domenica 20 aprile 2008

La vie en Ruggeri


Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 20 aprile 2008
Non c’è due senza tre. Una regola non così scontata in televisione, dove non si può prescindere dagli ascolti. La terza edizione de “Il bivio, cosa sarebbe successo se…” – format condotto da Enrico Ruggeri – è partita giovedì scorso su Italia Uno e si snoderà in otto puntate settimanali. Storie di emarginazione, uomini e donne alle prese con un destino ingeneroso. Il bivio: perché c’è sempre un’alternativa nella vita e non bisogna arrendersi mai, neanche quando tutto sembra (è) contro di noi. E anche il programma si è trovato di fronte a un bivio: affidarsi alle sperimentate dinamiche della tv del dolore o rischiare dando vita a una trasmissione capace di raccontare senza spettacolarizzare morbosamente la sofferenza altrui.
Ruggeri, spirito controcorrente per vocazione, ha scelto la seconda strada, dimostrando «che si può fare una buona tv senza urlare, senza kultura con la “k”». Una sfida affrontata senza lasciarsi inghiottire dal gioco: «Nel meccanismo televisivo fare ascolto è fondamentale ed è facilissimo farsi prendere la mano e passare sopra a tutto e tutti come uno schiacciasassi – ha detto – mentre io credo di essere riuscito a non farlo». Eppure i consensi, soprattutto dal pubblico, sono arrivati, malgrado la collocazione – in seconda serata, con inizio alle 23.15 – non sia delle migliori. Su Italia Uno, naturalmente. Non certo su Raitre. Lì, per chi non fa parte della famiglia – sia pure allargata – della sinistra italiana e antiberlusconiana c’è poco spazio. Passano gli anni e si alternano le maggioranze di governo, ma il palinsesto continua a scorrere senza deragliare sulle arrugginite rotaie dell’ideologia di riferimento.
Ruggeri se n’è fatta una ragione. «Non andrò mai su Raitre – ha dichiarato in una recente intervista a Vanity Fair – ci sono alcuni programmi in cui quelli di un certo ambiente di sinistra si invitano tra loro… uno come Fabio Fazio, a “Che tempo che fa”, non mi chiamerà mai». Perché – come ha detto il critico Aldo Grasso – Ruggeri è un artista «identificato a destra in una tv tendenzialmente di sinistra»? Roberto Vecchioni, durante un’intervista alle “Iene” di Italia Uno l’ha definito «un cantante di destra da ammirare».
Ma essere bravi non basta se non sei di sinistra, se decidi ostinatamente di non farti arruolare da chicchessia rimanendo fuori dagli schemi. «L'ostacolo più duro con cui ho dovuto lottare in trent’anni di carriera». Diventare una rockstar senza chiudere il pugno. «Io mi sento principalmente un uomo libero e generalmente critico nei confronti di qualsiasi potere – ha dichiarato – e poi non credo che Massimo D'Alema sia così tanto di sinistra o Gianfranco Fini sia così tanto di destra». In effetti agli occhi di un precario che fatica ad arrivare a fine mese, pensare a D’Alema – con le sue scarpe in pelle umana e al timone di barche di lusso – come a un uomo di sinistra è abbastanza complicato, almeno quanto negare la sensibilità sociale della destra.
Forse quel che dà fastidio di Ruggeri è proprio quel suo raccontare – non da sinistra e senza retorica politica politicamente corretta – gli ultimi, i figli di mille sconfitte. Come nella splendida canzone Inevitabilmente: «Era la vita per me / era già scritta male in me / inevitabilmente /soldato scelto della guerra perdente». È una sincera filosofia di vita, quella che ha sempre accompagnato Enrico, convinto che ci sia «più fascino nella sconfitta che nella vittoria». E la stessa poetica dei perdenti c’è nella più recente Eroi solitari (2005, canzone dedicata «a tutti gli sconosciuti eroi sconfitti») il cui testo recita così: «Noi abbiamo dei padri / e ci stanno guardando da lassù / mentre il passato conserva / la nostra memoria / se il fischiare del vento / non potrai sentirlo tu / tu puoi cantare vittoria / puoi raccontare una storia / non scritta da noi». Parole che – a parere di alcuni – odorerebbero di fascismo.
Una diffidenza, quella della critica militante nei confronti dell’autore milanese, che viene da lontano. L’ha ricordata lui stesso, con la caratteristica ironia, nell’autobiografia La vie en rouge: «Venivamo tenuti sotto osservazione dalla gente di sinistra per la musica che proponevamo, un rock duro alla Lou Reed, artista considerato di destra». Perché vestiva di nero e aveva i capelli molto corto. Un dettaglio fuori posto era sufficiente per rischiare la pelle. Persino gli occhiali da miope. «Un gruppetto di estremisti mi vide all’uscita di scuola e cominciò a urlare: guardate quello, ha occhiali scuri da fighetto fascista. Negli anni dell’allineamento politico a sinistra, anche gli occhiali scuri erano, almeno così dicevano, di destra. Per non morire, ho trasformato gli occhiali da oggetto di discriminazione a segno distintivo, mi venne in aiuto Knox, il cantante dei Vibrators, che portava occhiali scuri dalla montatura bianca». L’unità generazionale del ’68 venne presto meno e l’ala creativa degli anni ’70 dovette cedere il passo alla stagione dell’intolleranza. Enrico, classe ’57, fece giusto in tempo ad assaporarne il sapore agro: «Se non eri comunista, erano guai. Frequentavo il liceo Berchet. Ricordo professori terrorizzati, vittime di un maccartismo al contrario. A lezione citavano solo autori di sinistra, sei mesi su Marx e nemmeno una lezione su Nietzsche e Schopenhauer. In Italiano, niente D’Annunzio e poco Leopardi e Foscolo, ma ore e ore su Gramsci». Un mondo in bianco e nero, in cui se non eri “dei loro” diventavi – di fatto – un fascista e quindi un nemico da eliminare: «Ricordo un giorno del ’72, l’intero liceo riunito in assemblea quasi permanente. Due ragazzi presero il microfono: Compagni, un’ora fa il proletariato ha giustiziato il commissario Calabresi. Ovazioni, applausi anche dai professori. Da quegli anni ho imparato quanto sia bello combattere contro l’arroganza, quanto sia gratificante stare fuori dal coro».
A soccorrere Ruggeri arrivò il punk.
«Sì, fui salvato dal punk. Non potevo darmi alla musica tutto eskimo e falce e martello, non era nel mio Dna. A metà anni ’70 ereditammo dall’Inghilterra quella musica incredibile sulle note dei Sex Pistols». Già, il punk, un genere rivoluzionario animato «dalla voglia di non allinearsi e dal piacere della provocazione». La scena rock era “vergine” e il palco era tutto dei Collage, dei Camaleonti, dei Dik Dik, tutti gruppi prettamente pop. «Si vestivano con il pantalone bianco, indossavano la giacca pastello e sul palco proponevano brani molto melodici pertanto noi avevamo davanti un’autostrada». Per cambiare le regole del gioco facendo musica di rottura, perché «fare rock non vuol dire solo suonare con le chitarre distorte».
Nel ’74 arrivano i primi concerti con gli Champagne Molotov. Nell’ossimoro c’è il manifesto della band: accostare la ribellione e la forza d’urto con l’eleganza e la raffinatezza. Nel ’77 Ruggeri inventa il gruppo dei Decibel con un’iniziativa di stampo “situazionista”: annunciando un concerto punk dei Decibel, un’invenzione che suscita la reazione anti-punk dei movimenti giovanili della sinistra. La stampa scopre così i Decibel e la Spaghetti Records propone loro un contratto: la registrazione di Punk, l’album del debutto.
Un passato musicale che Ruggeri non rinnega, al contrario: «Penso che il primo album dei Decibel sia stato molto importante per la scena rock italiana, uno stimolo per tutte le band che sono venute dopo di noi, come i Litfiba, che hanno proseguito il discorso che noi avevamo cominciato »
Cattivi maestri per i giovani, come recitano le solite polemiche benpensanti? No. «Perché il rock ha senso solo se percorre vie diverse da quelle che un ragazzino è costretto a percorrere dai genitori e dalla scuola. Lo stesso vale per i cantautori, non piacciono più nel momento in cui i professori iniziano a farne studiare i testi agli alunni. Nel momento in cui io ho incominciato a vedere su qualche antologia Il Mare d’Inverno e Il Portiere di Notte da un lato sono rimasto lusingato, ma dall’alto ho cominciato a preoccuparmi, perchè nel momento in cui le istituzioni codificano il tuo esistere è chiaro che per un ragazzo potresti diventare un nemico…».
E infatti quando, nel ’80, partecipa al Festival di Sanremo con la sua Contessa – niente a che vedere con quella di Paolo Pietrangeli, vecchia colonna sonora di barricate e scontri di piazza –, sotto casa sua fioriscono le scritte «Vai a Sanremo? Sei un servo del potere!». Semplificazioni che rifiuta: «Noi viviamo da decenni questa spaccatura per cui da una parte c’è la musica d’autore, dall’altra c’è la musica pop d’evasione, che per definizione deve essere idiota. La sfida sta nello scrivere dei testi di contenuto, di creare delle musiche che concilino il gusto dello spettacolo con l’intelligenza. Mi batterò sempre per questo ed invito soprattutto i nuovi autori a farlo, anche se è una via che richiede molto “coraggio”». E Ruggeri quel coraggio l’ha dimostrato, rimettendosi ogni volta in gioco. Da scacchista provetto. «Però io non sono competitivo in senso classico. Non mi metto mai in gara con gli altri colleghi, non godo se i loro dischi vanno male, anzi mi dispiace. E non mi dispero se i miei non scalano la classifica. Sono molto competitivo invece verso me stesso. Mi sento in dovere di tirar fuori tutto il possibile dalle mie capacità. Sempre». In tempo di pace – diceva Zarathustra – un uomo guerriero si scaglia contro se stesso.
Nonostante le ribalte sempre più prestigiose, i riconoscimenti come autore e cantante, le (due) vittorie al Festival nazionalpopolare per eccellenza e i milioni di dischi venduti, non si è mai accomodato – come altri suoi colleghi – in facili clichè commerciali. Artista versatile, contamina con la sua personalità più generi senza mai ripiegare nell’ammiccante minimalismo sentimentale di chi fa felici case discografiche e minorenni piangendosi addosso per amori dolenti. Quello di Ruggeri è, semmai, un rock esistenziale. Nel nuovo album Rock Show – disponibile dal 2 maggio, il cui primo singolo estratto, La terra e la luna, fa da sigla al programma televisivo – torna infatti a raccontarsi. Senza peli sulla lingua.
L’artista milanese, per quanto schivo, non ha mai rinunciato a dire la sua. Sui rischi di una globalizzazione che minaccia le identità culturali e in difesa del popolo tibetano. E soprattutto contro la pena di morte. Dal 2000 collabora con Nessuno Tocchi Caino e al festival di Sanremo del 2003, in coppia con la compagna Andrea Mirò, ha presentato una canzone dal titolo omonimo denunciando il fatto che in molti Stati americani viga ancora questa pena.
L’America che gli piace è un’altra: è quella libertaria e irregolare di Charles Bukowski, John Fante e Bob Dylan. Meno quella che canta in Paisà, il pezzo in cui il cantautore racconta i giorni del ’43 e del ’44, il tempo in cui i figli dei federali buttarono alle ortiche la camicia nera e il moschetto per dire che, in fondo, i loro padri avevano fatto i partigiani e per impugnare sigarette e cioccolata e quella «bevanda fredda e scura che pizzica nel naso». Simboli di un’America che fino a qualche ora prima non aveva esitato a bombardare chiese, monumenti, case e scuole dell’Italia. «Nella seconda guerra mondiale – ha spiegato Ruggeri – gli americani per “liberarci” hanno raso al suolo le città: 200 bambini morirono in una scuola a Gorla, eppure noi li abbiamo accolti con affetto. E da allora gli americani hanno creduto di poter bombardare chiunque, tanto tutto sarebbe stato perdonato». E non è meno tenero nei confronti dell’americano medio, come ha intitolato una canzone che fa così: «Ho paura di attentati / di terroristi così spietati / delle bombe, del Corano / e del colore che non è il mio / di chi non prega il nostro Dio / ho paura di tutto quello che non capisco / Dio dei normali libera dal male tutto il mondo commerciale». Parole che a sinistra vorrebbero tanto ascoltare, ma non da Enrico Ruggeri.

16 commenti:

Anonimo ha detto...

complimenti! Bell'articolo!

Anonimo ha detto...

bhe che dire? nn condivido.....mi sembra una "lettura" un po' estrema e forse deleteria.adoro enrico,le sue canzoni e il suo modo di essere ma le questioni politiche sono sempre soggettive e contrastanti.bello comunque poter sempre confrontarsi. ciao sandra alias contessa

Anonimo ha detto...

Che Ruggeri fosse di destra l'ho saputo quando me l'hanno detto. Come Contessa, credo che la musica sia al di là di certe classificazioni.

C'è stato un periodo in cui Ruggeri mi piaceva molto: non è da tutti scrivere roba come "Mare d'inverno" o "Poco più di niente". La voce è quello che è, gli arraggiamenti risultano spesso prevedibili, e un album bello da principio a fine non l'ha mai fatto.
In ogni caso, le sue canzoni più belle migliorano se cantate da altri (altre).

Ha scritto anche tante schifezze. Roba tipo "Ti avrò", che proprio scriveva con la sua personalità. Inoltre spesso finisce per assomigliare ad altri (da Fossati a Conte).
Il Ruggeri recente non mi attira. Non perché so da qualche anno che è di destra, ma perché penso che ormai abbia ben poco da dire.

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Grazio a Gano e complimenti per il sito!

Per Contessa (Sandra).
Lettura un po' estrema e deleteria? E perchè mai? Al di là dell'artista, apprezzo Ruggeri anche perchè sfugge a ogni definizione politica. Non è stato di sinistra quando esserlo procurava indubbi benefici. Non si dichiara di destra oggi che la destra è al governo. E', come ho scritto, un irregolare. Giorni fa ha "smentito" di essere di destra, dicendo che porta avanti le sue battaglie indipendentemente dagli schieramenti. I suoi testi, tuttavia, restituiscono spesso "suggestioni di destra", questo è indiscutibile quanto inutile rilevarlo. Classificare gli artisti non ha senso, io ho cercato soprattutto di raccontarne - attraverso le sue interviste - la storia: quella di un anticonformista.

Per Claudio.
Dissento sulla voce, a me non dispiace affatto: il Mare d'inverno - ad esempio - lo preferisco cantato da lui.
Certo, in una produzione sterminata - trent'anni di carriera - c'è qualche prova opaca e canzoni trascurabili, ma tra i cantautori ancora in giro mi sembra uno dei più interessanti.

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Ringrazio Gano per aver segnalato l'articolo sul suo forum (http://nuovoswing.forumup.it/about512-nuovoswing.html) e mi fa piacere che sia piaciuto a Enrico Ruggeri.
Ciao

Anonimo ha detto...

naturalmente nel mio post volevo scrivere "stridono con la sua personalità".

Avevo letto anch'io l'intervista a cui ti riferisci, Roberto. Alla fine Ruggeri chiariva di aver spesso abbracciato cause e posizioni non definibili "di destra", pur sentendosi lontanissimo dalla sinistra o da una certa cultura di sinistra. Chissà perché ho pensato a De Benoist, quando si definisce "uomo con valori di destra e idee di sinistra".

Ruggeri fu intervistato da Terzaghi qualche anno fa su Diorama. Anche lì lo apprezzai molto per le sue posizioni riguardanti l'occupazione dell'Iraq e la questione internazionale.

Per quanto riguarda la sua collocazione tra i cantautori italiani attuali, devo dire che gli preferisco di gran lunga Bersani.
Ciao!

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Definizione che, a mio avviso, si sposa benissimo anche a Ruggeri. Sì, in un'altra intervista diceva proprio che aveva idee di destra sulla sicurezza e di sinistra sulla guerra in Iraq. La verità è che le categorie destra/sinistra hanno fatto il loro tempo e la società moderna è troppo complessa per essere ricondotta a semplificazioni del genere.
Bersani? Ma dai!!! :))

Anonimo ha detto...

Caro Rob.:
sentiti canzoni come "Giudizi universali" o "Pescatore d'asterischi" e poi dimmi se non sono dei capolavori...

Una volta mi piaceva anche Daniele Silvestri. Rimane forse il più geniale, ma negli ultimi anni questo genio lo sta sprecando. Canzoni come "Salirò", "Kunta Kinte" o "La paranza" uno come lui le scrive al mattino mentre si fa la barba, mentre io aspetto un altro album come "Prima di essere uomo" o "Il dado".

Anonimo ha detto...

occhio robè, che su bersani metti in gioco la nostra amicizia!
tra i giovani (meno di 40 anni) è il migliore: musiche straordinarie, testi vagamente futuristi, pensieri dissacranti e provocatori. un po' difficile al primo ascolto ma poi...
l'unica delusione me l'ha data quando - intervistato da Lussana per il Giornale - ha rivelato di essere juventino. ma, ormai, a queste cose, il mio povero cuore granata si sta abituando... starò invecchiando?

elmar ha detto...

ottimo articolo, complimenti!
Ruggeri è sempre il migliore!

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Grazie Elmar :)

Riguardo a Bersani... lo ascolterò con più attenzione e vi farò sapere!

:)

Anonimo ha detto...

Sono d' accordo con Claudio Ughetto riguardo al fatto che la musica e l' arte in genere siano fuori da certe classificazioni. Dissento pero' sul paragonare il pur bravo Samuele Bersani con Enrico Ruggeri il quale ha alle spalle capolavori assoluti che Bersani non ha. Ha inoltre un passato musicali che in Italia pochissimi hanno, e una capacita' di scrittura riconosciuta da molti.Non vorrei scambiassi un pur bravo e originale cantautore con un mostro sacro della musica italiana che ha il solo difetto di avere il coraggio delle proprie scelte artistiche rischiando spesso. Ciao!

Anonimo ha detto...

grazie Roberto, per lo spazio che hai dato alla musica di Enrico! il tuo articolo è segnalato anche nella homepage di www.nuovoswing.com oltre che nel forum! ciao

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Grazie Gano, l'avevo già notato!
A rileggerci.
Roberto

Anonimo ha detto...

ciao
l'autore ha usato la copia della mia copertina autografata di Vivo da Re ......... ciao enrico

Anonimo ha detto...

"uomo con valori di destra e idee di sinistra". sembrerebbe l'uomo perfetto dunque.Molto bello questo articolo,spiega molto bene le sue posizioni.Io sentendo le sue bellissime canzoni piene di sensibilità, che affrontano temi scottanti, si occupano delle ingiustizie, hanno sempre uno sguardo verso i più deboli,dipingono così bene l'animo delle donne, danno voce ai diseredati però spesso mi dico;accipichia questo è più di sinistra di me. Non credo che abbiano senso le definizioni quando parlano i fatti, e Ruggeri è un uomo da prendere a modello anche se è di destra.Saluto il fan club e Gano,non ricordo più la mia password.Erika(rickyriot???boh)