giovedì 17 giugno 2010

Occhio alla K di Kriminal e Diabolik: gli eroi noir sono tornati

Dal Secolo d'Italia di giovedì 17 giugno 2010
A volte ritornano. Non c’è citazione più appropriata del titolo della prima antologia di racconti di Stephen King per salutare la ristampa di Kriminal. Era il 1978 e, sulla scia del successo appena raccolto con Shining, l’allora trentenne scrittore statunitense, nella postfazione, così si rivolgeva ai suoi lettori: «Parliamo della paura. C’è qualcosa che ti voglio mostrare. È una stanza non lontano da qui, è vicina quanto la prossima pagina. Partiamo?». Parafrasando il maestro dell’horror, invitiamo tutti i nostri, di lettori, a recarsi domani nell’edicola sotto casa e ad assicurarsi il primo degli otto albi di Kriminal (editi da Mondadori) che, a cadenza settimanale, popoleranno di incubi le nostre notti estive...
Sì, perché il “Re del delitto” – come si definisce nell’introvabile numero 1 del lontano 1964 – si appresta a tornare con una selezione dei migliori sedici episodi appositamente effettuata dal suo “papà”, Luciano Secchi alias Max Bunker. Due per ogni volume. Il tutto arricchito da articoli e approfondimenti per un totale di 256 pp. a sole € 7,90...
«Il personaggio più nero del fumetto italiano» andrà così a fare compagnia a un altro illustre “figlio” dello sceneggiatore milanese, Alan Ford, ormai a un soffio dal traguardo dei 500 albi mensili, la cui recente riedizione dei primi mitici numeri ha riscosso talmente tanto successo da convincere la Mondadori a continuarne la pubblicazione oltre le trenta “uscite” programmate inizialmente. Certo, Kriminal non si è dimostrato altrettanto longevo – ha cessato le pubblicazioni nel 1974 – ma, come tutto il genere di cui rimane una delle espressioni più innovative, è rimasto fortemente impresso nell’immaginario di diverse generazioni. Come non ricordare, infatti, la fortunatissima stagione dei pocket neri, i tascabili diffusissimi in Italia negli anni Sessanta e Settanta e le decine di giustizieri mascherati in calzamaglia che invasero le nostre edicole e, alcuni di loro, persino le sale cinematografiche (con risultati improbabili). L’elenco è lungo e alterna personaggi di spessore a meteore svanite presto nel dimenticatoio, originali a epigoni: da Fantax a Demoniak, da Sadik a Zakimort, da Genius a Killing. Le k e le x assumono un valore simbolico: segnano l’appartenenza all’impresentabile famiglia dei neri.
In principio fu Diabolik, il primo a scrollarsi di dosso – nel novembre 1962 – il polveroso stereotipo, mutuato d’oltreoceano, dell’eroe buono votato al salvataggio dell’umanità e a evadere dal rassicurante quanto circoscritto confine delle strisce riservate all’intrattenimento dei bambini. Ponendosi nietzschianamente al di là del bene e del male, il “Re del Terrore” creato da Angela Giussani non si lascia condizionare dall’etica comune e non ruba ai ricchi per dare ai poveri come un Robin Hood qualsiasi. Individualista in epoca di collettivismi, coltiva il proprio avventuroso stile di vita, adesso finalmente raccontato in prima persona singolare.
Proprio in questi giorni è arrivata in libreria l’attesa autobiografia – Io sono Diabolik (Mondadori, pp. 173, € 17) – in cui il ladro più famoso delle nuvole parlanti svela gli aspetti inediti della sua storia: dalle misteriose origini alle passioni per Eva Kant e per la sua Jaguar E-Typenera, dalle armi ai trucchi del mestiere. Segreti che, nel 1964, sarebbero stati preziosi per Kriminal, che – da vero ladro – per qualche periodo rubò la scena al più famoso collega. A raccogliere la sfida del nero italiano inaugurata da Diabolik, infatti, rilanciandola con la vena anarchica e grottesca che ne caratterizzerà i personaggi, sarà proprio il giovane Bunker, classe 1939, accompagnato passo passo, vignetta dopo vignetta, dalla matita del compianto Roberto Raviola, in arte Magnus. Dal loro connubio artistico nasce Kriminal, per l’appunto in tuta gialla ornata dal disegno stilizzato di uno scheletro nero e maschera da teschio, ma anche “la sorella di sangue” Satanik, in succinto abitino da odalisca, la prima (anti)eroina nera del nostro fumetto, le cui pubblicazioni cesseranno anch’esse nel 1974.
«Se Diabolik iniziò il discorso dell’eroe negativo giostrando con il fioretto – ha raccontato Secchi– Kriminal e Satanik esplosero con la scimitarra. Il fumetto prima di allora presentava eroi bravi, buoni, senza difetti, che non mangiavano mai né facevano l’amore. La sintesi può essere rappresentata dal sottotitolo del settimanale cattolico Il Vittorioso: “sano, forte, leale, generoso”. L’ipocrisia giocava un ruolo determinante. Si avvertiva la necessità di cambiare, di rompere gli schemi e tabù come quello del sesso. I miei personaggi erano di rottura, di trapasso tra un modo di esprimersi a un altro molto più libero e disincantato». L’appuntamento con la rivoluzione dei costumi non poteva essere rimandato e il fumetto nero diventa, prima ancora della letteratura, il medium della liberazione sessuale. Scatenando una vera e propria rappresaglia giudiziaria nei confronti di opere accusate (sic) di istigare a delinquere. Già dopo pochi mesi di vita Diabolik non dovrà preoccuparsi solo del tenace ispettore “di carta” Ginko ma dell’altrettanto ostinato procuratore della Repubblica di Lodi Francesco Novello che, a partire dal 1958, si farà garante della moralità e quindi fiero oppositore delle testate colpevoli, a suo dire, di essere lesive del comune senso del pudore. «Una marea travolgente di denunce e sequestri – ha ricordato Bunker – e poi la persecuzione della stampa, che era di un retrivo impressionante. Ho subito una ventina di processi contro la morale pubblica, sempre assolto in appello. Dovrebbero costruirmi un monumento, subito, senza aspettare il mio trapasso, visto che grazie a me e al mio sacrificio si è aperta una enorme libertà espressiva».
Lo stile narrativo ammicca alla violenza che, sia pure mitigata dall’humor, fa la sua irruzione sulla scena fumettistica nazionale. Rispetto a Diabolik le vicende di Kriminal risultano, se possibile, ancora più contaminate dalla realtà: se il primo si muove nell’immaginaria città di Clerville, il secondo agisce in un livido Regno Unito sin troppo simile alle nostre città dell’epoca. Le storie di quest’ultimo, peraltro, escono dalla routine di episodi inevitabilmente ripetitivi e vengono costruite attorno a una trama che si dipana albo dopo albo, con una particolare attenzione alla complessità psicologica del personaggio. L’ambientazione è quanto mai attuale: un mondo popolato da persone corrotte quanto avide. Furbetti del quartierino o cricca, comunque la si voglia chiamare si tratta di un’associazione a delinquere. Lo stesso protagonista, Anthony Logan, prima di diventare Kriminal, ne è stato vittima ed è proprio per vendicarsi che farà propria l’antica e crudele legge del taglione. Il crimine paga? Lo Stato non riesce a fare giustizia? Allora non rimane che farsi criminale, assecondando quel nichilismo che caratterizzerà il poliziottesco dei Callaghan all’italiana negli anni Settanta.
Se nella versione cartacea Kriminal è un personaggio spietato e senza scrupoli, sul grande schermo, però, viene presentato come un ladro gentiluomo, quasi fosse un nipote del già popolarissimo James Bond. Alla prima pellicola – Kriminal, 1966, diretta da Umberto Lenzi – l’anno successivo seguirà il sequel Il marchio di Kriminal, affidato a Fernando Cerchio, ma anche stavolta l’opera risulterà deludente.
Nel 1968 sarà la volta di Satanik, il film diretto da Pietro Vivarelli e prodotto da Romano Mussolini, la cui attualità è sorprendente: la protagonista, Marny Bannister, è una scienziata sfigurata che sperimenta un siero in grado (a tratti) di renderla bella e giovane ma anche particolarmente spietata. Quasi un’anticipazione dei nostri tempi, in cui l’estetica e la bellezza a tutti i costi sembra prevalere sui contenuti e sui valori morali.
Per vedere qualcosa che si avvicini all’intensità del fumetto nero, tuttavia, bisognerà aspettare la metà degli anni Settanta, quando Lucio Fulci, dopo aver lasciato il segno in ogni sorta di genere, dallo spaghetti western alla commedia, e aver lavorato con i più grandi attori dell’epoca – da Totò a Franco e Ciccio, da Raimondo Vianello al giovane Celentano – si misurerà con l’horror introducendo per la prima volta scene splatter ed estreme per provocare e scioccare lo spettatore. «Alcuni mi ritengono completamente pazzo perché tento sempre di uscire dal genere – ebbe a dire il regista romano – ma io tento soprattutto di essere un terrorista del genere. Sto dentro, ma ogni tanto metto la bomba che tenta di far deflagrare il genere».
E proprio le opere di questo «poeta del macabro» scomparso nel 1996, troppo a lungo liquidato come autore di B-movie, sono state spesso “saccheggiate” dal cinema americano, dai gruppi musicali e dai fumetti. Persino dal campione di incassi Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo creato da Tiziano Sclavi nel 1986. Non mancano le citazioni dirette, tanto che uno dei suoi albi pesca, già dal titolo, da Voci dal profondo, il film diretto da Fulci nel 1991.
Un sottile filo rosso (sangue) che attraversa la cultura popolare italiana e unisce il nero italiano, il poliziottesco, il cinema orrorifico di Fulci – ma anche di Dario Argento e Lamberto Bava – sino al più “giovane” bonellide, made in England proprio come Kriminal, a differenza del quale è certamente un personaggio positivo ma abituato a muoversi in una cornice degna del più nero tra i neri.
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2 commenti:

giovanni fonghini ha detto...

A me da bambino, soprattutto mia madre, proibiva la lettura di quei fumetti neri - più tardi da adolescente leggerò di nascosto i fotoromanzi del suo Grand Hotel con donne bellissime fantasie di sogni proibiti - e allora il mio nutrimento fumettistico era più rivolto al versante buono, da famiglia cattolica standard, non troppo credente, ma abbastanza osservante del bigottismo dell'epoca.
Quindi il mio eroe con la K fu un altro, Paperinik.
Come dimenticarlo?
Fu, se vogliamo in quegli anni lontani, una sorta di Second Life antelitteram con il nostro povero Paperino a fare da protagonista.
Lui, lo sfortunato, il negletto, il vessato dall'avarissimo zio Paperone, assumeva una diversa identità "eroica" e compiva imprese mirabolanti.
Era una sorta di rivincita del'uomo comune, che diventa un altro e compiendo imprese impossibili per il suo io comune, sotto sotto pensa magari al figurone che farebbe con la sua amata (Paperina).
Da bambini e da adolescenti quanti di noi non hanno desiderato emularlo?
Occhialuti, magrolini e con pochi muscoli, non avremmo voluto far colpo sulla più bella dela classe, che regolarmente ci ignorava? Paperinik, eroe buono fratello minore degli altri eroi noir, ha rappresentato anche questo, non mi vergogno a confessarlo.
E anche oggi, diventato ormai adulto, ogni tanto mi diverto a sognare imprese strabilianti, che possano lasciare senza fiato la donna che amo.

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Paperinik!
Giovanni, ti ringrazio per aver condiviso i tuoi ricordi.