martedì 22 giugno 2010

La nuova Italia che si formò lì a Hereford (di Luciano Lanna)

Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di martedì 22 giugno 2010
Cos'è, e cos'è stato, lo "spirito di Hereford"? Due episodi, riportati nel libro che abbiamo tra le mani - Hereford, Texas: onore e filo spinato (Novecento, pp. 240, tel. 040/3498002) - ce lo spiegano sen'altro meglio di tante teorizzazioni... Tra i "non cooperatori" del campo di concentramento texano per prigionieri italiani, il Fascist's Criminal Camp, c'era per esempio Giovanni Dello Jacovo: nel dopoguerra sarà dirigente del Pci, farà le battaglie per i diritti dei braccianti, entrerà in Parlamento...
 Una volta Gianni Roberti, altro reduce di Hereford, ma che nel '48 aveva scelto la Cisnal e il Msi, «deputato nella stessa circoscrizione campana, rammentava che durante un comizio elettorale, sceso dal palco incrociò proprio Dello Jacovo, che si apprestava a salirvi. Si riconobbero istantaneamente, abbracciandosi commossi, mentre la gente assisteva senza capire a quei calorosi, più che amichevoli, atti d'affetto tra due diretti avversari politici, ignorando la loro lunga, comune convivenza nel reticolato texano». L'altro episodio: «Un giorno della primavera 1948, Palmiro Togliatti incontra in Transatlantico un deputato napoletano del Pci. "Perché non sei in aula?", gli chiede. «Sta parlando uno del Msi". E Togliatti: "Chi è?". "Gianni Roberti". La risposta togliattiana: "Guarda che sbagli a non ascoltarlo. Torna subito in aula"...».
Autore del libro è Adriano Angerilli, classe 1918, nativo di San Genesio, entroterra marchigiano, oggi uno splendido novantenne con alle spalle non solo i due anni a Hereford ma una carriera da ufficiale della Forestale. E il libro è la rielaborazione della sua seconda tesi di laurea, in Lettere, discussa a ottant'anni - era il 1998 - al Magistero di Arezzo, fra ragazzi che oscillavano fra i venti e i trent'anni. Angerilli scelse di laurearsi, con tutti i crismi dell'ufficialità accademica, raccontando con sobrio linguaggio e corretta documentazione di come vissero e furono trattati quei prigionieri italiani, durante il secondo conflitto mondiale, dal 1943 al 1946 nel campo di Hereford, Texas. Prigionieri, va chiarito, non-cooperatori. Termine questo quasi del tutto sconosciuto come tutta quella loro vicenda. Eravamo nei giorni successivi all'8 settembre, all'armistizio e alla fuga del re e del governo Badoglio. Accadimento che colpì anche fra i cinquantamila prigionieri condotti negli Stati Uniti dopo la definitiva sconfitta e resa in Nord Africa ai primi di maggio del '43. E fra costoro c'era anche il capo-manipolo della milizia forestale Adriano Angerilli, volontario, fronte francese e quello greco-albanese, successivamente la Libia e la cattura in Tunisia. Rientrato in Italia a fine febbraio 1946, nel porto di Napoli, fu epurato e poi reintegrato nel corpo forestale dello Stato. Oggi, all'età di novantadue anni, tutte le mattine attraversa il centro storico di Arezzo, compra diversi quotidiani, che si legge attento e curioso, ascolta la radio e non guarda la televisione, a pranzo sempre e solo un minestrone di verdure e per cena un bicchiere di latte. Cercando di definirsi, politicamente e culturalmente, Angerilli non ha problemi a presentarsi come «uno spirito laico e indipendente». Rivendica le radici risorgimentali della sua famiglia, che ha sempre ricordato gli avi attivi nei moti per l'indipendenza del 1830-31 e sostenitori della Repubblica Romana, la memoria garibaldina, e oltretutto «non mancava in casa neanche un bel medaglione di Giordano Bruno». In famiglia era poi sempre rispettata la festa del 20 settembre, «malgrado fossero trascorsi oltre cinquanta anni dalla breccia di Porta Pia». Allo stesso modo, il nostro Angerilli rievoca la formazione gentiliana a scuola e il magistero del suo professore Ferruccio Gard, il quale al liceo aveva fatto adottare il manuale di Guido Calogero, lo stesso pensatore di matrice attualista che nel dopoguerra sarà tra i maggiori esponenti del Partito d'Azione.
Ma chi erano i non-cooperatori? Nell'ottobre del 1943 e nei mesi successivi, in tutti i campi di detenzione - in Africa, India e Inghilterra, oltre che in Usa - vennero invitati i prigionieri a sottoscrivere scheda di collaborazione a favore degli alleati, ove si richiedeva di promettere di lavorare in favore degli americani, ove si richiedeva di promettere di lavorare in favore degli alleati «contro il nemico comune, la Germania». Vi fu, però, un quarto della totalità dei prigionieri che si rifiutò, in primo luogo, per rivendicare «della non perduta dignità di soldati italiani combattenti» e, come scrive ancora il generale Angerilli, «personalmente non ebbi mai dubbi, cedimenti, tentennamenti o vituperevoli calcoli». Una parte di costoro, appunto definiti non-cooperatori, furono ristretti a Hereford in in Texas. E su di loro la pressione perchè retrocedessero dalla decisione assunta, magari con una solenne bastonatura la notte del 20 aprile 1944 e riducendo progressivamente le razioni di cibo.
E in quel campo di Hereford si realizzò una comunità umana di cui fecero parte personaggi come i futuri scrittori Giuseppe Berto, Dante Troisi e Gaetano Tumiati, artisti come Alberto Burri, studiosi come Augusto Marinoni, giornalisti come Armando Boscolo (che sarà caporedattore a La Stampa e fondatore di una rivista come Motociclismo) e Vincenzo Buonassisi, poi celebre come gastronomo e conduttore di trasmissioni tv, e futuri uomini politici come Beppe Niccolai, i già citati Dello Jacovo e Roberti, Roberto Mieville (primo leader dei giovani missini e ideatore dello slogan "Boia che molla!") e il professor Nino De Totto, che sarà deputato del Msi e scriverà della sua esperienza. La triestina associazione culturale "Novecento" ha quindi il merito di aver stampato la tesi, che consente di arricchire la non ricca bibliografia sull'esperienza di Hereford. «Nel libro - annota Mario Michele Merlino nella postfazione - racconta di sé per raccontare di un'esperienza generazionale. Non cooperatori in Texas nel 1943, prima di Guantanamo. Soldati, non terroristi presunti o reali. Eppure, avendo scelto di attenersi all'onore, vennero trattati con disprezzo, arroganza, minacce e botte». Nello spazio ristretto di Hereford - e la tesi del generale Angerilli è puntuale e puntigliosa nell'attestarlo - alcuni diventarono scrittori. Qui Alberto Burri dismise le vesti del medico per scoprire, utilizzando i sacchi di juta contenenti fagioli o riso, la vena del futuro artista innovativo e di fama. Forse, non il luogo in sé, ma una cultura aveva comunque fermentato e dato, nel dolore e nel sacrificio, segnali di vita e prodromi del futuro.
Luciano Lanna
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3 commenti:

giovanni fonghini ha detto...

Ai tanti nomi illustri, che furono prigionieri degli Usa nel Criminal Fascist Camp di Hereford nel Texas, ne voglio aggiungere uno, non illustre, ma che suo malgrado fu costretto a salire agli "onori" della cronaca nera un giorno di aprile del 1973: Mario Mattei, segretario della sezione missina del popolare quartiere romano di Primavalle, padre di Stefano e Virgilio Mattei, arsi vivi da Achille Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo.
Mario Mattei a 16 anni partì volontario nel Battaglione San Marco, inquadrato nelle forze armate della RSI. Fu arrestato dagli americani e spostato ad Aversa, da lì poi trasferito ad Hereford, dove rimase 3 anni, prima di fare ritorno a Roma (la fonte di queste notizie è il toccante libro LA NOTTE BRUCIA ANCORA di Giampaolo Mattei con il giornalista Giommaria Monti).
Sin da ragazzo sono molto affezionato alla famiglia Mattei, che subì uno dei drammi familiari più terribili del dopoguerra.
Ricordo un comizio di oltre 30 anni in piazza del Comune a Viterbo con il segretario missino Giorgio Almirante, che sul palco comiziale presentò alla piazza straboccante Mario e Anna Mattei, genitori di Stefano e Virgilio.
Io ero con gli altri ragazzi del FdG e a quella presentazione facemmo seguire un urlo, che era di amore, vicinanza e al tempo stesso di rabbia. Rabbia per il ricordo non ancora spento delle notizie bieche che avevamo letto circa una possibile faida all'interno della sezione della quale Mario era segretario. I più giovani forse lo ignorano ed altri lo hanno "dimenticato": diversi quotidiani ed altri media, per scagionare i loro amici assassini, cercarono di accreditare la tesi che non erano stati i rossi a colpire una famiglia in un luogo sacro come la casa, bensì quelle morti fossero la causa dei violenti dissidi che c'erano tra "falchi" e "colombe" all'interno del MSI di Primavalle.
Un ultimo pensiero: se un giorno avrò la fortuna di poter incontrare il signora Angerilli autore del libro citato vorrò abbracciarlo e salutarlo. Mio padre Ferrero, soldato della RSI, era del 1921 e se fosse ancora vivo avrebbe la bellezza di 89 anni. Anche lui, come tanti altri e nonostante enormi difficoltà, tenne sempre la schiena dritta e mai disconobbe il suo passato.

Anonimo ha detto...

Salve,
non so molto di Hereford, tranne che mio padre, Fedele Mastroscusa, rientrò al natio paesello di Morano Calabro solo nel marzo del '46.
Figlio unico, classe 1921, lasciò gli studi ad Arezzo per andare volontario in Africa, fatto prigioniero fu trasferito in America e lì resto fino agli inizi del '46.
Non mi ha mai raccontato nulla di quella sua esperienza, chissà che non sia in vita qualche suo compagno di quella triste esperienza che possa raccontarmi qualcosa.
Grazie a chi saprà essermi d'aiuto.

Luciano Mastrascusa

giuseppe ha detto...

Ho scoperto la storia di Hereford e dei prigionieri Italiani casualmente nel 2007, nel 2008 visitai cio' che rimaneva del campo. Nel 2009 ebbi l'onore di essere presente al restauro/cerimonia della Cappella Votiva del campo e conobbi Adriano Angerilli, Ezio Lucioli, Fernando Togni e Beppe Margottini, tutti reduci di Hereford. Sono rimasto impressionato dalla qualita' umana di chi e' passato a Hereford. Ogni anno, vivendo in zona, passo da Hereford, e lascio dei fiori ed un Tricolore presso la Cappella.
per chi volesse vedere il posto su google earth ecco le coordinate:
N 34 44'.590 W 102 25'996
e' la torre dell'acqua del campo, a sud e ovest c'erano le baracche degli Italiani.