Articolo di Omar Camiletti
per L'eminente dignità del provvisorio
Siamo nel pieno di una transizione epocale, avviati verso l’avvento definitivo di internet che tracimerà come uno tsunami, spazzando via librerie, banche, uffici d’assicurazioni tutte ormai rigorosamente on line. Tutta la comunicazione sembra “transennata” nei social networks. Per togliersi dallo stomaco i postumi della post-industrialità del '900 ci si dovrebbe trangugiare una botte di ossimori in cui tutto e il contrario di tutto ci possa avviluppi simultaneamente; una sorta di barocco trionfante in cui anche destra e sinistra come molte altre mappe ideologiche della vita non riescono ad esistere più nelle forme in cui sono state conosciute.
Luciano Lanna non solo non si mostra per nulla scandalizzato di questo spettacolo di “schizofrenie” ma anzi ne compie una meticolosa archeologia a cui ci aveva già iniziato con “fascisti immaginari” riuscendo a riferirci che questo superamento dell’ideologia è gia in corso da tempo e che gli ossimori disintossicano, servono ad aprire le menti.
In realtà nel libro di Lanna – non certo un volume di accademica scienza della politica con innumerevoli note a piè di pagine quanto un libro di profonda cultura politica – vengono operati dei “depistaggi” involontari a partire dalla prefazione “cult” del Barbareschi da risultare un capolavoro editoriale: difatti se il lettore non è svelto a imbrigliare le illusioni “ottiche” finisce per cadere in quel barocchismo apparente che ha portato a letture come quella di Gnoli su Repubblica che ne ha visto un tributo alla sinistre o in alternativa quella di Mario Bernardi Guardi sullo stesso Secolo d’Italia omaggiante una forte identità di destra. Secondo una prospettiva “immaginifica”, la nostra, nel “fascista libertario” si descrive invece un fatidico passaggio a nord ovest attraverso le tracce di alcune esperienze individuali che hanno esemplarmente intrecciato i loro destini con scansioni periodiche della recente storia d’Italia. Scansioni che ci restituiscono la tragedia (sempre rimossa) della politica italiana: la fine “violenta” di coloro che hanno guidato la “res pubblica”, una continuità inquietante che va da Mussolini passato per le armi e poi appeso a Piazzale Loreto, a Moro ritrovato nella Renault 4 rossa, a Craxi fuggito ad Hammamet, senza dimenticare la vicenda processuale di Andreotti fino a quello che sembra, mercè Ruby, l’ineludibile suicidio politico di Berlusconi.
Deciso a pubblicizzare come sottofondo quella sofferenza di ciascuna generazione di italiani a cui è toccato vivere tale costante “messa a morte del Capo” – sempre fatta a ben guardare in nome di una ragion di stato – Lanna cosi segnala il distacco da ideologie autoritarie, collettiviste, dalle loro gerarchie retoriche e che hanno reso molto più simili di quanto si è disposti a pensare destra e sinistra. Lanna fa riflettere che la vera differenza di idee nuove del nuovo secolo sarà fra chi da una parte, sempre più in ritardo, vuol adempiere fatalmente ad una evanescente ragione di stato e chi dall’altra ha appreso che non c’è nazione, non c’è classe proletaria, appartenenza religiosa, indipendenza energetica o populistico plebiscito elettorale che possa esigere di “tenere banco”, un no netto emerge dal “fascista libertario”: nessuna ragione superiore può essere posta al di sopra del diritto di ogni singolo individuo o eludere le responsabilità verso ogni creatura vivente.
In questo ritrovato “umanesimo” (da cui non è esclusa la riscoperta del “Sacro”per taluni protagonisti) Lanna ripropone il filo d’oro della vita quotidiana di alcuni “fascisti” del dopoguerra; contaminazioni che inverano l’anarca di Jünger nei “perdenti” di allora: evidenziate dallo spessore di un Luciano Lucci Chiarissi o di un Giano Accame.
Focale nel libro è l’analisi del decennio fra il 1968 e il 1977 da alcuni archiviato nelle cicliche inconcludenze e velleità goliardiche, da altri collocato come il fenomeno finale del ‘900 con la sua memoria dei luoghi politici delle masse il corteo, lo sciopero generale, l’occupazione di fabbriche e di scuole, in ogni caso ripensato come la grende occasione perduta. È in quegli anni con una gioventù a suo modo felice nel welfare di fine anni sessanta, seppur sospesa fra i deliri del paradiso in terra e/o la propria prova d’iniziazione che si sgretola definitavamente il discorso politico ancora fondato sulle parole d’ordine degli anni Trenta “Dio, patria e famiglia” parallelo allo stalinistico “il partito ha sempre ragione”. Ed è attorno a quegli anni la descrizione di un altra figura di libertario: Umberto Croppi che anima il “Campo Hobbit” e rende refrattaria al nichilismo lottarmatista la stragrande parte dei militanti della sua fazione politica il Msi. Col “fascista libertario” si ha l’impressione che per Lanna tutta una stagione teorica sia ormai esaurita, il suo commiato tanto dalla Nuova destra che dai successivi tentativi di metapolitica apre a una nuova fase più concretamente politica nell’Italia che si appresta all’ulteriore voltapagina e in cui gli eroi “libertari” abbiano le movenze di Clint Eastwood o del Walter Matthau del film di Don Siegel “Chi ucciderà Charley Warrick?”, per una totale sintonia con le parole di Saviano a commento del film “Invictus” con cui si chiude il libro: «La politica sappia essere una cosa diversissima da quella che abbiamo sotto gli occhi sia (cioé) il sogno di un popolo ancora desideroso di conquistare diritti e felicità».
Omar Camiletti
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