Oltre la morsa clericale e comunista
Dal Secolo d'Italia di mercoledì 29 ottobre 2008
Prima parte: Quelle radici libertarie del Novecento arcitaliano
Seconda parte: Tra fiumani, interventisti e goliardi
Terza parte: Quei sediziosi negli anni della fronda
Il guazzabuglio degli eventi tra il ’43 e il ’44 aprì la strada all’implosione della generazione intellettuale libertaria tra le due guerre. Così, dopo l’8 settembre, nello smarrimento emotivo generale, Leo Longanesi abbandona Roma in compagnia dell’amico Steno e attraverso un viaggio picaresco attraverso l’Abruzzo (raccontato oltre che nel suo Parliamo dell’elefante anche da Mario Soldati e lo stesso Steno in altri due bei libri) arriva a Napoli, dove per un po’ lui – il creatore dello slogan «Mussolini ha sempre ragione » – collaborerà addirittura con gli americani. E tornato a Roma nel ’44 troverà diffidenza e incomprensioni. Ma i vecchi equilibri si erano spezzati: Mario Pannunzio prima viene rinchiuso a Regina Coeli per un suo articolo “sovversivo” e poi, uscito dal carcere, comincia a occuparsi del quotidiano Risorgimento liberale. Molti restano a Roma con un atteggiamento disincantato, una grande quantità di giovanissimi va al Nord: si arruolano tra i volontari di Salò.
Sarà Elio Vittorini, nel ’46, a spiegare da «uomo legato al fascismo» fino all’intervento mussoliniano in Spagna, cheanche quei giovani che rimarranno «legati al fascismo» anche oltre la guerra di Spagna, malgrado Monaco, «malgrado il ’39 o il ’40, o il ’41, o il ’42», lo faranno in un modo ribelle, sostanzialmente libertario, fondamentalmente «non reazionario». Spiegava lo scrittore siciliano – che dall’originario fascismo di sinistra e dalla passione per la letteratura americana perverrà al Pci per poi rompere con Togliatti già nel ’46 proprio sulla questione della libertà dell’intellettuale – che su questa questione occorre spingersi nel profondo: «Fino all’ultimo i giovani hanno potuto credere che il fascismo fosse in lotta contro ogni sorta di reazionari ». Del resto, lo stesso fascismo di Longanesi non si spiega se non in questa chiave: «Del fascismo lui accettava Mussolini – ha precisato l’amico scrittore Bruno Romani – e non la retorica nazionalista e patriottica, quella sull’impero, come certe forme di di sciplina o di controllo intellettuale, e per questo basta guardare i numeri dell’Italiano sulla letteratura sovietica o sul razzismo. Perché? Perché nel fondo era un anarchico, come Mussolini una volta gli aveva detto: “È un modo per restar sempre giovane”».
Cosa accomuna, infatti, questa generazione intellettuale oltre l’inquietudine e oltre l’essersi trovati in mezzo ad avvenimenti di una tragicità epocale? Forse proprio quella che definiamo la via italiana al libertarismo, uno stato d’animo mai inquadrabile, sempre irrisolto, sempre senza una casa stabile di riferimento. Pensiamo a Indro Montanelli, ad esempio, fascista e seguace di Berto Ricci, che – anche lui come Vittorini – rompe col regime sulla guerra di Spagna, accusato di non aver vergato reportage eroicizzanti a favore del regime. Oppure lo scrittore veneto Giuseppe Berto che, dopo la sua guerra in camicia nera e la sua lunga prigionia nel Fascist’s criminal Camp nel Texas, dirà: «Sono partito da un collettivismo nel quale mi sarei annullato pur di servire gli altri, anche il mio fascismo ebbe questo carattere. E sono arrivato a un accanito individualismo…». E arriverà a definirsi «anarchico per rassegnazione e per disgusto».
Mario Pannunzio, già nel 1944, fonda Risorgimento Liberale, un giornale sul cui ruolo Mirella Serra ha pubblicato il recente I profeti disarmati (Corbaccio, pp. 228, euro 18) e dove – tra i tanti – scriveranno Giovanni Comisso ed Ennio Flaiano, Mino Maccari e Ignazio Silone. E proprio Silone, interlocutore in quel clima del postfascista Alberto Giovannini, aveva già pubblicato – il 27 ottobre 1945 – su l’Avanti! l’editoriale «Superare l’antifascismo ». Un’intuizione che veniva fatta propria anche dal giovanissimo filosofo Augusto Del Noce, il quale sul giornale di Torino Il Popolo Nuovo del 30 maggio si diceva d’accordo invitando le giovani generazioni intellettuali ad «andare oltre l’antifascismo».
In quel clima, comunque, sarà Ennio Flaiano a riassumere il sentimento comune di tutta una generazione intellettuale: «La nostra generazione l’ha preso in culo. I preti da una parte, i comunisti dall’altra». Dopo il ’45 questi intellettuali si troveranno a dover fare i conti con due blocchi conservatori che cozzavano come macigni contro le loro aspirazioni libertarie: la Dc e il Pci. E al di là delle più diverse scelte di campo operate dai singoli, resta comune a tutti sullo sfondo una ricerca di qualcosa di impossibile. Longanesi sognerà e cercherà di costruire una sua destra immaginaria, Pannunzio ipotizzerà la sua “terza forza” tra cattolici e comunisti, Montanelli sceglierà il rifugio nel suo giornalismo anticomunista, Vittorini proverà invece a proseguire la sua battaglia per il rinnovamento letterario e per la cultura di massa attraversando il Pci per poi discostarsene subito…
Di tutti questi intellettuali Longanesi – il più lucido, il più irriducibile, il più refrattario all’incasellamento – è un po’ il fratello maggiore. Così, ad esempio, Ennio Flaiano, che si occupa di cinema, incontra un giorno l’amico Leo, da poco partito con l’avventura della sua casa editrice. E Longanesi rinnova al pescarese l’antico invito a scrivere un romanzo. Ricorderà Flaiano: «Dovevo rivederlo a Milano, nel duro inverno del ’46. Passeggiavamo cortesemente, una sera di dicembre, quando si fermò e mi disse: “Mi scrive un romanzo per i primi di marzo?”». Nel marzo del ’47 Flaiano consegna a Longanesi Tempo di uccidere che vincerà il primo Premio Strega. Nel ’49 – il primo numero in edicola è del 26 febbraio – Flaiano viene poi chiamato da un altro amico, Mario Pannunzio, a svolgere il ruolo di caporedattore della nuova rivista Il Mondo. E al Mondo, Flaiano si occupa soprattutto delle fotografie, della scelta delle foto da mettere in pagina, cosa che lui, Benedetti e Pannunzio avevano imparato da Longanesi. «Con una foto in mano, io divento un leone», era il vanto di Leo. E anche questo la dice lunga su quanto, in realtà, accomunasse gli “irregolari” del Mondo a quelli che con il Borghese – la rivista che Longanesi fonda a Milano l’anno successivo – sono stati a loro contrapposti da una vulgata consolidata ma del tutto inconsistente. E anche questo la dice lunga sull’esistenza di un’anima libertaria nella cultura italiana nell’immediato secondo dopoguerra. Così, ad esempio, un giovane Giovanni Spadolini firmò per tutte e due le testate e tra i collaboratori del Mondo degli inizi c’era anche – con la sua rubrica “Diario italiano” – Panfilo Gentile, poi noto come intellettuale di destra su posizioni antipartitocratiche. Tra le firme del Borghese si segnalavano inoltre l’antifascista Giovanni Ansaldo, lo scrittore americano Henry Furst, che era stato legionario fiumano con d’Annunzio, il giornalista Gaetano Baldacci e il napoletano Guglielmo Peirce, un ex “comunista libertario” accusato dagli staliniani di deviazionismo trotzkista e che aveva passato buona parte degli anni del fascismo in prigione.
Ed è sorprendente il parallelismo tra le battaglie delle pattuglie giornalistiche del Mondo e del Borghese. «Paradossalmente – scrive Raffaele Liucci – il Mondo fu l’unico, tra i rotocalchi del dopoguerra, a rimanere fedele alla lezione del vecchio Omnibus longanesiano». Come ha osservato Nello Ajello, «gli uomini e le correnti di pensiero che restavano culturalmente fuori dal gioco aspettavano da anni di raccogliersi introno a qualcuno. L’intonazione laica e anticomunista che Pannunzio diede al suo giornale gli consentirà infatti, tra il ’49 e il ’53, di condurre in porto un’operazione che sarebbe apparsa, in altri tempi, impensabile». Aggiunge Liucci: «In fondo il Mondo aveva un obiettivo speculare a quello del Borghese: testimoniare che, in Italia, vi era uno spazio che il potere democristiano e l’egemonia comunista non potevano conquistare». Non a caso, nel 1955 nascono parallelamente sia i Circoli del Borghese che l’associazione degli Amici del Mondo: «Forse inconsciamente – sottolinea Liucci – riecheggiava nei promotori la memoria storica della grande stagione dell’associazionismo che Milano aveva sperimentato nell’Ottocento… Anche il Borghese, in questo senso, auspicava un movimento d’opinione che dalla società civile potesse giungere alla società politica».
L’11 giugno di quell’anno i Circoli del Borghese di tutta Italia si riunirono in assemblea a Milano e approvarono un ordine del giorno che si richiamava esplicitamente alla tradizione risorgimentale e si opponeva alla Dc e alla sua vocazione corruttrice. In una lettera del ’56 Longanesi spiegava il “suo” programma: «Noi dobbiamo: attaccare l’America, la Russia, il conformismo borghese, la Dc, il socialismo e la destra. Vale a dire tutti. Così siamo a cavallo…» E sempre nel ’55 i giornalisti e i collaboratori del Mondo dapprima organizzano a due convegni nazionali e, a dicembre, danno vita al Partito radicale: tra gli aderenti i membri delle due organizzazioni universitarie Unuri e dell’Ugi, tra i quali il giovanissimo Marco Pannella, gran parte della redazione del Mondo, tra cui il direttore Mario Pannunzio, e vari giornalisti tra i quali Arrigo Benedetti. Importante il convegno che si svolse a Roma il 18 gennaio del ’56 e che vide riuniti molti dei nomi della nostra vicenda: tra gli altri, Elio Vittorini ed Ennio Flaiano, Mino Maccari e Mario Soldati. Ma in quella seconda metà degli anni Cinquanta sia per gli Amici del Mondo che per i Circoli del Borghese non sembravano esserci veri spazi politici. Longanesi, in particolare, uscì molto deluso e provato dagli esiti dell’assemblea di Milano. Il giornalista Piero Buscaroli, uno dei principali organizzatori del progetto, racconterà in seguito dei partecipanti: «Erano soltanto federali messi da parte, o dissidenti, o monarchici, o liberali conservatori o ex dell’Azione cattolica. Fu allora che io capii che, salvo rarissime eccezioni, stavamo ramazzando tutti gli avanzi e tutti i dissenzienti di tuti i movimenti di destra…». E altra era, invece, l’aspirazione del “borghese libertario” Longanesi e dei suoi amici. Lo scrittore Goffredo Parise raccontò che «l’adunata di Longanesi (era) stata una cosa pietosa, perché v’era tutto il mondo che Longanesi ha sempre preso in giro, compresa una donna di ottant’anni che gridava… “Viva Cavallotti”». Non che l’avventura “politica” degli amici di Pannunzio sortisse un destino migliore che non fosse, per allora, quello del minoratismo intellettuale e dell’incapacità di incarnare le proprie istanze libertarie e garantiste in azione politica. Se Longanesi pagava lo scotto di non essere compreso, ed equivocato, dalla destra patriottarda e conservatrice dell’epoca, Pannunzio non riusciva a posizionarsi rispetto alla vocazione minoritaria delle forze laiche tradizionali.
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
1 commento:
complimenti al direttore Lanna per l'interessante post. Mi permetto di segnalare sperando di far cosa gradita post del Khayyam’s Blog sullo scrittore siciliano e sull’opera di Vittorini citato nel corso dell'articolo:
http://khayyamsblog.blogspot.com/2009/04/limpegno-per-una-nuova-cultura-elio.html
Saluti, Antonella
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