Stampa-giudici-Governo: dopo lo sciopero dei giornalisti, una proposta che va oltre il braccio di ferro
di Sergio Sozi* (nella foto)
Il 9 luglio ultimo scorso c'è stato uno sciopero dei giornalisti italiani, dichiarato ed attuato per protestare contro la cosiddetta ''legge bavaglio''.
Le posizioni in merito, presenti nella società civile e politica, sono molteplici, sappiamo, proprio quanto lo sono i rischi di una limitazione, compiutamente legislativa, delle scelte delle testate e anche i rischi di una completa deregolamentazione del mondo dell'informazione. L'opinione pubblica, stoltamente, oscilla appunto fra questi due estremi: o troppa libertà o troppo poca, anzi quasi niente, per la stampa. Ed anche, naturalmente: o troppa responsabilità o troppo poca per i giudici.
Molteplici i problemi e confusa la situazione, insomma. Urge fare chiarezza e insieme proporre mediazioni e risanamenti; ecco perché questo articolo sta qui: sono un critico letterario e un narratore estraneo da sempre alle logiche del potere e privo di tessera e di militanze, perciò posso permettermi di parlare senza veli e senza prudenza alcuna, a voce alta – e anche senza fare nomi, ovviamente. I nomi li saprete già voi, no? I nomi li sanno tutti e sono in genere quelli di gente – e penne – asservite a particolari ideali politici o a particolari uomini politici, spesso ad entrambi e ancor piú spesso ad entrambi piú la propria bella busta paga – cosa facile cui asservirsi, la prima esigenza, come il mantenimento della pancia.
Allora. Allora vediamo come uscire con la nostra piccola voce dai disonesti due cori ed essere, cosí, oltre ogni forcaiola tentazione – intendo utili alla Nazione, ovvero ai lettori che sono dei cittadini, cioè voi, voi.
Ecco: prima di tutto definiamo la situazione complessiva del Paese.
La situazione è che i giornali italiani sono politicizzati, non liberi. Politicizzati nel senso peggiore del termine, intendasi, poiché essi si schierano, apertamente o implicitamente, per un attore politico o per un altro. Tutti i giornali fanno cosí, nessuno escluso. Ne consegue – procedo nell'analisi del reale – che ogni testata cerca con il lanternino dei documenti d'ordine giudiziario per screditare la controparte politica, fregandosene bellamente della cittadinanza, cioè dei lettori, cioè di coloro che comprino i giornali, pagandoli, in edicola e li leggano. Evidentemente i giornali – e i politici, oltre agli industriali, che sono alle loro spalle – reputano i cittadini altrettanto faziosi e schierati, altrimenti – vedi la stampa di altri Paesi europei – sarebbero meno veementi nell'incolpare e nel dare risalto a notizie riguardanti la moralità di un uomo politico qualsiasi. In Inghilterra, in Germania, in Slovenia, si insulta pubblicamente qualcuno solo con delle notizie certe ed incontrovertibili in mano, mica cosí, alla leggera, come se quell'uomo ed il lettore del giornale assieme, siano due cretinetti sui quali si può camminare come su di un tappeto. Invece nel Belpaese è cosí: botte da orbi come al tempo di Dante, o meglio darwinismo sociale applicato. Dunque la stampa italiana non sa e non vuole essere super partes, ovverosia, non è affidabile per chi – molta gente – cerchi delle notizie e non dei capi d'accusa di parte, che sono le notizie inaffidabili. Insomma la stampa italiana attuale è colpevole, appieno colpevole, di faziosità, disonestà e uso politico delle informazioni, poiché tradisce quotidianamente qualsiasi finalità superiore e patriottica, o almeno collettiva, inerente alla ricerca della verità, cioè tradisce il suo primo dovere: quello di rendere alla verità, alla Repubblica (quella di Mazzini eh!) e alla cittadinanza il servizio che il bel salario dei giornalisti richiederebbe – per non dire il buonsenso, l'equilibrio e l'onestà, l'indipendenza intellettuale e la moralità condivisa con il popolo... tutte cose assolutamente estranee, oggi e qui, dall'agire dei giornalisti in genere, eccetto mosche bianche.
Questo appurato, entriamo nel merito.
Il ''merito'' è che il Governo Berlusconi sta cercando, ora – con questa legge liberticida e faziosa esattamente quanto lo è la disonesta strumentalizzazione delle fonti e la aperta partigianeria delle testate tutte – di fare una mossa risolutiva nel contesto della battaglia che lo impegna sin dalla fine degli Anni Novanta contro l'Opposizione, e l'Opposizione, altrettanto disonesta, fa gli scioperi (che teatro di burattini immorali e deleteri, pieni sé! Vediate, vi prego, su Internet, ad esempio, lo scontro, or ora nato a suon di querele, fra il quotidiano telematico ''Legno storto'' e i giudici Palamara e Davigo: un scontro fra giudici anti-censori e una testata dichiaratamente governativa, ma entrambi ben concentrati sui propri interessi particolari ed incapaci di discorrere civilmente senza ricorrere ad insulti e denunce: una diatriba che è di per sé un pessimo esempio per i nostri figli, che dagli adulti cercano moderazione, buonsenso e neutralità). In poche parole, io rido, ora, con i denti all'aria, di fronte ad un dato di fatto: in Italia, a leggere trenta giornali al giorno per un anno, tutti gli incolpati pubblicamente sarebbero anche degli accusatori, dei cittadini perseguitati! Craxi un povero perseguitato e Di Pietro un inquisitore, o Craxi un ladrone e Di Pietro un eroe del diritto; nessuno che invece dica: siano stati quel che siano stati Craxi e Di Pietro, noi italiani siamo un popolo che tollera ed ammira in massa la disonestà e i privilegi, quindi sarebbe ora di decidere, tutti insieme, cosa sia la moralità nazionale. Cosa sia la moralità italiana, ripeto.
Come uscire, allora, dal dedalo delle malignità e degli odii personali, dal sottosviluppo culturale e spirituale, soprattutto spirituale, di questi giornalisti e politici ed imprenditori... ed anche dalla piccolezza mentale e demagogico pensiero di voi lettori, di noi lettori? Come?
Come?
Ecco.
Si faccia una legge ben chiara che dica questo: i giudici hanno l'obbligo e la responsabilità personale – pena licenziamento in tronco ed interdizione perpetua dai pubblici uffici – di proteggere e tenere riservatissimo qualsiasi documento appartenente ad un'indagine in corso, presente sulla loro scrivania o su quella di altri cittadini coinvolti e/o informati, per dovere procedurale, dell'indagine (avvocati, altri giudici, consulenti, periti, impiegati, eccetera, insomma tutti quelli che sappiano perché informati dall'Autorità Giudiziaria). Tale riservatezza, voglio dire, deve essere un obbligo anche per chiunque possa leggere tali documenti datigli dal giudice stesso, titolare dell'indagine, sulla fiducia, pena denuncia e sicura condanna penale per infrazione del segreto istruttorio. Mettere in pratica questa blindatura sarebbe semplice, ascoltate lettori:
il giudice inizia un'indagine il giorno tot; prima di iniziarla, 'sta indagine, deve sapere che, se ne parla con qualcuno, deve, per obbligo di legge, scriversi il nome della persona in un elenco obbligatorio e da lui stesso firmato di persone informate e insieme, al contempo, deve dire a quella persona che è tenuta al segreto assoluto, altrimenti finirà in galera. Insomma, i nomi di tutti coloro che leggono dei testi facenti parte di un'indagine devono essere registrati in un elenco, la cui compilazione spetti al giudice e che il giudice stesso debba tener riservato, nel cassetto, ma debba anche, in caso di fuga di notizie, rivelare al Ministro di Grazia e Giustizia, in modo che si possa capire chi, fra gli informati, sia lecito indagare per punire l'indebita divulgazione alla stampa. Voglio e chiedo, insomma, l'estensione del segreto istruttorio a tutti i procedimenti penali, a tutte le indagini penali di ogni tipo, sempre, in Italia. E il segreto istruttorio consiste in una lista, come dicevo.
Tuttavia, capirete, anche questa lista, benché doverosa, sarebbe insufficiente: se cinquanta persone, mettiamo, avessero i testi riservati, come farebbero, il Ministro e il giudice (quando onesti) a sapere chi fra loro li abbia dati ai giornalisti? Bisognerebbe per forza trovare dei deterrenti nei confronti dei giornalisti per costringerli a rivelare il nome della talpa, del responsabile della fuga di notizie insomma. E torniamo d'accapo: chiedo dunque delle leggi per costringere i giornalisti a rivelare le proprie fonti, ma solo ed esclusivamente quando in ballo ci siano documenti protetti da segreto istruttorio? Sí, avete capito bene, le chiedo: l'ispettore ministeriale o il giudice, dovrebbe dire al giornalista: ''Il testo da Lei pubblicato oggi è riservato e protetto da segreto istruttorio, come tutti i documenti facenti parte di una qualsiasi inchiesta penale; mi dica subito chi glielo ha dato o al prossimo sgarro la incrimino e/o se trovo la talpa (e indaga indaga, la trovo, prima o poi) la pagate subito entrambi per questo reato; se no, se d'ora in poi la smettete di pescare nel torbido, ce la teniamo riservata e niente processo per nessuno: neanche la talpa saprà che io so''. Ma queste leggi dovrebbero prevedere che il giornalista, se dicesse il nome dell'informatore, non subirebbe procedimento alcuno, come ho detto; altrimenti, se tace, sí: condanna immediata e dura per infrazione del segreto istruttorio. Insomma chiedo esattamente un trattamento come quello per i pentiti... solo che qui non si tratta di assassini ma di giornalisti, di comuni lavoratori. A completare il quadro, però, dovrebbero esserci due altri obblighi, stavolta vincolanti per i giudici: il primo è quello di informare la stampa dell'inizio di un procedimento d'indagine penale nei confronti di tizio o caio – basti qui divulgare il nome dell'indagato e citare gli articoli del Codice Penale che egli potrebbe aver contraddetto e poche le deroghe da concedere a quest'obbligo: solo i casi delicatissimi e che comporterebbero, se divulgati, una pericolosità individuale, sociale o nazionale quasi certa. Secondo obbligo del giudice: alla fine del processo, renderne noti alla stampa i risultati e togliere il segreto istruttorio a tutte le carte, tutte, affinché gli italiani sappiano, se vogliono, in base a quali elementi gli imputati hanno ricevuto quel verdetto (di assoluzione o di condanna, non importa). Eccezione potrebbe esser fatta solamente in caso di carte che, se pubblicate, potrebbero nuocere a terzi o ad aspetti legali ma non moralmente ineccepibili degli imputati stessi. Insomma, che esistano le solite cassazioni, ma mai totali rispetto ai testi di un'indagine. La gente deve sapere. La gente, i comuni lavoratori come i giornalisti, dicevo prima. Che devono rispettare le leggi tanto quanto i legislatori devono far leggi dotate di buonsenso e profondità filosofica, di forte contenuto morale ma non basate su precetti religiosi, classistici, parziali (cioè ad personam) o razziali.
Be'... i comuni lavoratori, i giornalisti, tutti, debbono rispettare la gente, no? E anche noi, la gente, noi, le persone, noi, gli individui, dobbiamo ancora trovare una moralità comune, popolare, proletaria, contadina, borghese, industriale, commerciale, ma sempre comune ed italiana, nazionale. Senza questa, cari lettori, che siete colpevoli ed innocenti esattamente come me, non si fa un cavolo, perché manca l'onestà, la definizione italiana del concetto di onestà. E manca, ancora nel 2010, a centocinquant'anni quasi dall'Unificazione (ricordiamocela), un'idea condivisa di ''bene'' e di ''male''. Siamo, dunque, noi, io, tu, dei cittadini italiani corretti, amorevoli, onesti? O degli egocentrici, egoisti, persi nel vuoto del materialismo dei quattrini, del lavoro e del silenzio della coscienza?... Allora muoviamoci, su... muoviamoci! Gambe in spalla: onestà, tasse pagate, testa diritta, reattività, amore! Come molti dei nostri antenati, nonni e bisnonni. Avanti! Basta con la sporcizia, basta, basta! Chiediamo giustizia a noi stessi e agli altri – questo si chiamava una volta ''esame di coscienza'' prima di sentirsi in grado di lanciare pietre su una Maria Maddalena o anche su un Giuda qualsiasi. O, se non ci va di perder tempo con queste faccende serie, stiamocene zitti e ammettiamo di esser menefreghisti o di essere dei semplici animaletti che pensano solo ai bisogni primordiali, per favore... in fondo... la comunicazione non è un obbligo. Mai. Il silenzio è un diritto inalienabile – anche se a volte brutto (quando nasca da cattiverie non dette o da pensieri raffinatamente vendicativi) spesso pure certamente utile, nel caos mediatico degli squali e dei corvi, degli sciacalli e dei lupi ringhianti. Privi di Cristo. Ebbene: fra questi due silenzi – quello dell'anima che si confronta con Dio e l'altro del vigliacco che cerca di elaborare un modo per farsi animale – sapremo tutti quale scegliere. Spero. Spero e basta. Senza sentirmi un santo, per carità.
Sergio Sozi (11 VI 2010)
Sergio Sozi è nato a Roma il 3 marzo del 1965 e ha vissuto dal 1969 al 2000 in Umbria, prima a Spello poi a Perugia, dopo trasferendosi in Slovenia, dove attualmente risiede. Dal 1989 si occupa di letteratura, giornalismo culturale, insegnamento e traduzioni fra Perugia, Trieste e Lubiana. Nel 1995 ha fondato e diretto il trimestrale letterario perugino ''I Polissenidi'', collaborato lungamente con il Giornale dell'Umbria e, in veste di caporedattore della Cultura, con l'emittente TelePerugia. Come poeta, ricordiamo la raccolta ''Oggetti volanti'' (Perugia, 2000. L'omonima silloge venne segnalata dal Premio Sandro Penna nel 1999 – presidente prof. Walter Pedullà). Suoi racconti e poesie sono stati premiati in diversi concorsi (ricordiamo fra gli altri il Premio F. Mauri di Spello, il Concorso Scritture di Frontiera di Trieste e il concorso del periodico letterario sloveno Primorska Srecanja). Fra le altre principali collaborazioni, menzioniamo quelle con il quotidiano L'Unità ed il settimanale Avvenimenti, con il mensile triestino Trieste Arte e Cultura, il mensile lubianese Nova revija, il quotidiano sloveno Dnevnik, la Radio Tre slovena e la casa editrice Studentska Zalozba – per la quale ha curato nel 2005 il volume antologico di racconti italiani (1989-2003) ''Carta e carne'' (''Papir in meso'', SZ-Beletrina, Ljubljana 2005). Finora ha pubblicato colloqui con Dacia Maraini, Sebastiano Vassalli, Diego Marani e Claudio Magris. A proposito del Sozi narratore breve, ricordiamo i giudizi dello scrittore Diego Marani (Bompiani): ''Una bella scrittura, raffinatamente gaddiana'', del romanziere Roberto Pazzi (Frassinelli): ''Le sue fantasie mi hanno lietamente accompagnato per piú di una mezz'ora di lettura. Lei sa scrivere perché cattura l'attenzione con immediatezza'' e della critica Cristina D'Andrea (Agenzia Letteraria Herzog): ''(…) Un gioco ardito, attraverso una narrazione vivace e mai scontata''. Altri apprezzamenti provengono dagli scrittori Attilio Del Giudice (Minimum Fax, Leconte): ''Straordinaria intelligenza e elegante scrittura'' e Paolo Maurensig (Mondadori), il quale si esprimerà sul risvolto di copertina de ''Il maniaco e altri racconti''. L'editore Valter Casini di Roma, nel proprio sito, lo presenta come segue: ''I racconti di Sergio Sozi sono frutto di un'attenta e scrupolosa ricerca linguistica che fa tornare alla mente nobili precedenti, Gadda, Palazzeschi, Landolfi e geniali contemporanei come il Pennac del ciclo Malaussène. Il risultato è un livello stilistico di grande vivacità espressiva che coniuga magistralmente inventiva, ricerca e tradizione''. (biografia tratta da zam.it)
3 commenti:
Un serio onesto esame di coscienza, senso di responsabilità e onestà dei costumi. Questa in fondo è l'esortazione che Sergio Sozi rivolge a tutti: media, giornalisti, giudici. In questi mesi abbiamo ascoltato troppe parole rabbiose, viste troppe bandiere inalberate orgogliosamente, quasi come se ci si trovasse nell'imminenza di una guerra con conseguente invasione di orde barbariche. Ma una proposta concreta, onesta e di buonsenso - troppo spesso al giorno d'oggi ignorato - come quella di Sozi non l'avevamo ancora letta. A me, piccolo blogger di provincia e quindi in qualche modo volontario - nel senso di non retribuito - operatore di comunicazione, sembra un ottimo punto di partenza (anche per sbugiardare molti pareri "illuminati" ma non onestamente disinteressati).
Caro Fonghini,
se tutti fossero capaci, oggi, di captare al volo come Lei le mie semplici, anzi direi ''ciceronianamente semplici'' osservazioni, vivremmo in altri tempi. Vivremmo in tempi repubblicani, eh eh eh... (condizionali molto ironici)
Grazie di cuore
Sergio Sozi
Caro Fonghini,
''una proposta concreta, onesta e di buon senso'', dice Lei della mia. Be'... cosi' l'ho appunto generata, pensata e scritta. E ora speriamo che anche degli altri, oltre a Lei, come tale dunque la captino. Ma ne dubito. Dubitare humanum est... eh eh eh...
Saluti Cari e Grazie di cuore
Sozi
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