Articolo di Giuseppe Mammetti
Dal Secolo d'Italia del 23 febbraio 2011
Pronunci il nome di John Milius e pensi a Hollywood. Quella spudorata e inarrestabile tra i '70 e gli '80, quella di Schwarzenegger e di Coppola, dell'Ispettore Callaghan e del mercoledì più famoso della storia del cinema. Un mercoledì da leoni, la sua quinta prova da regista: dopo gli sperimentali Marcello I'm so Borred e The Reversal of Richard Sun, dopo Dillinger ('73) e Il vento e il leone ('75) con un superbo Sean Connery.
Dopo le critiche iniziali, l'America si innamorò di questo giovane cineasta, popolare senza banalità, con il gusto per le storie e una spiccata vena narrativa, ideale per soddisfare il grande pubblico. Il film uscì nel '78, accolto malissimo dai critici e piuttosto scarso al botteghino. Eppure diede il "la" alla carriera di Milius. I suoi Jack, Matt e Leroy divennero gli eroi d'una generazione che dopo il '68 aveva scoperto nuovi sogni e un incontrollabile senso d'indipendenza. Nel racconto di quattro storiche mareggiate californiane, del 1962, '65, '68 e del '74, questa generazione spiega se stessa, soprattutto nei suoi aspetti più peculiari: il Vietnam, lo "sballo" in spiaggia, le note dei Beach Boys e il mito del mare, da sfidare a ogni onda.
A caratterizzare la poetica di Milius, è proprio il senso della sfida, dello scontro come catalizzatore del mondo e dell'essere. Che si debba sfidare le onde o fronteggiare un'imprevista invasione nemica, non ha importanza: quel che conta è combattere. Proprio come in Homefront. La voce della libertà, il suo primo romanzo, pubblicato in Italia dalle Edizioni Multiplayer (pp. 327, € 19,00). Scritto a quattro mani con Raymond Benson - autore di seri romanzi dedicati a 007 - è la storia di un'invasione coreana a danni degli Usa, ambientata in un prossimo futuro: nel 2025. L'America è sfiancata da una massiccia recessione, che la trascina nella crisi socio-finanziaria peggiore della sua storia. La situazione è più difficile che nel '29. La gente è depressa e il pensiero dei "bei tempi andati", scatena la malinconia in un intero popolo. Oltretutto, gli Usa hanno perduto il ruolo di guida nel governo mondiale e il loro esercito è solo una tiepida imitazione della formidabile armata a stelle e strisce. Sul fronte internazionale non mordono più, mentre le nuove potenze emergenti mirano ad accrescere la loro sfera d'influenza. La più aggressiva di tutte è la Grande Repubblica di Corea, nata dall'unione dei due stati confinati e dall'annessione di alcuni paesi limitrofi. La guida il figlio di Kim Jong-il, animato dalla stessa fame di conquista del genitore, ma più determinato e abile. Prima trasforma l'espansionismo in un processo di fusione democratica, poi prende di mira gli States. Ed è allora che il romanzo inizia. Il protagonista della storia - alla quale è dedicato anche un videogioco omonimo, in commercio dal prossimo di marzo - si chiama Ben Walker, fa il reporter d'assalto in un paese distrutto, ritrova se stesso, la sua vita e la sua vocazione, proprio nel momento più duro. La desolata realtà americana e le difficoltà nel trovare lavoro, lo avevano convinto anni prima ad accettare un impiego in un giornale scandalistico, il Celebrity Trash. Nulla di strano, nel 2025 il gossip è un'ancora di salvezza, per molti giornalisti e la via per sfuggire alla fame. In fondo, in questa America dilaniata che ricorda quella di John Carpenter in 1997: fuga da New York, non si legge nient'altro. Lontana dalla politica e dall'attualità, l'opinione pubblica ha finito col dissolversi, dedicandosi agli affari ludici. O meglio, distraendosi con tutte quelle attività che ricordano agli individui il loro "ricco" recente passato. Ma non solo, la crisi dei consumi ha generato anche una crisi di valori, dalla quale nessuno è riuscito a salvarsi, tranne uno: l'eroe di turno. Come il galeotto Jena Plissken, interpretato da Kurt Russel nel classico di Carpenter, Ben Walker è un eroe anticonvenzionale, un eroe per caso. Si getta in una missione disperata solo per amore verso un mestiere avido, coltivato nonostante le frustrazioni, con un grande senso di giustizia. Con questo spirito Walker presta servizio al suo paese, quando l'invasione ha inizio. Nel frattempo, una serie di attentati terroristici mirati a seminare il panico, precede l'azione militare. New York, Los Angeles, Washington e altri grandi centri vengono colpiti pesantemente: le famiglie si barricano nelle case. Il passo successivo mette definitivamente in ginocchio il colosso americano. Un violento attacco informatico, unito all'emissione di un impulso elettromagnetico deflagrante, distrugge ogni componente elettronico nel raggio di migliaia di chilometri, annientando completamente la rete delle comunicazioni. Il paese torna indietro di decenni e le difese interne sono annullate. Senza una vera direzione operativa, l'esercito si disperde. A combattere il nemico coreano restano pochi nuclei di soldati, armati solo di senso patriottico. Tra questi c'è anche Walker, che in battaglia assume uno pseudonimo, la Voce della Libertà. Dotato di un misero armamentario tecnico, diffonde a mezzo radio notizie sulla posizione dei nemici, divenendo baluardo della resistenza e simbolo di patriottismo. Dalla lettura di Homefront non si ricavano suggestioni letterarie. È un romanzo popolare che diverte e si realizza soprattutto nel racconto dell'azione militare e nella descrizione di una volontà indomita. Più che alla letteratura di guerra, Homefront si ricollega alla cinematografia di Milius, e a un titolo su tutti: Alba rossa, del 1984. Al posto della superpotenza coreana qui c'è un esercito di russi, cubani e nicaraguensi, riuniti sotto la bandiera rossa. Anche in questo caso lo sfondo è fornito da una situazione internazionale complessa, fantapolitica ai limiti del surreale. In piena guerra fredda, la Nato si scioglie, abbandonando l'alleato americano nella sfida tra grandi potenze. In Messico, Honduras e Salvador, una serie di sommosse porta al governo i partiti socialisti. E nella Germania Occidentale, la vittoria dei Verdi sancisce la messa al bando delle testate nucleari in Europa. Indeboliti, gli Usa vengono attaccati sul proprio territorio e subiscono perdite pesanti, ma scoprono un'anima ribelle. Sulle montagne del Colorado, a Calumet, un gruppo di giovanissimi mette insieme una banda di rivoltosi, dando inizio alla guerriglia. Parlare di Milius come di un fanatico della frontiera sarebbe troppo semplice. Nel romanzo e nel suo precedete cinematografico - del quale si vocifera un prossimo remake - il punto è un altro. L'abitudine Usa di demonizzare il nemico, di solito identificato in un regime antilibertario, viene espressa come necessità: per esorcizzare una delle paure più recondite dell'americano medio, la guerra sul suolo nazionale. D'altronde, il panorama culturale dell'America middle class è costellato di personaggi invulnerabili. E l'invulnerabilità che lo stesso Milius ha trasmesso ai suoi eroi è lo specchio di quella americana, che per quanto scomoda, resta comunque una parte del suo mito. Un mito che il cineasta di Saint Louis ha infuso in molte tra le pellicole più significative sfornate da Hollywood prima del '90. Prima d'essere il regista di Conan il barbaro ('81) e di Addio al re ('89), John Milius è stato un grande sceneggiatore, forse il migliore della sua generazione. Sono usciti dalla sua penna: Ispettore Callaghan: il caso scorpio è tuo! di Don Siegel e Una 44 magnum per l'ispettore Callaghan di Ted Post, ma anche Lo squalo di Spielberg, Corvo rosso non avrai il mio scalpo di Pollack, L'uomo dai sette capestri di John Huston e Apocalypse Now di Coppola. Della stessa nidiata sono Michael Cimino, Coppola, Scorsese, Siegel, Peckinpah e Lucas: ragazzi terribili che hanno cambiato il cinema e il suo immaginario, imponendo modelli e creando nuovi miti. La "nostra" cultura viene anche da lì. E John Milius ne fa parte.
Giuseppe Mammetti
1 commento:
Oltre al senso della sfida e della vita come lotta, trovo che uno dei suoi valori ricorrenti sia quello dell’individuo che sfugge alle mode e al conformismo, ma risponde alla propria coscienza, alle proprie convinzioni, alla propria responsabilità e decide di fare la cosa giusta. L’individuo che diventa eroe proprio per questa sua libertà di pensiero e di azione. Penso anche ad esempio a “L’ultimo attacco” e “Addio al re”. L’individuo non è però esaltato nella sua solitudine, ma perché liberamente forma una squadra una comunità. L’altro aspetto forte è infatti l’amicizia, tema centrale del “Big Wednesday” (uno dei miei film culto), ma presente in ogni suo film e scommetto anche nel romanzo. Avevo letto che sta lavorando ad un nuovo film, spero che il progetto stia andando avanti.
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