martedì 31 maggio 2011

Bob Dylan, il folksinger vive da star ma non ferma il viaggio (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia del 29 maggio 2011
Potrebbe sedersi sul suo trono: quasi cinquant'anni di celebrità e una pila di dischi alta così. Solo che non è tipo da sedersi. Potrebbe prendere i libri che sono stati scritti su di lui, e gli articoli, e bruciarli a uno a uno nel caminetto e scaldarsi per tutto l'inverno - il freddo inverno del Minnesota, dove è nato settanta anni fa, il 24 maggio del 1941 - e magari averne anche d'avanzo per l'inverno successivo. O per un piccolo falò solitario di ricordi. O per un grande rogo rituale e furbesco: sembra un repulisti definitivo, ma in realtà si stanno bruciando solo delle copie.  
Gli originali rimangono dove sono. Altrove. Indistruttibili. Prove permanenti (a carico? a favore?) di un processo che non finisce mai e che come in un sogno, o in un incubo, si aggiorna di continuo: niente prescrizione, niente sentenza definitiva. C'è sempre un altro testimone da ascoltare, un nuovo perito che si fa avanti, un severo accusatore che accusa, un sollecito avvocato difensore che si offre gratuitamente, un sedicente giudice che entra in aula con l'incedere di un membro della Corte Suprema e che pretende di sedersi sullo scranno più alto. Ma poi è già contento se gli permettono di restare in aula e di accomodarsi in mezzo al pubblico.
Bob Dylan ha un salvacondotto. E siccome se l'è attribuito da sé, e molto tempo addietro, e con la sovranità inviolabile dell'artista che sa bene come il pubblico sia solo un compagno di viaggio incontrato per caso, non esiste al mondo nessuno che glielo possa revocare. A volte, come a tutti, gli può accadere di dimenticarsene, ma solo per un po'. In quei momenti, come a tutti, certe parole che sente pronunciare sul suo conto non mancano di dargli fastidio: l'immunità è una cosa, la perfetta indifferenza un'altra. L'immunità è un privilegio raziocinante. La perfetta indifferenza è un dono spirituale. L'immunità si basa sull'orgoglio. La perfetta indifferenza sull'umiltà. L'immunità è una costruzione molto raffinata dell'ego. Metà cattedrale e metà bunker. All'esterno un monumento. All'interno una successione di muri di cemento e di lastre d'acciaio. Una buona, un'ottima difesa non ha nessun bisogno di essere innovativa. Basta che sia efficace.
A un certo punto, ormai famosissimo, Dylan ha cambiato nome a tutti gli effetti, abbandonando per sempre quello originario di Robert Allen Zimmerman. Non è stato solo un vezzo. O un semplice riallineamento anagrafico al proprio pseudonimo. È stato un tipico atto da scrittore, che senza neanche pensarci concepisce la sua stessa vita come un libro. Una scena rivelatrice che vale un'allegoria. Una scena che funziona. Un suicidio simbolico. Una reincarnazione deliberata. Una rottura strategica tra il prima, casuale, e il dopo, voluto. Il vagabondo va dove gli capita. Il viaggiatore va dove vuole, anche se si veste da vagabondo e non fa il biglietto. Sale di soppiatto sul vagone merci e fila via nella notte. Contempla le luci della stazione che si perdono in lontananza. Sente un fremito di gioia che lo attraversa e lo ristora. Non sta rubando la tariffa della corsa. Si sta guadagnando il diritto di ridere alle spalle dei ricchi proprietari della ferrovia. E dei poveri fessi che lavorano per loro e si dannano l'anima, per beccare gli abusivi.
Il viaggio è cominciato per tempo. Bob si è spostato a Minneapolis per frequentare l'università. Ma la meta decisiva è New York. Quando ci arriva, a nemmeno vent'anni, è pieno inverno. Il calendario standard, quello che vedono tutti, indica il gennaio del 1961. Quello cifrato che sanno leggere solo i più attenti riporta una grande scritta aggiuntiva che recita "Anni di transizione". Implica un avvertimento: «Non guardate il dettaglio, osservate il quadro d'insieme». Fa balenare una promessa: «Niente sarà più come prima. E sarà di gran lunga migliore». Giù a Memphis è nato il rock'n'roll. E nel resto del Paese le cose stanno accelerando. Ma non è ancora lo zenit. Il rock'n'roll ha mischiato il blues e il country, la musica nera e quella bianca. Il risultato è straordinario. Il metodo che vi si annida lo è ancora di più. È una rivoluzione che ne introduce molte altre. È una scoperta che ha innumerevoli campi di applicazione, in attesa di essere esplorati. Coltivati a fini artistici. Sfruttati a scopi commerciali.
Il folk, per esempio. Il vecchio folk è di tutti. Il nuovo folk è di chi lo firma. Il vecchio folksinger alla Woody Guthrie muore in miseria. Il nuovo folksinger alla Bob Dylan vivrà da star. Dalle comunità spezzate del passato sorgono moltitudini di sradicati in cerca di nuovi legami. Le guide diventano preziose. Diventano indispensabili. Il tono profetico porta a pensare che chi è capace di sprigionarlo sia appunto un profeta. E che i profeti siano in grado, siano disposti, siano determinati, a essere anche dei leader. È solo un abbaglio, ma è molto diffuso. Canti Blowin' in the Wind. Canti Like a Rolling Stone. Canti Masters of War. E loro - tutti loro - non hanno dubbi. Sei le parole che canti. Sei le visioni che accendi. Loro, gli ascoltatori ingenui, pensano che i versi delle tue canzoni siano "tutta la verità e nient'altro che la verità". Tu, l'artefice smaliziato, sai che sono lampi che arrivano da chissà dove. Squarci di un mondo misterioso che appare e scompare, e che utilizza te come araldo. Libere associazioni di idee che si rivestono in fretta di rime (ghirlande di benvenuto, collane di pietre preziose, catene di un metallo scuro e lucente che ti impedisce di distogliere gli occhi) e che con ciò si assicurano il diritto a fermarsi da questa parte del tempo. Da questa parte dello specchio magico che separa il conscio dall'inconscio.
Inizia un'altra partita, allora. Già a metà degli anni Sessanta. Far comprendere ai fan che si sono sbagliati. Bob Dylan non è venuto per restare con loro e per guidarli fino alla salvezza. Bob Dylan è un viaggiatore che sta seguendo il suo destino. Ama scrivere canzoni. Ama cantarle. Odia che qualcuno pretenda di considerarle un impegno inviolabile. Ed è pronto a tutto, pur di impedire che succeda.
Federico Zamboni

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