prescindere dall’immaginario, dalla lezione che ci ha consegnato Edmondo Berselli: “A me piace tutto ciò che è popolare e sono convinto che difficilmente il popolo sbagli”. Perché, come ha detto Michele Serra, lo scrittore modenese era una “smentita vivente della maniera appartata e schizzinosa con la quale il colto rischia sempre di guardare al ‘volgare’ “. Tanto più la minoranza è “illuminata”, semmai, e maggiore rispetto dovrebbe avere – per rimanere alle parole del giornalista e scrittore – “per i materiali della vita”. Parlarne il linguaggio e farsi comprendere, così, dalla maggioranza. Anche commentando una partita di calcio, ascoltando una canzone di Guccini o recensendo un fumetto» (p. 162).
Da questo punto di vista Alfatti Appetiti si fa comprendere benissimo. Con sapiente leggerezza di scrittura si muove tra le varie e ricche fenomenologie di Andy Capp, Tex, Zagor, Mister No, Dylan Dog, eccetera. Senza però mai "caricarle" di misteriosi significati, decifrabili solo da pochi sacerdoti. Per Alfatti Appetiti quel che conta è la persona: dall’autore al lettore. Ma sempre “tramite” il fumetto, che si trasforma, se abbiamo colto il senso del libro, in un veicolo relazionale. Capace di muoversi all’interno di un immaginario (quel che il mondo dovrebbe essere) che, come in un gioco di specchi, riverbera un lettore, quello dei nostri giorni: un homo erectus-televisivus (chiediamo pardon per il latino maccheronico) che sogna di fuggire, pur non sapendo dove, come e con chi... Perciò l’anarchismo-libertarismo, che sembra intrigare disegnatori, eroi del fumetto, lettori e lo stesso Alfatti Appetiti, resta categoria etica - del dover essere - priva però di imperativi, se non quello dell’essere fedeli a se stessi. Ecco la “morale” del libro.
Ora, solo per fare un esempio, anche un nichilista resta fedele a se stesso, ovvero alla sua scelta nichilista... A dire vero, Alfatti Appetiti registra, riflette e talvolta sembra accorgersi che i fumetti da soli non ci salveranno, come il famigerato “inglese” di Battiato. A tratti perciò sembra scorgere l’anomia etica che avvolge la nostra società, ma dalla finestra. Come se preferisse restare a distanza. La “giusta” distanza? Decidano i lettori. E non solo di fumetti.
Carlo Gambescia è nato e risiede a Roma. Sociologo. Ha all’attivo fra testi scritti, curati e tradotti, alcune decine di volumi. Collabora con pubblicazioni scientifiche italiane e straniere. Scrive su quotidiani e riviste. Svolge consulenze editoriali.
FONTE: Carlo Gambescia Metapolitics
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