mercoledì 9 marzo 2011

"Il correttore", l'amore ai tempi del terrorismo e del sospetto... (di Gianfranco Franchi)

Articolo di Gianfranco Franchi
Dal Secolo d'Italia del 9 marzo 2011
Madrid, 2004, 11 marzo, ore 7.37 di mattina. Salta il primo treno. Primo di quattro treni. Muoiono centinaia di persone. Nei superstiti, e nei compatrioti, cambia definitivamente qualcosa, dentro. Qualcosa si rompe, qualcosa si spezza. Nel caso del protagonista di questo intenso e disperato romanzo di Menéndez Salmón, Il correttore (Marcos Y Marcos, 160 pp, 14,50 €), si spezza la sensazione che tutto possa essere sempre uguale a tutto, per esempio.
 «Quando il primo treno saltò in aria spargendo sulle nostre piccole e ostinate vite un'alluvione di sangue, rabbia e paura, io ero seduto al mio vecchio tavolo di frassino australiano a correggere le bozze dei Demoni di Fëdor Dostoevskij».
In quel momento, stava correggendo proprio il passo in cui qualcuno, prima di suicidarsi, dice che la paura è la maledizione dell'uomo. Menéndez Salmón crede che ogni tempo abbia i suoi simboli, i suoi emblemi, le sue cabale: ma il nostro ha fatto della paura «il suo stendardo, il suo salmo di dolore, il suo firmamento». Il suo libro è una grande meditazione sulla paura, sul senso della vita, sul senso e sui significati della letteratura, sul valore dell'esistenza, sull'importanza dell'amore e dell'appartenenza a una donna e una donna soltanto: è la spietata radiografia dei sentimenti e delle sensazioni degli intellettuali di una società, quella occidentale, che credeva d'aver trovato un equilibrio definitivo e di aver guadagnato un benessere indiscutibile - ma che nemmeno dieci anni dopo aver sconfitto il grande nemico socialista sovietico s'è ritrovata a dover fronteggiare un misterioso e nuovo antagonista. Stando a quel che sin qua abbiamo inteso, e stando anche a quanto è accaduto in Spagna, nel marzo del 2004, questo antagonista è l'integralismo islamista. In realtà, questo è il sospetto angosciante, ci dev'essere qualcosa di più superficiale, più semplice, più uncinato a qualcosa di basso: il denaro. Il denaro mascherato da fanatismo ideologico e religioso. Come già in passato.
Cosa stupisce del Correttore? Stupisce la franchezza nella rappresentazione della miseria interiore, della decadenza e della depressione dell'intellettuale, voce narrante. Era un romanziere nient'affatto ricco e famoso ma apprezzato dalla critica. Talentuoso, senza genio. Uno che sin da bambino non aveva pensato ad altro che a quello, scrivere. Non era stato un bambino felice. Era stato un bambino massacrato dalla noia. Crescendo, aveva imparato una cosa: da lettore, da correttore, da scrittore, poco mutava - i libri sapevano vincere quel senso di noia, di noia infinita verso le cose della vita. Nessun libro poteva davvero cambiare il mondo, perchè il mondo non cambia, perchè come esseri umani finiamo per commettere sempre le stesse prepotenze e gli stessi errori: al limite è proprio per la consapevolezza di questo che possiamo continuare a scrivere libri. La letteratura, fondamentalmente, serve, scrive Menéndez Salmón, per «abitare questa menzogna» che è la vita: «per riconciliarci con quell'ombra e quella farsa, per conciliare tutto quel che sappiamo con tutto quello che possiamo sopportare di sapere». Per questo. Non è poco, no. Sua moglie, Zoe, è una compagna di vita scelta per l'eternità. E questo, incredibilmente, senza nessun pensiero religioso o spirituale o ideologico: così, semplicemente, naturalmente. Con la stessa semplicità, il narratore ci racconta che per qualche anno i due si sono allontanati, si sono perduti, lui ha fatto un figlio con un'altra, lei forse non lo sa. Epperò le pagine più meravigliose di questo libro stanno proprio nella descrizione del sublime legame di appartenenza e di coincidenza tra Zoe e il narratore. Come se loro due fossero ciò che può restare del mondo, quando il mondo sta per finire: quando il mondo è già finito. Quando, nelle ultime battute del libro, lui la abbraccia, a un tratto decide di rinunciare alle parole, dopo una vita intera consacrata alle parole. È cosciente che quel gesto può redimerlo da tutta la poesia del mondo, da tutte le grandi, belle, inutili parole che ci circondano. E che ci hanno confuso. E ci hanno disorientato. Inequivocabilmente. Forse è l'unica vera morale della favola di un libro scritto con grande fatica, nel corso di tre anni: scritto cercando di spiegare, sinteticamente e onestamente, che cosa significhi vivere e che senso abbia lavorare, amare, fare letteratura. Menéndez Salmón è uno che come tanti, tra noi, ha i coglioni veramente pieni dei politici occidentali, del loro camaleontismo, della loro retorica, del loro potere, di certe parole che hanno sporcato e distrutto, spogliandole di verità. E allora ha sentito di disarcionare la centralità della menzogna della propaganda politica scrivendo letteratura: ha provato a combattere l'epoca della paura ricordando a chi legge di quanto sangue sia composta la storia dell'uomo, società per società, e di quante sofferenze, quanti arbitrii, quanto fanatismo. Il correttore è un'interpretazione logica della rovina e della decadenza della nostra contemporaneità. È stato scritto da un letterato d'una nazione nostra sorella, ferita, a differenza nostra, da un attentato in patria siglato da misteriosi integralisti islamici offesi per l'adesione iberica alle infami guerre di Bush e Blair. Sembra scritto da un nostro vicino di casa: un vicino di casa con un prepotente buon senso, un certo stile, una tristezza sconfinata e dolcissima. Da leggere, per amare di più il miracolo delle piccole cose vere e belle della vita. Giorno dopo giorno. E da quelle ripartire.
Gianfranco Franchi

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